Passato il momento di curiosità per i ruderi dell’antica chiesa di Santa Maria della Reglia, ritrovati sotto il piano stradale, e presto ricoperti, Porta Romana è ricaduta nel suo anonimato dovuto al tempo, alle trasformazioni portate dagli uomini, alla distrazione. E così quasi nessuno si rende conto che sotto il pavimento di piazza Gramsci esistono ancora le vecchie «vasche», le piccole. Le grandi, più recenti e situate al «pallone», giù per viale Barsanti, sono state distrutte all’incirca negli anni ’60, durante i lavori di risistemazione della zona.Le vasche, sotto delle belle volte, ricordano l’epoca, non così lontana, in cui le donne andavano a lavare il bucato con i catini pieni di biancheria pulita e sbiancata nella «pignatta» di coccio con la cenere, e trasportati con i carretti. L’acqua corrente garantiva la pulizia, ottenuta con sapone, spazzola e sbattute sui lavatoi. Luogo di incontri, amicizia, comunicazione, e anche qualche litigio per accaparrarsi il posto più vicino alla fonte. Un progresso ben accetto ha fatto sì che venissero disertate, quindi abbandonate. Per un certo periodo le vasche hanno accolto i primi presepi fatti dalla Rionale di Porta Romana che ha poi trovato un posto più adatto nella chiesa di Santa Marta. Poi più niente.E ora esse sono veramente malridotte, scrostate, sporche, deturpate da scritte. Di là dalla rete, si vede il piccolo edificio costruito a ridosso delle mura, che si è allungato con un’altra piccola costruzione, in una confusione che non consente più di «leggere» la zona. Ed è un po’ triste vederla così, come se si trattasse di un luogo «accerchiato» di cui si è perduto il senso. A volte le vasche rispondono ancora al loro uso e vi si possono vedere tappeti lavati e stesi sul lavatoio ad asciugare, i bei tappeti degli stranieri, ed è un bene che possano ancora servire. Ma non è un bene che siano così dimenticate, perché la dimenticanza e l’abbandono potrebbero essere l’anticamera della sparizione, in qualunque maniera questa si possa verificare. Un luogo così significativo, anche dal punto di vista strutturale, merita di essere valorizzato come testimonianza di vita. Perciò ne parliamo, attendendo un qualche esito che scuota l’immobilismo.Giuliana Maggini