Pisa

Quando le famiglie crescono in canonica

di Andrea Bernardini

Coppie di sposi ospiti della canonica nei week-end, celebrazioni eucaristiche sentite, partecipate eda misura di bambino , percorsi paralleli di formazione per genitori e figli che si preparano ai sacramenti, papà e mamma che studiano la «Familiaris Consortio». Siamo a Cavriglia, un paese di duemila anime sul crinale che divide la valle dell’Arno dal Chianti. Una chiesa dedicata a San Giovanni Battista, una grande canonica dove vivono, in appartamenti separati, il parroco don Maurizio Del Bue e il vicario parrocchiale e una giovane famiglia: papà Samuele Benedetti, impiegato, mamma Alessandra, farmacista, i figli naturali Marta e Giulia e tre bambini in affido part-time. È una delle trenta comunità dove si sperimenta «sul campo» il progetto pilota «parrocchia e famiglia» promosso dalla Conferenza dei vescovi italiani per riportare la «famiglia al centro della pastorale». Una esperienza che si rifà alla «teologia della famiglia» di don Giorgio Mazzanti ed è stata raccontata ad un nutrito gruppo di coppie pisane, ritrovatesi per ascoltarli domenica nei locali della chiesa della Sacra Famiglia.«Vivere gomito a gomito con una famiglia – commenta don Maurizio, 41 anni, 11 da sacerdote – è per un prete salutare. Troppo spesso noi preti rischiamo di ragionare da single».«Vivere gomito a gomito con un prete – gli fa eco Samuele, 11 anni da sposo – è per una famiglia una opportunità preziosa: perché si acquisisce consapevolezza del valore del matrimonio cristiano».Risultato: tutta la pastorale assume uno stile diverso. Un colpo di spugna e i luoghi comuni che segnano il passo in molte comunità vengono superati: via le diffidenze reciproche, l’immagine del sacerdote burocrate delle cose sante e della famiglia cristiana, che diviene «modello» se fa figli e collabora in parrocchia. Qui prete e laici si mettono alla pari. Ciascuno riconosce all’altro le proprie peculiarità: maestro di fede il primo, maestri di vita i secondi. Il prete educa le famiglie a vivere il matrimonio come segno dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa, mettendo a frutto i sei anni di teologia richiesti per la preparazione al sacerdozio. La coppia di sposi aiuta il prete a far conoscere i ritmi di vita, gli equilibri, le fatiche, le domande di senso e le aspettative pedagogiche di una famiglia.Insieme scoprono molti elementi in comune della loro vocazione: ordine e matrimonio, ad esempio, hanno una identica missione, quella di «formare e dilatare il popolo di Dio».Intanto ogni lunedì quindici coppie di sposi si ritrovano per approfondire il senso del matrimonio cristiano leggendo i documenti del Magistero della Chiesa. Durante la liturgia della Parola delle celebrazioni domenicali don Maurizio porta i più piccoli in una cappella laterale e spiega loro segni e testi che ai più possono apparire di non facile comprensione. E più in generale la celebrazione è forse un po’ chiassosa, ma vissuta, intensa e la chiesa non chiude le porte a nessuno in nome del silenzio. Nella preparazione dei bambini ai sacramenti dell’iniziazione cristiana i genitori si sentono pienamente coinvolti e primi educatori.In canonica chi suona alla porta del prete… trova chi c’è: don Maurizio, ma anche Samuele e Alessandra, pronti all’accoglienza e all’ascolto, un volto amico di cui potersi fidare alla pari del prete.Specie quelle coppie che, nei fine settimana, vengono a Cavriglia per ritemprarsi, per ritrovarsi, per condividere un pezzo del cammino dei coniugi Benedetti.E, d’altronde, don Maurizio Del Bue, «fa famiglia» anche con altri sacerdoti e laici: il suo vicario parrocchiale e gli altri preti che ruotano intorno alla parrocchia, ma anche il diacono permanente o i catechisti.I tre la mattina si ritrovano a pregare insieme, ai pasti comunicano le preoccupazioni della famiglia e quelle delle scelte pastorali da adottare in parrocchia.Scelte da non imporre, da condividere con tutti gli altri, secondo quello che si fa – o si dovrebbe fare – in una comune famiglia. Un’esperienza-segno. Facilmente importabile? In questa forma probabilmente no. Ma è forte anche nella nostra diocesi l’esigenza di comunità parrocchiali a «dimensione di famiglia» dove il prete e laici camminano alla pari riconoscendosi i reciproci carismi.