Opinioni & Commenti
Quattro anni fa l’attacco agli Usa
L’11 settembre di quattro anni fa mostrò se mai una novità che ha segnato e segna l’alba di una nuova storia, che sarebbe colpevole ignorare anche per non coprire di sola untuosa retorica le celebrazioni dell’anniversario. La novità sta nella guerra che non si perde o si vince con la contrapposizione degli eserciti: gli Stati Uniti, forti del loro primato assoluto in fatto di tecnologia militare e di potenza economica, si sono sentiti in una botte di ferro. Nonostante il Viet Nam avesse già mostrato la fragilità della potenza militare. Il Viet Nam tuttavia aveva degli interlocutori possibili perché identificabili, a cominciare dal governo del Viet Nam del Nord per finire alle potenze comuniste che sostenevano e rifornivano la guerriglia. L’11 settembre diceva invece che un esercito fantasma si può materializzare, usare gli strumenti della vita civile del nemico e colpirlo nei simboli stessi della sua potenza, le due torri di New York, il Pentagono.
Come combattere questa nuova forma di guerra? Non ci sono ricette, evidentemente, ma quelle sinora sperimentate dagli Stati Uniti e dai loro alleati si sono dimostrate impotenti se non addirittura controproducenti. A nemico che vive da fantasma si è cercato di rispondere con la strategia degli stati canaglia da eliminare subito o da tenere sotto minaccioso controllo.
Il sistema democratico come rimedio da esportare? Visto come stanno le cose la democrazia rischia di essere un amuleto agitato contro il pericolo per esorcizzarlo. Il libero voto dopo tutto non è un salvacondotto che assolve dalle responsabilità né garantisce dalle scelte sbagliate e neppure rende incolpevoli se si compiono sopraffazioni. Questo non significa che il terrorismo non vada combattuto né che si debba restare inerti con qualche scongiuro in mano; significa che l’arma della politica è stata sinora usata meno della tecnologia militare. È stato scritto con acutezza che l’efficacia della tecnologia militare è come quella del martello che un tale voleva usare per schiacciare una pallina di mercurio: la pallina si rompe ma genera allo stesso tempo una serie di piccolissime palline che non scappano: semplicemente si nascondono nell’ambiente.