Siamo proprio sicuri che la fragilità umana sia sempre qualcosa da correggere e da curare? Non abbiamo mai pensato alla possibilità di trasformarla in una risorsa, tanto più importante in quanto inaspettata?Di questo si è discusso sabato scorso al convegno della Caritas, a Pisa all’auditorium Giuseppe Toniolo (nella foto il tavolo dei relatori).Convegno apertosi con gli interventi dell’arcivescovo Alessandro Plotti e del direttore della Caritas diocesana don Emanuele Morelli. Significativa la testimonianza di Gaetano Giunta che, con l’ausilio di schede ed immagini, ha illustrato alcune realizzazioni portate avanti a Messina con un gruppo di giovani «fragili», psichiatrici o tossicodipendenti, in una realtà altrettanto «fragile», quella siciliana, in cui la mafia la fa da padrona. «Il nostro lavoro ha fatto sì che, non solo dei giovani ritenuti senza speranza potessero avere una loro dimensione sociale, ma anche che la società intorno prendesse coscienza della propria forza» ha affermato Gaetano Giunta. E così «per la prima volta sul territorio ci sono state delle denunce di privati cittadini contro associazioni di stampo mafioso».Altri scenari ed altre esperienze quelle vissute da Ugo Biggeri, della fondazione culturale Banca Etica. La sua famiglia insieme ad altre due vivono in una struttura messa loro a disposizione dalla Chiesa, offrendo accoglienza a chi si trova in stato di bisogno. Un’esperienza che è servita anche a capire i limiti personali e di gruppo: «Abbiamo provato ad accogliere tossicodipendenti, ma non ce l’abbiamo fatta; mentre con gli ammalati psichiatrici andiamo alla grande, forse perché siamo un po’ matti anche noi!». Anche l’esperienza della Banca Etica è stata illustrata in modo esaustivo: si sono incontrate molte difficoltà per fondarla.Intervento vibrante quello di don Vinicio Albanesi, della comunità di Capodarco, nonché direttore della Caritas di Fermo. Don Albanesi ha esposto quelle che a suo dire sarebbero le cinque «piaghe» della Chiesa cattolica: verbalismo, estetismo, moralismo, equilibrismo ed egoismo. Ma ha anche parlato dei quattro frammenti biblici che possono dare una speranza di salvezza: la creazione, l’esperienza di Dio, l’unità e la misericordia. Quella della comunità di Capodarco, che riunisce un’umanità estremamente fragile, è innanzitutto un’esperienza di misericordia e di «sospensione di giudizio». «Noi non abbiamo nessun diritto di giudicare» ha tuonato don Albanesi, «non l’ha fatto Gesù Cristo e tanto meno possiamo farlo noi».È stata poi lasciata la parola all’auditorio. «La frequentazione con la fragilità umana mi ha fatto perdere fiducia e spontaneità, sono sempre sul chi vive» ha affermato Elisa; «la chiesa, al di là dei problemi e dei difetti, è l’unico luogo dove si può costruire insieme la speranza» ha sottolineato un’altra giovane. E su questa nota positiva l’assemblea si è sciolta.