Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«Puntiamo su uno stile che coniuga formazione, animazione e sostegno a chi non ha voce»

Le situazioni di povertà ed emarginazione sono molto più diffuse di quanto possiamo immaginarci. Anche nella nostra ricca Toscana. Anche la Caritas cerca di fare la sua parte, ma non è sempre facile. Sicuramente l’esperienza del Servizio civile nazionale apporta nuove energie e permette un percorso educativo e formativo per i ragazzi. Siamo andati a parlarne con il responsabile regionale Caritas Luca Orsoni.Quali sono i settori prevalenti nei progetti di servizio civile della Caritas Toscana?«Nelle Caritas della Toscana come in tutte le Caritas d’Italia, il settore prevalente è quello dell’assistenza, perchè a questo molto spesso sono chiamate le Caritas. Direi che il 90% circa dei progetti è dedicato all’assistenza, lasciando l’altro 10% all’ambito educativo. I progetti in questi anni si sono spostati da una linea molto assistenziale ad una linea più educativa”» Per quanto riguarda il profilo motivazionale dei ragazzi ci sono stati cambiamenti rispetto al periodo dell’obiezione di coscienza?«Il livello motivazionale degli obiettori è molto cambiato negli anni. Soprattutto i primi, a metà degli anni ’70, avevano una forte motivazione ideale. Quelli degli ultimi anni dell’obiezione sceglievano il servizio civile più per convenienza, come ad esempio la possibilità di restare vicini a casa o al luogo di studio. Bisogna dire che la fascia di età che va dai diciotto ai ventotto anni è assai ampia e lavorare con un diciottenne che ha appena finito la scuola superiore o un ventottenne già laureato che magari ha già avuto qualche esperienza lavorativa non è la stessa cosa. Per quanto riguarda la Toscana i giovani che vengono nelle nostre Caritas sono molto motivati, vogliono fare un’esperienza, ma soprattutto imparare una professione e qualificarsi in un settore specifico. Più che per una motivazione ideale, potremmo dire che si ha una motivazione professionale. Questa esperienza è vista dal giovane come la possibilità di imparare una professione».Esiste una sorta di legame tra precarietà nel mondo del lavoro e la scelta del servizio civile?«In Toscana, il numero di giovani che nell’anno della scelta del servizio civile non trova lavoro, o che non sa cosa fare, non è poi così elevato. Al massimo si può arrivare al 25% dei casi. Molti giovani arrivano al servizio civile che ancora non hanno avuto un’esperienza lavorativa e pensano che possa servigli ad aprirgli una strada in un determinato settore. Per esempio ci sono tantissimi psicologi ed educatori».I ragazzi del servizio civile in Caritas vengono da esperienze ecclesiali?«Quantificherei i ragazzi provenienti da questi tipi di esperienze attive attorno fra il 5 e 10%: non di più».L’Arci di Arezzo avrà 82 ragazzi in servizio, mentre la Caritas in tutta la Toscana ne avrà circa 150. Come mai questa differenza?«Questa è una scelta della Caritas. Ci siamo interrogati sul numero di giovani da inserire nei nostri progetti e ci siamo resi conto che per inserirli in maniera positiva e affinché fossero accompagnati nel servizio in maniera adeguata non potevamo superare un determinato numero. Sarebbe impensabile avere 500 ragazzi in servizio: non ce la faremmo mai con questo stile e con le nostre risorse, professionalmente molto qualificate, ma spesso volontari. Uno stile che vuole essere sostegno, formazione e animazione. Abbiamo deciso di puntare sulla qualità, non tanto sulla quantità».Luca Primavera