Opinioni & Commenti
Quando la politica vive in simbiosi con la tv
di Domenico Delle Foglie
Sono davvero lontani i tempi della «tv cattiva maestra», secondo la celebre formula di Karl Popper. Siamo già molto oltre. La cattiva maestra non ha perso tempo e ha sposato disinvoltamente la tv verità e i reality (provare per credere, date un’occhiata al programma «Tamarreide» in onda su Italia 1). Nel frattempo, incurante della mission culturale ed educativa della tv, la politica non ha mollato la presa sulla tv generalista, ovvero la più grande industria culturale del Paese.
Intanto va detto che sarebbe un grossolano errore di prospettiva ridurre il problema alle stanze non più ovattate della Rai, luogo del più feroce scontro politico fra i partiti italiani, almeno a partire dal primo e lontano centrosinistra. Da quelle parti lo spoiling system è la regola non scritta. Ma al contesto politico non sono estranee neppure le «altre» tv. Mediaset è di proprietà del premier Silvio Berlusconi, ovvero uno dei più grandi tycoon internazionali che anche grazie alle sue tv ha sbancato, a più riprese, il tavolo della politica. E Telecom Italia Media, pur vantando libertà, in realtà non è affatto insensibile alle sirene politiche, non fosse altro che per i suoi variegati interessi industriali.
Quanto sta accadendo in queste ore dà la misura della morsa ferrea della politica sul sistema televisivo generalista.
In Rai il nuovo direttore generale non rinnova i contratti a personaggi eccellenti quanto scomodi (vedi Michele Santoro), mentre i quotidiani di opposizione cavalcano le intercettazioni telefoniche dalle quali emerge una rete di rapporti incestuosi di massimi dirigenti Rai con il partito di maggioranza relativa, al fine di condizionare politicamente l’informazione della tv di Stato. La Fininvest, dal canto suo, piange miseria per la condanna di Silvio Berlusconi nel processo «Mondadori». Di qui persino un tentativo di inserire una variazione al codice civile nella Manovrona per frenare gli esiti dell’eventuale condanna, ovvero l’esborso di 560 milioni di euro a favore della Cir di Carlo de Benedetti. Dalle parti de La 7, poi, pare che le trattative per ingaggiare Santoro (sempre lui ) siano state interrotte per le pressioni «politiche» esercitate su Telecom da parte della maggioranza di governo, in regime di «conflitto d’interessi». E il padrone di Sky, Rupert Murdoch, che conosce la politica italiana, manifesta interesse per Telecom Italia Media, il cosiddetto terzo polo televisivo italiano.
Scusate il lungo racconto dei fatti, degno di una spy story. La realtà è che la politica vive letteralmente in simbiosi con la tv, dalla quale dipendono non solo fortune politiche, ma anche industriali e finanziarie. E gli spettatori italiani? In attesa che la politica (di ogni colore) abbia fatto bene i suoi conti e che un nuovo punto di fragile equilibrio venga trovato, si accontentino delle repliche estive, dei «DaDaDa», di trasmissioni improbabili e dilettantistiche come «Miss Italia nel mondo» e delle chiusure anticipate delle programmazioni. Ché la politica ha bisogno di tempo per rimettere al loro posto tutti i tasselli del mosaico. Altro che dibattito sulla libertà Ma di cosa parlano i Santoro, i Mentana, le Gabanelli e le Dandini? E con loro un esercito di politici maledettamente «pelosi»? Per carità, non fateci così stupidi. Davvero nessuno è perfetto sotto il sole della tv italiana, pubblica, privata e commerciale.