Toscana

Quando l’uomo sfida la creazione

di Andrea FagioliSono trascorsi 50 anni (1953-2003) da quando Francis H.C.Crick e James D.Watson determinarono la struttura e la funzione del DNA, la molecola dell’ereditarietà. Da allora, e in particolare nel corso degli ultimi 30 anni, gli sviluppi della ricerca biotecnologica hanno registrato un progresso esponenziale e stanno notevolmente condizionando e mutando la società e la cultura contemporanee.A ragione si parla di nuova rivoluzione scientifica (la rivoluzione genetica e biotecnologica), sicuramente destinata ad apportare importanti mutamenti d’ordine concettuale, culturale e sociale, analogamente, forse, alle grandi rivoluzioni scientifiche del passato, le teorie cosmologiche di Nicolò Copernico (1473-1543) e Galileo Galilei (1564-1642), e quella evoluzionistica di Charles Darwin (1809-1882), il cui impatto antropologico e sociale è ampiamente documentato. Nel giro 30 anni, infatti, la ricerca genetica, che sta alla base dello sviluppo biotecnologico, si è trasformata da scienza che studia i meccanismi dell’ereditarietà a scienza del loro controllo razionale. Essa è in grado non solo di acconsentire una conoscenza sempre più dettagliata dei meccanismi molecolari che stanno alla base dell’ereditarietà biologica e umana, ma anche di addentrarsi o avventurarsi nel terreno teoricamente sconfinato della «creatività biotecnologica», per ideare e sperimentare «combinazioni geniche» e «bio-artefatti» nuovi e inediti in natura.Proprio in considerazione del nuovo potere che sta conferendo all’uomo, lo sviluppo della ricerca biotecnologica sta anche gradualmente rivoluzionando il senso antropologico dell’impresa scientifico-tecnologica, ossia l’immagine che l’uomo ha di se stesso e i valori che egli intende perseguire nell’adempimento di tale compito. Essa non si limita più al perseguimento delle conoscenze, in funzione di una gestione, trasformazione e, al limite, «correzione responsabile» delle molteplici strutture e risorse della natura, ma può andare «oltre».Lo può certamente, e in misura crescente, in senso tecnico, dal momento che la strada è aperta. Si tratta di interrogarsi se lo possa anche in senso etico, in quali condizioni e a quale prezzo per la libertà di ricerca, dovendo questa necessariamente sperimentare per progredire, pena il suo arresto.

Assistiamo così ad una drammatica e dilemmatica novità del nostro tempo. Da una parte, l’insorgere di problematiche etiche complesse e inedite, in ragione di un crescente divario tra i rapidi sviluppi della ricerca biotecnologica e la disponibilità di strumenti e metodi di valutazione adeguati alla complessità e novità dei problemi; dall’altra, lo smarrimento del senso delle leggi morali ereditate dalla tradizione, che facilmente degenera in anomia, o totale assenza di regole, oppure, per contrapposizione, in difesa ad oltranza dell’etica e dei valori tradizionali, anche quando i loro presupposti antropologici si rivelano più complessi e/o incerti.

Celebrare i 50 anni del DNA significa prendere consapevolezza non solo della rilevanza scientifica dell’evento, nel suo proprio contesto storico-culturale, ma anche e soprattutto interrogarsi sulle caratteristiche inedite e dilemmatiche del nuovo orizzonte problematico, in tutti i suoi risvolti e in particolare nelle sue implicazioni etiche e nelle possibili conseguenze antropologiche e sociali.

«Il DNA ci dice la struttura del vivente costruita su un patrimonio informativo di leggi logiche e quindi ci mette dinanzi a delle permanenze strutturali, a delle dinamiche di fondo che poi si attivano a seconda dei contesti storici. Quindi c’è un qualcosa di rilevante circa il rapporto tra struttura e tempo, dove la struttura sono i dati permanenti e il tempo sono i contesti. Il DNA se si guarda da questo punto di vista è estensivo di tutte le funzioni dell’uomo anche di quelle relative alla formazione delle strutture cerebrali».

Concetti non proprio semplicissimi questi espressi dal filosofo Salvatore Natoli, che così risponde alla nostra domanda sulle conseguenze filosofiche della scoperta del DNA. «Ma più che da questo punto di vista, le conseguenze più interessanti – precisa Natoli – sono di carattere etico e riguardano non tanto la scoperta quanto l’intervento sul DNA, nel senso che tante cose che prima non si potevano fare adesso si possono fare».

Il caso più evidente è quello della medicina preventiva. «Oggi lo studio del DNA ci permette – spiega Natoli – di prevedere in un individuo la possibile sua evoluzione, il suo movimento verso certe patologie, in taluni casi anche l’arco temporale su come una malattia possa o non possa apparire. Si apre così il discorso relativo alla possibile previsione della propria morte e di conseguenza al ribaltamento completo della dimensione dell’aspettativa dell’esistenza, perché, come diceva Qoèlet, la cosa più grande per l’uomo è che non sa quando deve morire e che pertanto ha sempre futuro. Sapendo invece quando muore, il problema diventa di come organizzare il futuro. In questo senso c’è una rivoluzione totale e nascono interrogativi etici a partire dal fatto se sia giusto tentare di accertare il momento della morte e se, una volta accertato, si debba comunicarlo. La ricaduta di certe scoperte sulle condotte umane sarebbe ovviamente fortissima, anche se non si può negare che intervenendo sul DNA si potrebbero evitare, ad esempio, le malattie di tipo genetico riducendo un’ampia gamma di patologie. Inoltre, ci sarebbe la possibilità di prolungare ulteriormente la durata della vita e si tratterebbe di un prolungamento in condizioni migliori. Infatti, la media della vita è gia alta, ma l’ultima parte è spesso caratterizzata da acciacchi, cioè da una convivenza abbastanza lunga con un non assoluto benessere».

Ma è davvero possibile far vivere gli ultimi anni della vita in modo fisicamente migliore?«Intervenendo sul DNA – risponde il filosofo – si potrebbero eliminare, correggere o quantomeno ritardare eventuali patologie. Quindi sarebbe un intervento correttivo sul motore della vita, sulla catena informatica per fare in modo che la patologia non si configuri. Qui si apre il grande capitolo della genomica, la mappatura contro i tumori, di fronte alla quale, dal punto di vista scientifico, diventa banale persino la clonazione. Inoltre, si tratterebbe di dinamiche correttive in cui più si interviene più si sa. Da questo punto di vista, l’artificializzazione della natura diventa radicale perché, mentre prima era meccanica e quindi fondamentalmente esterna ai processi di autoriproduzione della natura stessa, intervenendo sul DNA si interviene sulla autoriproduzione della natura e quindi non si ha più a che fare con protesi che si aggiungono con una logica che diciamo, in senso lato, chirurgica. Resta il fatto che tutti gli interventi sono arrischiati e che l’ipotesi del mostro diventa possibile, anche se a livello di terrore fantascientifico, ma che ci indica comunque quanto questo tipo di potenza può essere soggetta a rischio. Il dilemma dell’etica è sempre quello del dove fermarsi. E purtroppo gli interrogativi non si risolvono mai una volta per tutte».

A giudizio di Natoli, che sarà uno dei relatori, sabato 8 novembre, allo Stensen di Firenze nell’ambito dell’iniziativa sui 50 anni dalla scoperta del DNA, siamo di fronte ad uno dei grandi bivi dell’evoluzione umana e come sempre succede in questi casi ci troviamo a dover affrontare «l’ambiguità di avere grandi vantaggi associati a controfinalità e dove più alti sono i vantaggi, più alte sono le controfinalità».

Il pericolo maggiore è «puntare sul di più con l’idea di raggiungere la perfezione. Questo – avverte Natoli – è il massimo del delirio di onnipotenza». Concetto che sembra condividere Gianluca Nicoletti, giornalista e critico televisivo, ideatore della trasmissione Golem. «Pensare di sostituirsi all’opera divina e costruire un uomo che sia più funzionale di quanto lo sia l’uomo che deve comunque sottostare a delle leggi naturali è – ribadisce Nicoletti – delirio di onnipotenza. Quindi il tema del Golem è di una modernità assoluta».

Ma perché da parte di Nicoletti tanto interesse per il Golem, che fra l’altro sarà oggetto di una serata allo Stensen (venerdì 17 ottobre) con la proiezione dell’omonimo film tedesco del 1920?

«Il Golem è il mito più antico dell’uomo, citato anche nella Bibbia, e il più attuale in questo momento. Il Golem – risponde Nicoletti – è il simulacro d’argilla prima che fosse insufflato del soffio divino, quindi è Adamo prima che diventasse uomo, prima che fosse creatura umana. C’è una sorta di momento di sospensione in cui questo fantoccio non sa se diventerà uomo o rimarrà fantoccio. Poi nella tradizione cabbalistica medievale ci sono leggende in cui si parla della possibilità di animare realmente, attraverso formule alchemiche, un pupazzo d’argilla. Quindi un’opera di terribile sfida alla potenza divina attraverso un essere imperfetto che si muove come un uomo, ha delle funzioni basilari che lo fanno assomigliare all’uomo, ma in realtà non ha un sua autonomia. È uomo in potenza, ma non in atto. Naturalmente, come tutte le operazioni imperfette, alla fine si rivolta contro lo stesso creatore. La cosa è che poi tutta la contemporaneità, da quando è cominciata la civiltà delle macchine, ha praticamente convissuto con questo sogno-incubo di crearci un parallelo semivivente che assolvesse ad alcune nostre funzioni, fino alla riprogettazione del corpo umano. Così com’è, il corpo umano non è più all’altezza della sfida della contemporaneità, bisogna aggiungere dei pezzi, mettere qualcosa di nuovo. La medicina – dice Nicoletti – ha volgarizzato e reso comunemente comprensibile questo delirio perché chiunque di noi sa che se ci si rompe un pezzo basta sostituirlo con un pezzo artificiale. Ormai abbiamo metabolizzato il fatto che innesti artificiali nel corpo umano possono fungere tranquillamente e permetterci di fare una vita normale. Da qui si arriva poi all’immaginare una maccchina che faccia quello che facciamo noi. Tutti gli interventi possibili immaginabili sul concepimento, sul codice genetico, sulla nascita assomigliano molto alla manipolazione che cercava di costruire l’uomo artificiale».

Entrando nel tema specifico del DNA, Nicoletti definisce la sua scoperta importantissima dal punto di vista medico e scientifico per capire qual è in parte il meccanismo, la mappa attraverso cui noi siamo costruiti. Ma dal conoscerla e dall’intervenire per correggere alcune cose nell’ambito della medicina è cosa ben diversa dalla possibilità di manipolarla una volta conosciuta la formula. «Pensare che anche noi – dice il conduttore di Golem – abbiamo la formula della vita scritta dentro e che questa formula possa essere manipolata, ci porta nel dominio dei fabbricatori di Golem, non sono più del medico o dello scienziato. Una cosa è conoscere, una cosa è manipolare. Anche se stabilire i confini del lecito è sempre più difficile. Qualche secolo fa nessuno avrebbe immaginato che i trapianti di organi sarebbero stati in futuro tranquillamente accettati».

«Attenzione però – avverte Nicoletti – alla mummificazione scientifica, al desiderio di vita eterna su questa terra che può produrre forti scompensi. L’equazione possibile è accettare che la vita finisce, che ha un suo termine. L’equazione impossibile è pensare di cambiare le viscere per tenerle in vita più a lungo possibile. Ma poi, come si è visto, basta un black out e tutto ciò che sta in un frigorifero si corrompe nel giro di poche ore. Se creiamo un grande frigorifero globale in cui tutta l’umanità si senta contenta e surgelata, un giorno finisce la corrente e diventiamo cadaveri nel giro di poche ore».

DizionariettoDNA = molecola dell’ereditarietà la cui struttura e la cui funzione furono determinate nel 1953 da Francis H.C.Crick e James D. Watson.

BIOPOIESI = creazione in laboratorio di forme inedite di vita da parte dell’uomo.

ANTROPOPOIESE = produzione biotecnologica dell’uomo stesso.

GOLEM = nome che appare una sola volta nella Bibbia ad indicare l’embrione umano, l’esistenza imperfetta prima della creazione. Dal XII secolo i testi cabbalistici alludono alla possibilità di scimmiottare l’opera divina simulando la creazione di Adamo dal fango con un fantoccio d’argilla che, attraverso riti magici, poteva animarsi ad una vita fittizia e robotica. Nel Rinascimento si trova cenno del golem in testi alchemici. Nel 1808 Jacob Grimm elabora in forma romanzesca la leggenda ormai popolare del golem costruito dal cabbalista e mago rabbi Loew (1515-1609). Nel 1915 esce «Der Golem», il romanzo dello scrittore e occultista praghese Gustav Meyrink. Recentemente ripubblicato, ebbe una fortuna tale da rendere internazionale l’antico mito.

Il ciclo di incontri allo Stensen«Figli dell’uomo»? Ci troviamo forse alla soglia della produzione biotecnologica dell’uomo? Ma allora, verso quali modelli di esistenza e responsabilità ci conducono le prospettive della ricerca genetica e biotecnologica a soli 50 anni dalla scoperta del DNA? A questa domanda cercheranno di dare una risposta o quantomeno un contributo di riflessione più di 30 studiosi italiani e stranieri nel corso di due mesi all’interno dell’iniziativa «Novembre Stenseniano 2003» promosso dall’Istituto Stensen di Firenze (Viale don Minzoni, 25/A – telefono 055-576551): in ottobre viene offerta la possibilità di un percorso informativo su alcuni aspetti storici, scientifici, tecnologici e sociali della scoperta del DNA; in novembre sarà invece descritto il nuovo orizzonte problematico, limitatamente ad alcuni tra gli eventi eticamente e culturalmente più significativi che caratterizzano i recenti sviluppi della ricerca genetica e biotecnologica, e proponendo alcune chiarificazioni concettuali e metodologiche che ci aiutino e orientino ad una valutazione serena e responsabile.

L’intero percorso viene inaugurato questo venerdì 3 ottobre nell’atrio dell’Auditorium Stensen dall’esposizione dell’artista Goffredo Gaeta: «DNA 50° – Dal caos all’ordine», e viene preceduto, ogni venerdì sera alle 21 da un ciclo di 8 film diversamente attinenti o inerenti al tema, con la partecipazione straordinaria di Vittorio Storaro e di diversi altri ospiti e critici cinematografici. L’esposizione, in particolare, costituisce la vera novità del «Novembre Stenseniano 2003». Attraverso l’intuizione e la sensibilità dell’artista, vengono proposte delle immagini e delle raffigurazioni che evocano gli aspetti più suggestivi e reconditi della rivoluzione scientifica in atto, a cominciare dalla rappresentazione simbolica della molecola del DNA, quale principio d’ordine che surrettiziamente traspare nel «groviglio» primordiale. «È un timido e audace tentativo – spiegano gli organizzatori – di favorire la comunicazione tra scienza e arte». Previsto l’intervento del soprintendente al polo museale fiorentino, Antonio Paolucci.

I primi appuntamenti prevedono venerdì 3 ottobre alle 18 la rammentata inaugurazione della mostra «DNA 50° – Dal caos all’ordine» di Goffreddo Gaeta e alle 21 per la serie «Costruire il corpo: la creazione artificiale» la proiezione dei film Frankenstein (Usa, 1931) e di The farm of tomorrow (Usa, 1954).

Il giorno successivo, sabato 4, alle 16,30, primo incontro-dibattito sul tema «Che cos’è il DNA». Presiede Marco Bazzicalupo ed intervengono Paolo Vezzoni («Dal DNA all’ingegneria genetica e il Progetto Genoma Umano») e Giovanni Boniolo («Implicazioni filosofiche della scoperta del DNA: la biofilosofia»).

La settimana successiva, per il cinema, venerdì 10 alle 21, per il tema «L’uomo moderno: il desiderio di allargare le proprie conoscenze», proiezione del Faust (Germania, 1925).Sabato 11 ottobre alle 16,30 si discuterà invece di «Come si interviene sul DNA – Transgenesi e clonazione» con Mario Polsinelli, Francesco Salamini («Nascita e sviluppo degli Organismi geneticamente manipolati») e Cesare Galli («Biotecnologie riproduttive animali»).

Per due mesi il programma proseguirà con questo ritmo, ma l’evento celebrativo ufficiale è previsto per venerdì 7 novembre alle 17 in Palazzo Vecchio con gli interventi del cardinale Paul Poupard e Luc Montagnier coordinati da Guido Chelazzi.