Lettere in redazione
Quanto investe l’Italia sulla scuola?
Gli insegnanti non sono dei privilegiati
Vorrei anche io inserirmi nel dibattito da voi ospitato riguardo alla scuola, replicando alle parole del sig. Andrei (n. 1 del 6 gennaio 2013), in qualità sia di insegnante che di genitore. Innanzi tutto un chiarimento sui numeri: quando si parla del numero globale degli insegnanti della scuola italiana, si deve tener presente che nel nostro paese confluiscono in tale elenco anche gli insegnanti di sostegno, cosa che non avviene nel computo di molti altri paesi europei, dove le persone con handicap sono dirottate in istituti speciali separati dalla scuola «normale». L’inserimento dei disabili nella scuola insieme agli altri alunni è invece una conquista civile molto importante, da difendere con decisione da parte di tutti, tanto più in un’ottica cristiana. Anche gli insegnanti di religione solitamente non sono presenti nel computo degli addetti all’ istruzione di molti paesi europei, viste le differenti modalità di status di questi insegnanti nei vari paesi. Fatti questi chiarimenti, si vede che il rapporto numerico alunni-professori non cela nessun privilegio per gli insegnanti italiani.
Riguardo al rifiuto di prolungare l’orario di lavoro, va chiarito che le ore in più proposte non sarebbero state ore da dedicare all’insegnamento, bensì ore nelle quali gli insegnanti avrebbero dovuto soggiornare a scuola, dove spesso non è disponibile neppure una stanzetta per studiare, per eventuali supplenze patchwork per i colleghi assenti. Allora sì, anche io ritengo più produttivo stare a lavorare o a preparare le lezioni a casa mia piuttosto che soggiornare in un corridoio per ore.
In questa direzione, anzi, si era già mossa la famigerata riforma Gelmini, che ha tagliato indiscriminatamente ore e ore di lezione, anche in materie chiave ai nostri giorni, come matematica e inglese. Ad esempio la mia cattedra di materie letterarie al ginnasio è stata ridotta da 18 a 16 ore, togliendo un’ora di geografia e una di italiano, forse nella cialtronesca opinione che, essendo l’italiano lingua madre, lo si conosca di già a sufficienza; nello stesso tempo il programma di italiano al ginnasio è stato aumentato. Da notare che, tuttora, il contratto per gli insegnanti prevede 18 ore di insegnamento settimanale. Lo stesso è successo per matematica e, in generale, per molte altre materie in tutte le scuole medie inferiori e superiori di Italia. Non è una follia? Perché non si protesta per questo, invece che inveire contro fantastici privilegi di una classe così «potente» da vedere ridotti al precariato a vita tante persone che si sono sacrificate a prepararsi, hanno frequentato corsi e corsi di qualificazione a pagamento, e si sobbarcano spesso un lavoro fuori sede per uno stipendio che è ormai alle soglie delle nuove povertà? Le nazioni che vantano i più alti standard di preparazione dei propri studenti, che non sono Francia e Germania, ma alcuni paesi del sud-est asiatico ( Singapore, Hong Kong, Corea del Sud ecc. ) o del nord Europa ( Finlandia), investono nella scuola pubblica una quota di spesa a confronto della quale quella italiana è a livello infinitesimale. Quindi, informarsi bene prima di protestare.
Provate a passare 5 ore con 26 bambini
Sono un’abbonata; ho appena ultimato di leggere la lettera del sig. Andrea Andrei sull’insegnamento. Lavoro da oltre 35 anni come docente nella scuola dell’infanzia, con bambini dai tre ai sei anni. Il rapporto è di un adulto a 26/28 bambini. Nella mia sezione ci sono 12 bambini stranieri, con difficoltà nella lingua italiana, per cui riuscire a comunicare e stabilire rapporti è spesso difficoltoso, per non parlare poi della didattica. Inviterei il sig. Andrei a trascorrere una giornata nella mia sezione, così potrebbe rendersi conto di cosa significhi lavorare con i bambini in questa fascia di età, a condividere con loro il momento del pasto (visto che non è contemplato che io possa avere anche 10 minuti per mangiare tranquillamente, perché mangio in orario di servizio, in una stanza dove ci sono in media 46 bambini…). Il signor Andrei forse non si rende conto di quanto logori la responsabilità quotidiana che abbiamo lavorando con bambini così piccoli… e molto altro potrei aggiungere. Ma è un lavoro che ho scelto e che amo, che trovo affascinante e ricco di gratificazioni. Aspetto il signor Andrei nella mia sezione, non si preoccupi se uscirà stordito: dopo 5 ore di 26 allegre vocine può capitare.
Diamo spazio ad altre due lettere nel dibattito su scuola e insegnanti, avviato da Bruno Cellini (n. 41 del 18 novembre 2012), con replica di Giovanna Carocci sul n. 45 del 16 dicembre. Il primo sosteneva che non è giusto che gli insegnanti delle elementari siano discriminati (sia come orario che come stipendio) rispetto a quelli della secondaria. Giovanna Carocci rispondeva che il docente delle superiori ha un compito molto più gravoso che va ben al di là delle 18 ore frontali. Non mi sembra però questa la parte più interessante del dibattito. Anzi trovo inutile stare a rivendicare «io lavoro più di te» o «il mio lavoro è più importante del tuo».
Il vero problema è capire cosa si può fare per migliorare l’organizzazione scolastica, tenendo conto delle spending review e dei tagli che la contingenza sembra imporre. Secondo i dati Eurostat, la spesa pubblica per alunno in Italia è di 5.916 euro (dato 2009) contro i 10.179 della Norvegia o i 7.299 euro della Germania. Per non parlare degli 11.370 degli Usa. Si potrebbe obiettare che sono paesi più ricchi del nostro (specie in questo momento). Ma anche se guardiamo, invece che alle cifre assolute all’incidenza sul Prodotto interno lordo, vediamo che nei 27 Stati Ue la spesa media per l’istruzione è stata nel 2009 del 5,4% sul Pil, che sale al 6.2% considerando anche quella dei privati. In testa ci sono Danimarca (8.7 %), Cipro (8.0 %), Svezia (7.3 %), Finlandia (6.8 %), Belgio (6.6 %) e Irlanda (6.5 %). Anche qui l’Italia si situa decisamente sotto la media (4,70%).
Quindi, anche in tempi di crisi non sono ammissibili ulteriori tagli al sistema scuola (sia statale che paritario). Ma si può migliorare la spesa e mettere gli insegnanti in condizione di lavorare meglio, combattendo precariato e burocrazia.
Claudio Turrini