Lettere in redazione
Quelle moschee che nascono tra i nostri campanili
Sinceramente, da semplice cittadino quale io sono, che segue e vede gli avvenimenti accaduti negli ultimi anni, non condivido l’euforia del professor Cardini in parte attenuata sullo stesso argomento da Paolo Blasi.
Pur avendo la massima comprensione nei confronti dei nostri fratelli musulmani, (probabilmente se ero nato in certi paesi anche io sarei stato permeato da quella religione) ho delle grosse perplessità che si costruiscano questi edifici nel nostro paese, magari con il concorso di denaro pubblico regionale.
Ne cito solo alcune:
1) Dopo il grande attentato delle Torre gemelle di New York e di altri, in cui hanno trovato la morte migliaia di persone innocenti, ho visto personalmente alla televisione, in diversi Paesi musulmani, festeggiare tali eventi con balli ed altre manifestazione di giubilo.
2) È stato accertato più volte che nelle moschee italiane, oltre a pregare, si incita all’odio nei confronti della nostra società ed in particolare verso i cattolici considerati «infedeli».
3) È semplicemente vigliacca la tecnica dei kamikaze per fare stragi.
Vorrei aggiungere, inoltre, altre riserve che ho letto su alcuni quotidiani e in particolare di Magdi Allam, vicedirettore del Corriere, di origine musulmana (egiziano ormai con cittadinanza italiana). Egli dice che «i sermoni e le affermazioni» che si fanno nelle moschee anche italiane, in particolare quelli che arrivano dall’Arabia Saudita, sono ben diversi dai discorsi che gli iman fanno al di fuori delle moschee, in convegni, dibattiti, manifestazioni e dichiarazioni varie. Per questo sono importanti i controlli per verificare cosa effettivamente si fa e si dice nelle moschee. Dice anche che dei musulmani che sono in Italia, meno del 10% frequenta le moschee per pregare (meno dei cristiani che frequentano le chiese!). Da qui può risaltare che non sono poi così necessarie né richieste dalla maggioranza dei musulmani. In quanto poi ai controlli, di cui parla anche lei, sarebbe più logico e più oculato farli fare da organismi dello stato italiano, piuttosto che da associazioni islamiche, tanto più se queste sono ritenute «a rischio» da altri stati.
Sullo stesso tema scrive un altro esperto, questa volta musulmano, che ho il piacere di conoscere, Magdi Allam. Dia un’occhiata ai suoi centratissimi articoli. E pensare che l’opinione pubblica italiana è tutta convinta che la moschea sia semplicemente un luogo di culto (ci vorrebbe un altro punto esclamativo).
Il serafico Elzir Izzeddin liquida l’argomento Arabia Saudita in modo troppo comodo e frettoloso: «Se l’Arabia Saudita si comporta male, è quello stato che lo fa non l’Islam».
Non sa che l’Arabia Saudita ha finanziato e finanzia almeno l’80% delle moschee in tutto il mondo e la stragrande maggioranza delle famigerate «madrasse», scuole coraniche che hanno diffuso e diffondono il verbo più intransigente wahabita, brodo di cottura dei peggiori estremismi islamici (India, Pakistan; Afganistan, Indonesia ecc).
L’attuale ripensamento saudita, anche sui finanziamenti miliardari ai movimenti estremisti e terroristi, è dovuto solo al fatto che si sono, tardivamente resi conto di esserne l’obiettivo principale (assieme ad Egitto ed Emirati del Golfo): e nel frattempo non rimediano assolutamente; altro che «reciprocità» principio guida del diritto internazionale. È ora come quando l’ho conosciuta io, 35-40 anni fa (sono stato per 7 anni primo rappresentante dell’Eni in Medio Oriente).
Purtroppo le incivili leggi saudite (e di tanti altri paesi) sono compatibili con il Corano e con l’Islam, come in fondo risulta, per le masse islamiche, compatibile lo stesso terrorismo.
Peraltro, lo stesso prof. Cardini segnala che «la vera forza sta nella ferma e serena volontà di proseguire seguendo cammini distinti ma tutti insieme nel rispetto delle leggi, sulla via della pace e della giustizia». Il «rispetto delle leggi», com’è ovvio, implica anche l’osservanza delle norme della Costituzione repubblicana, fra le quali quelle dell’art. 3, che prevede (comma 1°) l’uguaglianza, «davanti alla legge», di tutti i cittadini. Essi hanno «pari dignità sociale», «senza distinzioni di sesso». Orbene, nelle legislazioni musulmane la donna non ha una dignità sociale pari a quella dell’uomo, sicché la legislazione della nostra Repubblica, se si facesse dimentica della grave discriminazione che patisce la donna musulmana, sarebbe costituzionalmente illegittima, ancorché non comportasse alcun onere per lo Stato o l’ente locale. Tanto valga anche per il riconoscimento della cittadinanza e dei diritti elettorali, anche se di natura amministrativa.
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