Cultura & Società
Quassù a Barbiana Papa Francesco si troverebbe bene
Difficile dimenticare il volto di Michele Gesualdi, uno dei primi 6 allievi di don Lorenzo e da anni presidente della Fondazione intitolata a quello che tutti abbiamo chiamato “prete scomodo”: aveva appena appreso, da una telefonata di Mario Lancisi, giornalista e scrittore-scavatore di don Milani, che papa Francesco aveva riservato a don Lorenzo parole di evidente riconoscimento.
Qui, davvero, la “periferia” diventò “centro; la pietra “scartata” finì per essere riconosciuta “testata d’angolo”. Qui – Michele lo aveva raccontato, riportando le parole di don Lorenzo pochi istanti prima di morire – il “cammello” stava dimostrando la concreta possibilità di “passare dentro la cruna di un ago”.
Impossibile non farci venire in mente l’idea che papa Francesco, quassù a Barbiana, si troverebbe bene. Anche solo per pochi minuti. Anche se sono intuibili le difficoltà “logistiche”. Anche se è immaginabile il caos che porterebbero i media nella piccolezza di questo spazio, alle pendici del monte Giovi, dove la strada parte stretta da Vicchio e arriva ancora sterrata: dove non c’è posteggio, ma dove, in compenso, c’è la chiesetta dove quel prete pregò e soffrì non poco per il suo amore a una Chiesa che non lo capiva; dove c’è quell’aula con la scritta rossa (J care) che ha visto uno straordinario esperimento di amore e speranza.
Come giornalisti avevamo passato qualche ora per riflettere su un particolare aspetto che tocca anche un lavoro come il nostro (credenti o indifferenti che si sia): la scrittura. Le “regole” riportate nella “Lettera” offrono sponde, di una attualità perenne, sul senso dello scrivere. Oggi che non si scrive più con quel ferrovecchio di “Olivetti” visibile nell’aula e domani quando i ferrivecchi saranno i tablet di cui ora si va così fieri.
Nella storia di Barbiana, quella del ponte, è una sottostoria: a papa Francesco piacerebbe un sacco vederlo, quel ponte.