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Quattro anni fa l’attacco agli Usa

di Pier Antonio GrazianiIl terrorismo non è, purtroppo, una novità assoluta: ha girato sotto varie forme, per fermarci al ‘900 e alle sue propaggini, nella storia d’Europa, dell’Asia dell’Africa e anche dell’America a servizio di cause proclamate nobili ma rese quasi subito dopo ignobili per la crudeltà dei mezzi impiegati e dei diritti offesi. L’umanità, a qualsiasi storia sia appartenuta, ci si è poi seduta sopra, una volta realizzati gli obiettivi del momento, e vi ha sparso, come incenso destinato a coprirne il fetore, idealismo, patriottismo e moralismo pret a porter.

L’11 settembre di quattro anni fa mostrò se mai una novità che ha segnato e segna l’alba di una nuova storia, che sarebbe colpevole ignorare anche per non coprire di sola untuosa retorica le celebrazioni dell’anniversario. La novità sta nella guerra che non si perde o si vince con la contrapposizione degli eserciti: gli Stati Uniti, forti del loro primato assoluto in fatto di tecnologia militare e di potenza economica, si sono sentiti in una botte di ferro. Nonostante il Viet Nam avesse già mostrato la fragilità della potenza militare. Il Viet Nam tuttavia aveva degli interlocutori possibili perché identificabili, a cominciare dal governo del Viet Nam del Nord per finire alle potenze comuniste che sostenevano e rifornivano la guerriglia. L’11 settembre diceva invece che un esercito fantasma si può materializzare, usare gli strumenti della vita civile del nemico e colpirlo nei simboli stessi della sua potenza, le due torri di New York, il Pentagono.

Come combattere questa nuova forma di guerra? Non ci sono ricette, evidentemente, ma quelle sinora sperimentate dagli Stati Uniti e dai loro alleati si sono dimostrate impotenti se non addirittura controproducenti. A nemico che vive da fantasma si è cercato di rispondere con la strategia degli stati canaglia da eliminare subito o da tenere sotto minaccioso controllo.

I risultati, almeno per quanto riguarda l’Iraq non sembrano brillanti. Hanno innescato invece un processo a catena che sta diventando guerra civile fra sunniti e sciiti mentre ha esteso l’area dei potenziali terroristi nelle pieghe fanatiche (e fanatiche più per nazionalismo arabo offeso che per sole convinzioni religiose) dell’emigrazione di prima e di seconda generazione. I terroristi degli attentati londinesi erano quasi tutti di passaporto britannico.La via breve della tecnologia militare si è dimostrata una strada il cui confine si allontana mano mano che si va avanti: le bombe intelligenti che colpiscono senza troppo discernimento; la lotta agli stati canaglia da fare con alleanze che, se non fossero provvisoriamente alleate con gli Usa e l’occidente, avrebbero su per giù le stesse caratteristiche del nemico.

Il sistema democratico come rimedio da esportare? Visto come stanno le cose la democrazia rischia di essere un amuleto agitato contro il pericolo per esorcizzarlo. Il libero voto dopo tutto non è un salvacondotto che assolve dalle responsabilità né garantisce dalle scelte sbagliate e neppure rende incolpevoli se si compiono sopraffazioni. Questo non significa che il terrorismo non vada combattuto né che si debba restare inerti con qualche scongiuro in mano; significa che l’arma della politica è stata sinora usata meno della tecnologia militare. È stato scritto con acutezza che l’efficacia della tecnologia militare è come quella del martello che un tale voleva usare per schiacciare una pallina di mercurio: la pallina si rompe ma genera allo stesso tempo una serie di piccolissime palline che non scappano: semplicemente si nascondono nell’ambiente.