Toscana
Quel Natale del ’57, storia di un’amicizia tra i popoli
A fare da tramite fra i bambini di Doccia e i coetanei ebrei è il futuro marito di Sara, Tullio Melauri, sopravvissuto con un fratello ad Auschwitz e che a quel tempo vive nel kibbutz di Ruhama, a due ore di autobus da Gerusalemme. La maestra israeliana, Ilana Heller Hasson, di origine lucchese, accetta con entusiasmo e per due anni si ha un fitto scambio di corrispondenza.
Da Israele arrivano le lettere scritte in lingua ebraica e da Doccia quelle in italiano, a tradurle pensano le due maestre, Sara e Ilana. Ai bambini arrivano anche i testi originali, così possono capire le differenze tra le due lingue, molta curiosità desta la scrittura ebraica che si legge da destra a sinistra.
«Pace a te», con questa frase cominciano e finiscono sempre le lettere da Israele che descrivono la vita di bambini, con il loro impegno scolastico, le aspirazioni, i desideri, le curiosità. Proprio come i bambini di Doccia.
Queste le domande che ogni tanto si fanno i «bambini» della scuola di Doccia del 1957. Sarebbe bello poter dare loro una risposta.
In una lettera del 1958 la maestra Ilana Heller Hasson descrive ai bambini di Doccia cos’è e com’è organizzata la vita nel kibbutz: «Il villaggio collettivo è un villaggio dove si sono riunite alcune famiglie (fino a 10 e più) con il proposito di lavorare e vivere in comune come una grande famiglia scrive . I guadagni del raccolto vanno alla cassa comune. Con i soldi compriamo vestiario, macchine agricole, bestiame, paghiamo gli studi ai bambini (nei villaggi collettivi tutti i bambini studiano fino a 18 anni obbligatoriamente; questa è una cosa che non avviene in molti stati).I membri di questi villaggi scelgono le stoffe e si fanno confezionare i vestiti nella sartoria collettiva, danno a lavare la biancheria alla loro lavanderia meccanica, mangiano nel grande ristorante comune dove la cucina ha i macchinari e le pentole più moderne (a vapore o a elettricità), lavorano 8-9 ore al giorno nel ramo adatto a ognuno di loro o dove c’è più bisogno per la collettività. Lavorano sia uomini che donne, non più di 8 ore al giorno (9 in estate) così c’è uguaglianza fra uomo e donna ( ). I bambini, mentre i genitori lavorano, trascorrono la giornata nelle case dei bambini dove dormono, mangiano, studiano, divisi per età. Il pomeriggio, fino a tarda sera lo trascorrono con i loro genitori negli appartamenti degli stessi. La sera il babbo e la mamma accompagnano i figli alle case dei bambini, preparano loro i letti per la notte, augurano la buona notte dopo aver aiutato un po’ i figli nei compiti di scuola. Non crediate che in Israele tutti i villaggi siano così precisa Ilana Heller Hasson al contrario ci sono molte città come in Italia e molti villaggi, non collettivi come in Italia e in altri paesi».