Opinioni & Commenti

Quando ministri e parlamentari dividevano l’alloggio

di Romanello Cantini

I giornali nelle ultime settimane quasi non hanno parlato d’altro che del ministro (ora ex) che ha comprato una casa con vista sul Colosseo. Non si sa se pagandola tutta con i soldi propri o in parte anche con soldi altrui. Noi speriamo che il ministro dimissionario possa dimostrare di aver tirato fuori tutti i soldi per l’acquisto di tasca propria. Ma al di là di ciò che sapremo forse in futuro e dell’eventuale corruzione che minaccia di nuovo di essere un problema italiano non marginale, una cosa la sappiamo già fin ora e non ci piove: questi politici sono piuttosto ingombranti. La casa del ministro, forse per essere proporzionale al Colosseo che ha davanti, misura quasi 200 metri quadri.

E il caso è tutt’altro che unico. Negli stessi giorni si è saputo che ai Parioli, dove ogni metro quadro costa quanto una utilitaria, un semplice parlamentare ha una casa di 380 metri. E tutte le volte che in passato sono scoppiate le numerose polemiche sulle case comprate o prese in affitto dai politici presso enti pubblici o privati, al di là della polemica sui prezzi più o meno di favore, abbiamo scoperto, in un periodo in cui pure va di gran moda il monolocale, che il politico molto spesso non può vivere fuori di un appartamento di cui le persone comuni ne farebbe almeno tre.

Conosciamo tutte le attenuanti che si mettono in campo in questi casi: la dignità del parlamentare  per non parlare del ministro, la sua funzione di rappresentanza, gli spazi per il ricevimento e la documentazione ecc. ecc. Eppure parlamentari con le stesse funzioni e maggiore modestia c’erano in un periodo che noi con i nostri sprechi abbiamo fatto diventare preistoria, ma che preistoria non è. Ancora quaranta anni fa c’erano parlamentari democristiani che a Roma prendevano alloggio nelle camerette (ma sarebbe meglio dire celle) della Domus Mariae. I parlamentari comunisti in genere vivevano a  mazzi in quelle specie di falansteri che erano le cooperative per deputati costruite quasi con le mattonelle popolari dell’Ina Casa perche ai deputati  il partito aveva già sfilato di tasca metà indennità.

All’inizio della storia di questa repubblica (questa non un’altra) a Roma in via Chiesa Nuova n. 14 in un vecchio appartamento all’ultimo piano di proprietà delle sorelle Portoghesi c’entrava  un ministro (Fanfani), un sottosegretario (La Pira), un vicesegretario (Dossetti) e tre parlamentari (Lazzati, Glisenti e Bianchini). De Gasperi era già capo del governo e continuava a vivere con moglie e figlie nella modesta casa di via Bonifacio VIII che si era potuto permettere con lo stipendio di impiegato della biblioteca vaticana e non cercò mai un’altra casa finché il partito, per dignità di patria, non regalò al presidente del consiglio italiano quella casa a Castelgandolfo in cui, come confessava all’amico padre Del Bono, De Gasperi provava rimorso ad abitare.

Si dirà: quella era un’Italia più povera. È vero, ma anche più ricca di una materia prima che nessuna statistica riuscirà a contare e a raccontare: quella temperanza che è la quarta, ma, direbbero gli inglesi, non l’ultima delle quattro virtù cardinali.