Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Quando il vescovo Franciolini salvò gli ebrei nell’episcopio.

Numerose sono state le iniziative promosse martedì 27 gennaio, nell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, per ricordare la Shoah, le leggi razziali, le deportazioni, le prigionie, le persecuzioni, la morte di cittadini italiani ed ebrei e per onorare coloro che si sono opposti allo sterminio rischiando anche la propria vita. L’Italia riconosce questa data come la «Giornata della memoria». Ed ecco riemergere puntualmente, anche a distanza di decenni e dopo tante precisazioni da parte di eminenti studiosi, sospetti e insinuazioni nei confronti del Papa Pio XII e della Chiesa, accusata di non aver preso posizione contro le leggi razziali fasciste del novembre 1938 e contro la deportazione degli ebrei durante l’occupazione tedesca dell’Italia nel 1943-45. Si dimentica probabilmente che Pio XI reagì in modo nettissimo alla crescente prepotenza del regime nazionalsocialista e ai tentativi di soffocamento della vita religiosa con la lettera «Mit brennender Sorge», scritta (si può dire) “a quattro mani” e, quindi, pienamente condivisa dal cardinale Pacelli. Gli storici riconoscono che in realtà l’opposizione cattolica fu l’unica a mantenersi validamente anche negli anni più duri dell’oppressione. Come si può dimenticare che più tardi Pio XII aprì agli ebrei le porte di San Giovanni, di San Paolo e dello stesso Vaticano in modo da metterli al riparo? È noto che lo stesso Pio XII seguì con attenzione la trattativa della comunità ebraica di Roma con il colonnello delle SS Robert Kappler, che pretendeva oro, denaro e preziosi per evitare rastrellamenti, e che la Santa Sede integrò quanto era stato raccolto con un determinante contributo.Vogliamo solo far notare che Pio XII non limitò a Roma la sua azione: mobilitò anche vescovi e parroci incoraggiandoli ad offrire ogni genere di protezione agli ebrei, senza ovviamente escludere militari italiani e alleati sbandati, comunisti e socialisti invisi al regime. Significativa fu, a conferma di tutto ciò, la vicenda del rabbino capo di Roma, Zolli, che, dopo la tragedia della guerra, si convertì al cristianesimo, ricevette il battesimo e prese il nome di Eugenio, in onore di Pio XII.Ma veniamo al caso nostro. La «Giornata della memoria» ci offre l’occasione per ricordare che, sulla linea indicata da Pio XII, si mossero a Cortona il vescovo Giuseppe Franciolini e vari parroci, uno per tutti don Rodolfo Catorcioni, parroco di Cantalena, la cui abitazione, nella montagna cortonese, era diventata ritrovo fraterno e rifugio di partigiani e perseguitati politici.Monsignor Franciolini per tutta la durata delle operazioni belliche si era adoperato per aiutare e lenire le sofferenze di quanti erano stati colpiti più direttamente dall’orrore della guerra e dalle persecuzioni politiche. I suoi interventi di Pastore si susseguirono e divennero sempre più concreti in funzione del momento: accoglienza dei feriti giunti a Cortona, frequenti visite negli ospedali per confortare i soldati ricoverati, celebrazioni e preghiere nei luoghi di cura allestiti per i soldati, sostegno economico e morale agli sfollati che dalla Valdichiana avevano trovato rifugio a Cortona. Ma la sollecitudine e la protezione di Franciolini furono particolarmente rivolte ai perseguitati dalle leggi razziali. Nel volumetto «La piccola patria», che raccoglie le testimonianze dei parroci del cortonese relative al passaggio del fronte nel giugno-luglio 1944, possiamo leggere le commoventi e dolorose esperienze vissute da perseguitati che si erano rifugiati a Cortona: scrittori e letterati come Nino Valeri e Giacomo Debenedetti con la moglie Renata Orengo.Ecco un interessante particolare riferito da don Paolo Bartolini, recentemente scomparso: «In occasione della visita pastorale a San Pietro a Cegliolo, Renata Debenedetti raccomandò al vescovo i vecchi genitori di Marcella Pavolini Hannon, ebrei, per salvarli sia dalla persecuzione sia razzista che politica. Il vescovo non solo rispose affermativamente, ma offrì addirittura di ospitarli in vescovado. Questo atto, così pieno di carità, passato il fronte, portò al loro battesimo nella cappella dell’episcopio. Fu commovente vedere due sposi così anziani avvicinarsi all’altare tenendosi per mano».Dovrebbero bastare semplici, ma simbolici, gesti di carità come questi, insieme ad atti di coraggio e di generosità di tanti parroci del tempo, ad abbassare i toni della controversia contro Pio XII e la Chiesa, controversia che si fonda non tanto su motivi storici, quanto su preconcette impostazioni ideologiche.di Benito Chiarabolli