Opinioni & Commenti
Quella strana voglia di fare guerra all’Iraq
Le interpretazioni che si danno sono altre. Proviamo ad elencarle, almeno le principali: a) il controllo del Golfo quindi del petrolio; b) la convinzione che, una volta scomparso Saddam Hussein, nessuno si azzarderebbe più a aiutare il terrorismo; c) il sostegno alla politica di Sharon, considerando Israele uno dei due pilastri (il secondo sarebbe appunto un Iraq amico) che dovrebbe dare stabilità alla zona, con le buone e se necessario anche con le cattive.
Il petrolio. È la partita più complessa. Proviamo a vedere perché. La recente intesa Nato-Russia, con quest’ultima che entra se non nel salotto buono della alleanza, certamente lì accanto, avrebbe anche lo scopo, in materia di approvvigionamenti petroliferi, di sostituire la dipendenza americana e occidentale dal Golfo con i pozzi siberiani. Ma la Russia «quasi nordatlantica» annuncia un accordo commerciale proprio con l’Iraq complicando le cose a Bush. Sicché, ancorché «quasi nordatlantica», la Russia avrebbe così più di un problema a girarsi dall’altra parte in caso di attacco americano a Bagdad. Ci rimetterebbe dopo tutto anche l’importanza strategica dei suoi pozzi siberiani.
Ma è il terrorismo il nemico che giustificherebbe una iniziativa americana di guerra anche senza il consenso dell’Onu ed anche senza il sostegno degli alleati occidentali. Il terrorismo è tuttavia materia tanto volatile da poter resistere alle guerre contro gli stati che lo coprono, o lo coprirebbero. L’Afghanistan lo conferma, e lo stesso attentato alle due torri di New York, che ha colpito l’umanità e offeso l’orgoglio americano, dice dopo tutto che le difese dei grandi apparati e anche delle più sviluppate tecnologie possono far cilecca. Saddam ha le armi batteriologiche e chimiche? Può darsi, ma se il possesso di queste in mano a regimi autoritari (e qualche volta anche democratici, nel senso che lì si vota) dovesse essere motivo sufficiente per iniziative belliche, la litania dolorosa non potrebbe fermarsi a Bagdad.
Che sia Sharon interessato alla partita è un’altra conferma della pericolosità dell’operazione. La questione Israelo-palestinese peserebbe ancor più negativamente, non foss’altro, sui governi arabi moderati che devono sostenere, e lo fanno anche con metodi non esattamente liberali, il loro stare, o dover stare alla finestra. La somma di Israele di Sharon e di un Iraq liberato da Saddam non farebbero per forza sicurezza, in Medio Oriente e altrove. È anzi probabile che il terrorismo troverebbe nei dintorni un terreno di coltura ancor più promettente dell’attuale. L’Islam infatti, giusto o sbagliato che sia, avverte sulla sua pelle un pericolo da Occidente; non sarebbe pertanto né saggio né giusto alimentargli questa convinzione.
Ultimo ma non per importanza è come l’Onu esca sempre più di scena dopo essere stato deputato a decidere interventi militari per giustificato motivo anche contro Saddam. In sua vece, si profilano le conseguenze di una dottrina pericolosa che autorizza l’intervento senza autorizzazione internazionale laddove, mancando i requisiti liberali, si potrebbe annidare il terrorismo.