Cultura & Società
Quando il tempo era senza orologi
La misura del tempo è stata per l’uomo un problema che si è affacciato immediatamente al suo pensiero e nelle diverse epoche ha avuto infinite soluzioni, adottate e abbandonate man mano che si adattavano o non rispondevano più alle necessità pratiche della vita. Molti di questi sistemi non sono morti del tutto, ma si sono associati ai nuovi, hanno convissuto con questi e hanno lasciato sedimenti che sono testimonianze di un altro sentire il tempo, di percepirlo, che è un altro modo di vedere il mondo e la vita.
Esce in libreria in questi giorni per la Casa Editrice Nerbini (Firenze, pp. 216, euro 11) il volume di Carlo Lapucci Il tempo senza orologi che comprende tra l’altro il calendario dei giorni curiosi e dei santi patroni, i tempi dei giochi e degli alimenti tradizionali, le ore, giorni e mesi del passato, le tradizioni popolari dei lunari, le corone dei mesi, le curiosità degli almanacchi, le misure naturali del tempo.
Emergono consuetudini, termini, frasi fatte, formule, proverbi, misure, espedienti che, superstiti nel mondo della lingua, hanno perduto anche la loro spiegazione che si ritrova con piacere in queste pagine che hanno il sapore di una vita più direttamente collegata alla natura e ai suoi riti annuali.
Non si sospetta più che fino al XVI secolo non si usasse comunemente il calendario numerico, adoprato soltanto nell’amministrazione e nelle organizzazioni pubbliche, mentre la gente chiamava i giorni per nome, usando celebri avvenimenti caduti in quel giorno, festività, commemorazioni di santi. A stento s’immagina che ogni giorno aveva una ricorrenza fantastica da celebrare: la creazione del mondo, la nascita di Caino, la distruzione di Sodoma e Gomorra, la festa degli asini, la festa dell’omo selvatico, l’interdizione dei salassi, l’indicazione dei salassi, i giorni neri; in più un grande repertorio di feste di santi che, essendo protettori di qualche categoria, determinavano la festa di ciabattini, cocchieri, barbieri, carcerati e un’infinità di altre attività. Questo evidentemente è nato dalle antiche corporazioni che avevano tutte quante un loro santo protettore e ne celebravano la festa che era naturalmente la festa annuale di quel mestiere o di quell’arte.
Lapucci ha ripercorso, descritto e antologizzato anche tutte le composizioni celebrative che un tempo accompagnavano le varie scadenze annuali, le leggende, i proverbi, le usanze, ha indagato e frugato negli angoli morti della cultura dimenticata raccogliendo una serie di veri gioielli relativi alla cultura popolare, come le composizioni poetiche per rappresentazioni, dette corone dei mesi.
Inoltre presenta in brevi e chiari capitoli quelli che per noi sono ormai veri misteri: l’epatta, il numero d’oro, le rogazioni, le Quattro tempora, il calcolo delle lunazioni, i promemoria calendariali, le corrispondenze tra i fenomeni naturali per il calendario dei lavori della campagna.
Un antico e perduto calendario ricostruito è quello dei tempi, ossia il rituale avvicendarsi dei giochi dei ragazzi nel corso dell’anno, di cui forse oggi è rimasto solo il fuoriverde, ma che un tempo era rigorosamente osservato. Così pure il calendario degli alimenti stagionali che variava periodicamente anche la mensa più umile. Particolare attenzione è rivolta alla misura del tempo attraverso metodi empirici: l’orologio dei carbonai che traguarda l’Orsa minore, il comportamento degli animali, le ombre segnate dalla posizione del sole e infiniti altri accorgimenti. Un saggio iniziale ci porta in un’altra idea del tempo: illustra il grande edificio innalzato dall’uomo nel tentativo di dominare questa entità misteriosa che è il tempo: un tesoro di sapienza e di esperienza che sottrae ancora l’uomo allo smarrimento che deriverebbe da un’idea di tempo uniforme, tessendo i piani dell’essere: da quello minerale, al vegetale, all’animale, all’umano, al divino, ponendo l’essere umano in rapporto con ogni realtà del mondo.
Nella cultura cristiana il Demone meridiano si è identificato per lo più nella lussuria, la tentazione più temuta dai Santi, dagli anacoreti, dai religiosi e che si fa particolarmente forte nell’ora calda dell’estate, dopo che il cibo ha ridato vigore all’organismo. È anche l’ora nella quale sono più desti e attivi i serpenti che si aggirano per le campagne e i boschi: la connessione serpente-diavolo ha forse suggerito questa figura collegandola al pregiudizio dell’Ora infausta di provenienza pagana che i Romani avevano nel loro calendario segnandovi giorni e ore nefaste. La credenza si collega anche alle dicerie pagane che vogliono l’ora del meriggio estivo quella sacra al dio Pan e ai riti amorosi dei Satiri e delle Ninfe, e vi agisce simbolicamente l’Ora del serpente.