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Quando lo sport annuncia la pace

di Daniele RocchiSi è chiuso il 24 aprile il pellegrinaggio in Terra Santa degli sportivi, promosso dalla Cei, dal Centro sportivo italiano (Csi) e dall’Opera romana pellegrinaggi. Oltre 200 partecipanti, tra cui molti campioni del recente passato, hanno visitato i Luoghi Santi, incontrando molti altri pellegrini provenienti da diverse diocesi italiane. Momento clou dell’iniziativa è stata la maratona-pellegrinaggio da Gerusalemme a Betlemme cui hanno partecipato atleti italiani, palestinesi e israeliani che si sono passati di mano la fiaccola della pace, benedetta dal Papa il 14 aprile, e la bandiera olimpica.

«In questo pellegrinaggio mi sono tornati alla memoria i volti dei tanti atleti che ho conosciuto e visto in questi anni. Lo sport è nobile quando si coniuga con gratuità e solidarietà come è accaduto in questi giorni nei Luoghi Santi». Con questo ricordo, mons. Carlo Mazza, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, ha chiuso il pellegrinaggio. «Anche gli sportivi possono diventare ambasciatori di pace e la maratona-pellegrinaggio da Gerusalemme a Betlemme, inserita nel pellegrinaggio degli sportivi, lo ha dimostrato ampiamente. In particolare, voi che avete corso siete stati la rappresentanza più alta dello sport italiano e dovete esserne orgogliosi». «Lo sport è gratuità – ha aggiunto – se perdiamo di vista questo non ha senso praticarlo. Lo sport ci fa assumere nuove responsabilità perché ci fa riscoprire le nostre capacità e risorse. Credo che questo sia stato il risultato più prezioso di questi giorni».

«Lo sport – ha detto Edio Costantini, presidente del Csi – ha la capacità di far incontrare le persone e propone un cammino in cui emerge la speranza che tutto quello che abbiamo vissuto, incontrato, ascoltato e visto possa aiutarci a dare senso alla nostra vita. Le persone oggi, specie i più giovani, sono in difficoltà, perché non riescono a dare senso alla vita. E lo sport, per le sue capacità di stare dentro le regole, per l’allenamento che richiede è lo strumento più adatto per riuscirci». «L’esperienza di questo pellegrinaggio – è stato l’auspicio – deve essere interiorizzata perché diventi significativa. La cosa più bella di questi giorni sono state le relazioni, quelle stesse che si ritrovano al centro del Vangelo: volere bene alle persone è cosa difficile. Lo sport può aiutarci a fare questo. Il pellegrinaggio – ha concluso Costantini – è stato un gesto forte sportivo-religioso per l’invito al dialogo, alla riconciliazione e alla pace».

Atleti israeliani e palestinesi stretti in un simbolico abbraccio attorno alla fiaccola della pace, benedetta dal Papa il 14 aprile e alla bandiera olimpica. È l’esito della maratona-pellegrinaggio da Gerusalemme a Betlemme. Un gruppo di circa 20 atleti, il più giovane di 20 anni, il più anziano di 78, del Centro sportivo italiano e israeliani sono partiti, tra ingenti misure di sicurezza, alla volta di Betlemme dove, nei pressi del check point israeliano sono stati salutati da atleti palestinesi che hanno preso in consegna la fiaccola e la bandiera fino alla basilica della Natività. «Uno scambio commovente» ha detto l’israeliana Ruti, 20 anni, campionessa della mezza maratona che ha raccontato «tutta la voglia di pace che c’è nella popolazione». Lungo la strada bagnata da una leggera pioggia volti felici, per nulla affaticati, coinvolti in una gara che di competitivo non aveva nulla. «L’unica competizione era tra chi voleva tenere la fiaccola più a lungo», ha rivelato Renzo Frattari, maratoneta con alle spalle oltre 30 gare. Il passaggio degli atleti è stato salutato dai passanti e dalla gente affacciata alle finestre, mentre le autovetture suonavano i loro clacson.

Al momento dello scambio della fiaccola con gli atleti palestinesi un fatto che resterà, forse l’immagine più emblematica di questa giornata: i giovani israeliani hanno continuato a correre con i loro colleghi palestinesi oltre il limite fissato dalle norme di sicurezza, quasi a voler proseguire con loro questa gara. Non è mancata qualche lacrima. Prima del check point hanno dovuto recedere dall’impresa.

Nel frattempo gli atleti palestinesi hanno proseguito la loro corsa, scortati dalla polizia di Betlemme, a sirene spiegate, fino al piazzale della Natività. Sull’ultima salita, dietro la fiaccola, anche qualche bambino mentre alcuni atleti si fermavano a scattare delle foto con la gente del posto. All’arrivo l’impegno e la promessa di 3 atleti palestinesi, il cattolico Issa, 16 anni, l’ortodosso Johnny, 15 anni, e il musulmano quindicenne Ehabodeh: «Il prossimo anno partiremo tutti da Gerusalemme!».

Un ghetto cristiano a Gerusalemme? È il grido lanciato dal Custode di Terra Santa, padre Giovanni Battistelli, che in una dichiarazione al Sir, rilasciata durante il pellegrinaggio diocesano di Roma e degli sportivi, è intervenuto sul progetto che vedrebbe la chiusura di «Porta Nova» a Gerusalemme, a causa dei lavori di costruzione della metropolitana. «Porta Nova – ha detto – coinvolge la città di Gerusalemme e la sua libertà di entrata e di uscita. La metropolitana che passa proprio davanti la porta impedirà l’ingresso delle auto nel Quartiere latino abitato da oltre 5000 cristiani e dove la Custodia possiede oltre 300 appartamenti, tutti assegnati a famiglie cristiane bisognose. Impedire alle vetture di entrare provocherà delle ripercussioni su tutti gli abitanti del quartiere, sulle attività commerciali, culturali e sociali. Verrebbe penalizzata anche l’attività della parrocchia, funerali, matrimoni, battesimi, cerimonie varie, messe domenicali. Chiudere la porta significa creare un ghetto e questo non è tollerabile».

Per evitare che ciò avvenga, ha aggiunto padre Battistelli, «stiamo facendo dei passi decisi. Abbiamo parlato con i progettisti della metro che non ci hanno dato assicurazioni di sorta. In una recente visita alla Custodia abbiamo anche interpellato il ministro dell’Interno israeliano che però si è detto all’oscuro di tutto rimandando ogni decisione alla municipalità di Gerusalemme. Scriveremo al sindaco della città ma crediamo che ogni decisione sarà politica e questo non me lo auguro». La chiusura della «Porta nova» oltre a causare danni ingenti alla popolazione del Quartiere Latino costringerà i suoi abitanti a un lungo giro intorno alla città creando ulteriori disagi.

«Non è possibile chiudere l’accesso di “Porta Nova”, ha dichiarato mons. Pietro Sambi, nunzio apostolico a Gerusalemme e in Palestina. Nel Quartiere ci sono istituzioni importanti e una popolazione rilevante. Abbiamo parlato con le autorità competenti per la soluzione di questo problema. “Porta nova” non si tocca». Per quanto riguarda il rinnovo dei visti al personale religioso della Chiesa cattolica, mons. Sambi ha affermato che si tratta di “un problema serio per i cristiani in genere, poiché pone i religiosi in una situazione di illegalità e blocca in parte le attività della Chiesa. Siamo intervenuti energicamente. Abbiamo avuto delle promesse, ma è tempo adesso di vedere i fatti».

Ruini: «Abbiamo visto le divisioni tra i cristiani e le speranze di unità«In questi Luoghi Santi abbiamo potuto vedere i segni della divisione tra cristiani e della difficoltà dei rapporti tra le Chiese. Con fiducia preghiamo per l’unità dei cristiani perché siano segno di comunione per tutto il genere umano». È quanto ha affermato il card. Camillo Ruini, presidente della Cei, celebrando nella basilica della Natività di Betlemme la messa al termine della maratona-pellegrinaggio «Gerusalemme-Betlemme»”.

«Siamo qui per pregare per la pace – ha proseguito – una dimensione indispensabile e irrinunciabile di questa nostra vita. Gesù ha abbattuto il muro di inimicizia che separava gli uomini. Chiediamo al Signore con fede di poter abbattere il muro dentro di noi che ci separa dagli altri uomini e da Dio stesso. Uniti con Dio per essere uniti con i fratelli. Maria, simbolo concreto dell’amore, della gentilezza e della tenerezza di Dio verso di noi, interceda per noi, per la pace e l’unità. Unità anche nella Chiesa tra tutti i cattolici, tra tutti i cristiani». Il cardinale ha ricordato che «l’importanza che la Chiesa dà alla persona e alla vita umana in ogni sua fase si basa sulla fede che abbiamo nell’Incarnazione».

«Il bambino concepito a Nazareth – ha detto il cardinale – è stato dato alla luce a Betlemme. Qui si è incarnato. Comprendiamo allora perché la fede cristiana ha così grande il senso del valore della persona, dalla nascita alla morte, che merita rispetto, amore e libertà. Ogni persona umana deve poter realizzare in sé quella immagine di Dio da cui è stata creata. Questo è il motivo che spinge l’umanità verso l’unità. Il nostro tempo porta con sé numerosi problemi ma anche la possibilità data a tutti gli uomini di conoscersi, incontrarsi e comprendere che tutti insieme formano un’unica famiglia umana quella dei Figli di Dio in Gesù».