Opinioni & Commenti

Quando la sanità mette in mostra il volto mostruoso

di Angelo Passaleva

«Giuro… che vivrò per il bene dei malati,secondo le mie forze e il mio giudizio….Mi asterrò dal recar danno e offesa…»(Giuramento di Ippocrate, V secolo Avanti Cristo)

Da quando al concetto di «dignità della vita» si è sostituito quello di «qualità della vita», con l’implicito suggerimento che vale la pena di vivere se l’esistenza è qualitativamente buona, l’intera società umana si è andata progressivamente assoggettando alle leggi dell’economia e del profitto individuale. Si ritiene, infatti, che qualitativamente buono significhi possibilità di realizzare ogni desiderio e di non avere alcuna difficoltà da affrontare. Ma per questo occorre la disponibilità di risorse che consentano di far fronte alla «ricorrenza dei desideri» ed alla loro soddisfazione. Non è dunque casuale se i valori della solidarietà, della accoglienza, della condivisione e del rispetto reciproco lasciano il posto al tornaconto personale, all’individualismo, al riflusso nel privato. È altrettanto logico che all’interno di una collettività scarsamente coesa per l’allentamento del «patto sociale fondamentale» emergano epifenomeni, del tutto aberranti, ma comunque frutto del contesto nel quale si manifestano.

Per fortuna gli episodi più gravi continuano a suscitare scandalo e condanna da parte dell’opinione pubblica, anche se questa tende all’assuefazione. Questo accade particolarmente quando è in gioco il tradimento di valori interpersonali tradizionalmente indiscussi e indiscutibili quali il rapporto fiduciario tra medico e paziente.

Per oltre 2.500 anni il Giuramento di Ippocrate è stato alla base del patto di reciproco rispetto e di dedizione del medico alla tutela della salute. Quel giuramento che è tuttora alla base del nuovo codice di deontologia medica al quale ogni laureato in medicina, chirurgia e odontoiatria deve attenersi nell’esercizio della professione. La responsabilità, nel contesto del diritto alla libertà e indipendenza della professione, è strettamente personale e non può essere imputata ad altri. Nel nuovo codice deontologico si legge infatti : «Il medico, nell’esercizio della professione… non deve soggiacere a interessi, imposizioni e suggestioni di qualsiasi natura».

Evidentemente l’avidità del denaro e del tornaconto personale sono più forti di un giuramento e del rispetto di regole scritte ma anche di quelle non scritte e comunque insite nella coscienza di ogni persona. Tradire la fiducia, compiendo atti che deliberatamente sono finalizzati ad ottenere un maggior guadagno, senza un reale beneficio per il paziente, anzi con il pericolo di aggravarne lo stato di salute, è quanto di più spregevole si possa immaginare. È altrettanto grave lucrare illecitamente dichiarando prestazioni sanitarie non fatte o ottenendo vantaggi economici su acquisti di apparecchiature, materiali di consumo o farmaci a scapito delle risorse già risicate del Sistema sanitario nazionale. Sono atti che gettano il discredito su tutta una classe di professionisti, ma che fanno anche pensare al livello di degrado della nostra società.Quando la sanità mette in mostra il volto mostruoso

E’ vero che il male fa sempre molto rumore mentre i comportamenti corretti non assurgono agli «onori» delle cronache. Ma è giusto che sia così, perché l’onestà quotidiana è dovere di ogni cittadino ed in particolare del medico, delle centinaia di migliaia di medici che nel nostro paese operano con rettitudine e competenza, nel silenzio e, spesso, tra molte difficoltà. Va denunciato e punito severamente il medico che tradisce la propria «Missione», ricordando, tuttavia, che molti, molti di più svolgono correttamente il loro dovere.

Già, la «Missione». Una parola che è diventata desueta, quasi un tabù. Se chiami così la professione del medico sei considerato retorico o retrogrado. Ma da quando la scelta di fare il medico non si accompagna in modo chiaro alla consapevolezza che si tratta di una professione bellissima che però richiede tanta dedizione, spirito di sacrificio, sforzo di aggiornamento costante, pazienza, capacità di empatia, di condivisione, di accoglienza, la professione rischia di diventare un mestiere come un altro e può prevalere il desiderio di «usare» l’arte medica come semplice fonte di guadagno.

I fatti di cronaca che mi hanno indotto a queste riflessioni sono semplicemente mostruosi. Ma sono il frutto di una società che sembra non avere più riferimenti etici e valori condivisi. Una società, come scriveva San Paolo nella Lettera ai romani, che, avendo «disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati… sicchè commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia… di frodi… insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia».Stiamo servendo a Dio o a mammona?