Lettere in redazione
Quando l’università ha paura del confronto
Trovo singolare che nella laicissima Francia, alla Sorbona, un giovane docente tiene lezione sulla filosofia elaborata da Benedetto XVI che entusiasma anche gli atei, mentre alla Sapienza si censura. È pure significativo che il premio Nobel Rubbia abbia dichiarato che fa’ parte della Accademia Pontificia delle Scienze insieme ad altri 80 scienziati, scelti non in base al loro credo religioso (ci sono anche atei) ma alle loro competenze. Due esempi di vera democrazia!
Esprimo un netto consenso all’iniziativa del Rettore Marinelli che ha invitato Papa Benedetto XVI all’Università di Firenze. Mi appare come un significativo gesto di civiltà ed intelligenza democratica, riparatore di una vicenda così negativa ed ingiustificabile (le contestazioni alla Sapienza) che ha gettato non poco disonore sull’intera Università italiana e più i generale sul nostro Paese, già visibilmente in affanno rispetto agli occhi della comunità internazionale.
Il senso del pudore e la decenza sono stati più che violentemente calpestati dalle massicce, intolleranti ed intollerabili proteste sollevatesi dal mondo accademico e dal mondo della sinistra studentesca contro la visita di Papa Benedetto XVI all’Università «La Sapienza» (che, per dovere di cronaca storica, è stata fondata proprio da un Papa, Bonifacio VIII, il 21 aprile del 1303). Se il tutto fosse circoscritto ad una massa di ragazzetti dei collettivi studenteschi che hanno voglia di rivivere i racconti nostalgici dei loro genitori sessantottini, la vicenda non sarebbe così allarmante, ma poiché ad essere coinvolti in prima linea, e con vistosa durezza, sono proprio molti, troppi, membri della classe docente de «La Sapienza», il fatto traghetta dalla quasi comicità alla certa tragicità che invece di sicuro lo identifica come un atto di liberticida criminalità ideologica. Il fatto è tanto più grave in quanto si tratta proprio di proteste e veti inastati proprio da soggetti che avrebbero il compito di formare i giovani e insegnare loro la tolleranza, il rispetto del prossimo, l’amore per la libertà. Impegnati nello studio di formiche, rocce, molecole ed atomi, sono i massimi propugnatori della inesistenza di Dio, della possibilità della scienza di dimostrare questa inesistenza e della assoluta inconciliabilità spesso anzi definita come aperto ed insanabile contrasto tra fede e ragione, così come viene scritto dal professor Marcello Cini nella sua missiva al rettore per protestare contro la visita di Ratzinger. È terribilmente sconfortante vedere quanti cattivi maestri vi siano ancora in giro nelle nostre Università e nel Paese.
Dopo l’invito del Papa alla Sapienza qualcuno per «par condicio» ha proposto alla Chiesa di invitare l’ateo Oddifreddi a parlare in Vaticano. È noto che all’Accademmia Pontificia delle Scienze gli atei ci sono già, ma dopo aver ascoltato il noto matematico a «Porta a Porta» penso che il Vaticano avrebbe tutto da guadagnarci se lo invitasse. Ma dubito che accetterebbe.
Siamo indignati per quello che è accaduto all’università La Sapienza di Roma. In questo paese c’è bisogno di riscoprire il significato della parola indignazione. Gruppi di contestatori, forse manipolati da cattivi maestri, hanno minacciato volgarità nei confronti di Benedetto XVI. Siamo indignati come cattolici perché viene così ostracizzata e tolta la parola nell’università, per noi culla del sapere e della libera espressione, appunto palestra di sapienza, alla massima autorità spirituale di milioni di italiani; lo siamo come amanti della cultura per la mancanza di rispetto all’uomo di scienza Joseph Ratzinger. C’è nel paese una brutta aria che, per comodità, chiamerò settarismo e c’è una omologazione nel voler mettere tra parentesi l’esperienza cattolica, straordinaria in Italia e nel tentativo di marginalizzare quelle culture, come la cattolico democratica, che ne sono figlie dirette; compreso il fronte democratico che sembra accartocciarsi sulle nomenclature, le varie caste.
Il Papa ha una dignità altissima e in queste condizioni, che non fanno onore all’università italiana, ha saggiamente dovuto rinunciare alla sua visita.Una grande ferita, causata da quei gruppettari che purtroppo nel nostro paese hanno spesso imposto la loro volontà fanatica ed estremista. Il primo ad esserne disgustato sarebbe lo stesso Galileo di cui si fanno abusivamente paladini. Che in un ateneo intitolato alla massima aspirazione del cuore umano e addirittura fondato da un Papa, spuntino docenti e studenti a gridare che il sapere «non ha bisogno di padri e di papi», accusando Benedetto XVI di essere un oscurantista e riesumando quei «collettivi» falsamente democratici di sessantottina memoria che pensavamo estinti, risulterebbe davvero grottesco se non fosse un segnale preoccupante dell’avanzamento del Nulla. Il grande Galileo per primo non sopporterebbe tanta tracotanza e presunzione fondata sul vuoto. Anche se tra quei professori ci sono illustri fisici essi fanno la figura di grandi ignoranti. Gli studenti che gli vanno dietro almeno hanno la scusante di essere figli di un fannullone nozionismo, ma loro no. Loro sono in malafede perché vogliono a tutti costi continuare a imporre un’idelogia che ci ha già rovinato abbastanza e che sotto varie forme ha portato l’umanità sull’orlo di una crisi molto grave. Essi non hanno alcuna relazione con Galileo: lui aveva ben chiara la distinzione e non contraddizione fra ricerca filosofica-di fede e metodo scientifico-sperimentale, che purtroppo i suoi contemporanei non erano ancora pronti ad accogliere.
Sono nauseta da ciò che è successo. Mi meraviglio soprattutto del fatto che non tutta l’Università, ma un manipolo di «taleban», intellettualoidi senza nè fede nè sapienza abbiano dettato con arroganza la loro volontà. Una scelta degna di Kabul, questo ci dimostra dove siamo arrivati in Italia, com’è ridotto il nostro Paese capace solo di produrre rifiuti, in tutti i sensi. Mi chiedo anche, ma so già la risposta, chi siano i cattivi maestri di questi giovani dalle menti imbevute di ideologie e di fanatismo, «figli di papà» della peggiore specie. C’è proprio da preoccuparsi se questa gente un giorno sarà la nostra nuova «classe dirigente». Magari sono gli stessi che dicono di lottare per la pace nel mondo, per l’uguaglianza e per la tolleranza, che si dichiarano contro la pena di morte.
Il Papa ha rinunciato intelligentemente a partecipare all’inaugurazione dell’anno accademico per evitare probabili situazioni di scontri che avrebbero potuto generare episodi di violenza. La domanda che sorge spontanea però, dopo che ogni parte politica ha gridato giustamente all’«incresciosità» dell’episodio in un paese democratico, è se l’università, come tutte le scuole, e come qualunque altra struttura pubblica, nelle sue architetture fatte di acciaio e di mattoni, appartiene ai suoi utilizzatori, cioè a quegli studenti e ai quei professori della Sapienza nel nostro caso, o allo stato, e quindi a tutti i cittadini, che attraverso quelle strutture possono usufruire dei diritti sanciti dalla costituzione, come quello all’istruzione. E se appartengono allo stato, e cioè a tutti noi cittadini, perché pochi studenti, aiutati da incomprensibili professori, si avocano il diritto della proprietà privata, di poter dire, seppur inopinabilmente secondo sani principi di vita democratica, chi è gradito oppure meno, in una casa che non è la loro, ma quella di tutti?
Condivido pienamente la decisione Vaticana, per la rinuncia del Pontefice a recarsi alla Sapienza a Roma. Condivido il pensiero di tante persone che condannano gli intolleranti, certamente possiamo affermare che noi italiani credenti e non credenti, siamo degli sconfitti, in questa triste vicenda, come sconfitta è la nostra blanda democrazia. Nel TG1 del 14 gennaio sono state trasmesse interviste vergognose. Domenica sera, da Fazio, su Rai3, sono state dette nefandezze e stupidità, indirizzate alle autorità religiose. Mi auguro che il senso civico prevalga, pregando per il Papa, nostra guida sicura di salvezza e portatore di verità, non solo per i credenti.
Dal processo di Galileo ad oggi il mondo della fede e quello della ragione hanno preso vie opposte. Il primo ha tentato e tenta un processo di purificazione e di correzione dalle gravissime forme di oscurantismo anche violento di molti «credenti», verso l’incontro, il dubbio e il dialogo. pur con diverse clamorose ricadute, il trend mi pare questo. Il mondo della ragione ha preso l’altra direzione, tornando ad un medioevo laicista. E questo avviene specie nella nostra Italietta dove da platee televisive cantano saccenti di ogni livello (ascolati e coccolati) mentre all’università della Sapienza (universitas studiorum = globalità di tutti gli studi) un gruppo di 67 professori si è opposto con voce risentita all’incontro e alla lezione di un Papa che pure è professore come loro. peccato! In italia abbiamo avuto un Bellarmino nel ‘600; eccone ora almeno altri 67 che si rifiutano di guardare in cannocchiali altrui che potrebbero svelare criteri e percorsi inattesi.
Queste lettere, che abbiamo dovuto ampiamente riassumere cercando di pubblicarne il più possibile, dimostrano lo sconcerto e l’indignazione di tanti cattolici per quanto è accaduto all’Università «La Sapienza» di Roma. Che 67 docenti sui circa 5 mila della «Sapienza», abbiano dissentito su quella visita non deve stupire più di tanto. È la riprova che qualche volta troppa scienza può portare fuori strada. La loro battaglia è perdente e datata, ma legittima. Casomai meraviglia il silenzio del restante 99% dei docenti che si sono ben guardati nei giorni in cui si discuteva dell’imminente visita dall’esprimere apertamente il loro consenso all’incontro con Benedetto XVI. Giustamente il Papa ha parlato di un «clima» negativo che lo ha convinto a rinunciare, più che di singole iniziative. Sfogliando i giornali o ascoltando le tv, si respirava, infatti, un diffuso compiacimento per le polemiche, per i distinguo del gruppo dei 67, per le minacciate contestazioni studentesche. In fondo si diceva Benedetto XVI se le era cercate quelle polemiche. E assieme a lui la Chiesa italiana, «rea» di troppe e frequenti «invasioni di campo». E qui sta il punto. Una parte influente dell’«intellighenzia» italiana non ha ancora digerito la sconfitta al referendum sulla legge 40. Teme che i cattolici che vorrebbe residuali e afoni possano rialzare la testa e riporre al centro del dibattito politico e culturale temi a loro cari, come la vita o la famiglia. A questo poi si aggiunge il travaglio del Partito democratico, chiamato a far convivere e dialogare culture una volta antagoniste, con tutte le tensioni che questo processo si porta dietro. Ma questo clima di scontro tra credenti e non credenti non fa bene al Paese. Anche per questo il Papa, domenica scorsa all’Angelus (IN 200 MILA ALL’ANGELUS; BENEDETTO XVI: COSTRUIAMO INSIEME UNA SOCIETA’ FRATERNA E TOLLERANTE), ha invitato tutti alla tolleranza e al rispetto reciproco, senza ingigantire lo «sgarbo» ricevuto.
Claudio Turrini