Vita Chiesa
Quanti anni servono a un assassino per pentirsi?
La reazione nasce dalla lettura di un articolo di giornale nel quale viene riportata a tutta pagina la notizia del «permesso premio» a Omar, il giovane che con la fidanzata uccise, solo quattro anni fa, la madre e il fratellino di lei. Vorrei fare finta di essere sordo perché in realtà la mia tentazione sarebbe di dargli ragione e dirgli che sinceramente la condanna di quattordici anni, mi sembrava leggera ma la giustificavo col fatto che almeno così l’avrebbe scontata tutta e invece…
Ma non sono sordo, e quindi partecipo alla provocazione. Gli chiedo: forse è veramente maturato. Il giudice gli ha riconosciuto l’impegno e la volontà di diventare una persona nuova, di cambiare. «Peccato però che le persone che lui ha ammazzato non abbiano più nessuna possibilità di cambiare» mi risponde.
Mentre io penso a ciò che Omar potrà fare di buono, il mio interlocutore insiste su quello che ha fatto. E apparentemente il suo è un ragionamento più valido perché confermato dalla esperienza.
Ma penso: la vita di una persona può essere «chiusa» nel passato? E allora gli chiedo: se fosse suo figlio penserebbe la stessa cosa? «Forse no! ma vorrei comunque che pagasse il suo debito!» Ma le sembra così ingiusto – insisto – far pagare un debito con un «premio» che in fondo responsabilizza e mette nelle condizioni di essere utile agli altri? «A me sembra troppo comodo cambiare così rapidamente!».