Opinioni & Commenti
Quei ragazzi alla scuola di Benedetto e dell’essenziale
di Giuseppe Savagnone
Ancora una volta i giovani accorrono, più numerosi che mai, all’appuntamento della Gmg col Papa. Qualcuno aveva predetto la fine di questi grandi raduni con la morte di Giovanni Paolo II. Ma già l’esperienza di Colonia ha dimostrato la fallacia di queste profezie, con l’eccezionale afflusso di partecipanti che allora si recarono all’incontro, anche se ad aspettarli non c’era più un uomo come Papa Wojtyla, che aveva nel sangue l’istinto della comunicazione, ma un teologo più abituato a scrivere libri che a dialogare con le masse. Per la Chiesa cattolica, del resto, questa continuità vale più di qualunque successo personale dell’uno o dell’altro suo rappresentante. Il culto della personalità, in un’istituzione che sfida il tempo, sarebbe solo un segno di debolezza. Gli uomini, diceva sant’Agostino, sono solo la voce, destinata, inevitabilmente, a spegnersi: quello che conta è il Verbo, la Parola che essi annunziano e che, passando dalla bocca dell’uno a quella dell’altro, vive sempre.
Ma in questa grande risposta del mondo giovanile all’attuale sommo Pontefice c’è qualcosa di più che la fedeltà al Vicario di Cristo in quanto tale. Quello che sembra di riscontrare e non soltanto da ora è un particolare fascino esercitato sui giovani dalla personalità di Benedetto XVI. A farmelo notare fu, già qualche tempo fa, il vaticanista di Repubblica, Marco Politi, con un pizzico di sorpresa. A piazza San Pietro, mi diceva, vengono a incontrare questo Papa masse di fedeli più numerose che al tempo di Giovanni Paolo II, e moltissimi sono i giovani.Confesso che anch’io, nell’apprenderlo, rimasi un po’ stupito. Eppure il dato appare confermato da varie testimonianze e merita una riflessione. Una possibile risposta è che le nuove generazioni in un mondo frastornato dal fuoco d’artificio di messaggi mediatici sempre più invasivi avvertono il fascino di uno stile di riserbo, anche se animato da una contenuta affettuosità, che punta soprattutto sull’intensità del contenuto e sulla forza della comunicazione spirituale. Non c’è dubbio che Papa Ratzinger attiri senza imporsi, anzi quasi facendosi da parte per lasciare quanto più spazio possibile alle idee che vuole trasmettere. Anche i suoi predecessori hanno seguito lo stile suggerito dalla riflessione di Agostino, assumendosi il ruolo di semplice voce, per non rischiare di offuscare il primato della Parola; ma Benedetto XVI appassionato annunciatore della centralità del Logos nella visione cristiana è particolarmente spinto a questo dal suo temperamento e dalla sua storia personale. Anche al momento della sua elezione, gli sentimmo definire il suo ruolo come quello di un umile operaio della vigna del Signore. Non era una frase retorica, ma un programma. Ed anche chi si trova talora a dissentire da questa o da quella sua scelta, non può non provare grande rispetto davanti a questo Papa le cui parole sembrano ogni volta promanare da un profondo raccoglimento interiore e da una possente carica intellettuale.
Forse anche le contestazioni di cui è stato oggetto da quelle del mondo islamico a quella, ancora più fanatica, del gruppo di docenti e di studenti della «Sapienza» di Roma contribuiscono oggi a rafforzare questa immagine, che non è soltanto di grande signorilità umana, ma anche e soprattutto di discrezione e pacatezza cristiana.
Abituati ad essere ogni giorno assediati da proposte aggressive di ogni genere, i giovani avvertono probabilmente la forza superiore di questa discrezione e di questa pacatezza. Per loro si tratta anche di una scuola. Ed è un buon segno che accorrano per lasciarsene educare. Forse dovremmo anche noi prendere più sul serio il senso di quanto accade e imitare lo stile del Papa. La nostra pastorale ha bisogno di tornare all’essenziale. Al di là di tanto attivismo, di tante iniziative, di tanti ritualismi, forse è il momento di riscoprire la sobria, silenziosa forza del Logos e fargli spazio nei nostri cuori e nelle nostre vite.