Prima di Natale, al Teatro del Giglio, è stata presentata «La Bohème, Un autografo inedito» che riscrive la storia dell’opera di Giacomo Puccini.All’incontro erano presenti Virgilio Bernardoni, Presidente dell’edizione nazionale delle opere di Giacomo Puccini, Dieter Schickling, il massimo studioso di Puccini, entrambi membri del Comitato Scientifico della Fondazione Puccini. C’erano anche i due membri dell’Albo d’oro del Museo Casa natale, Bruno Bartoletti, Direttore d’orchestra, e Nicola Luisotti, Direttore musicale dell’Opera di San Francisco e del Teatro San Carlo di Napoli.Per saperne di più abbiamo contattato Gabriella Biagi Ravenni, Direttrice della Fondazione Giacomo Puccini che, nella sede della Fondazione, presso la Casermetta di San Colombano sulle Mura Urbane, ci ha spiegato quanto segue: «è datato 19 giugno 1893 l’autografo di Giacomo Puccini rinvenuto a Lucca, che, appunto, riscrive la storia di uno dei successi più grandi del compositore lucchese, ancora oggi tra i più eseguiti nel mondo. Il foglio, scritto sul fronte e sul retro, presenta gli schizzi del maestro per il Primo Atto dell’opera e alcuni che verranno invece utilizzati nel terzo quadro, in cui si parla della malattia mortale di Mimì. Schizzi in cui, a fianco di brani che verranno poi scartati, si trovano già tantissime idee di quella che diventerà la Bohème che conosciamo oggi e che datano la prima stesura dell’opera un anno prima di quanto si era pensato sino ad ora». L’autografo verrà dato in comodato gratuito per 10 anni alla Fondazione Giacomo Puccini e sarà esposto nella Casa natale del Maestro, riaperta al pubblico nel settembre, dopo essere stata acquistata dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e affidata in gestione alla stessa Fondazione Puccini.«La storia del documento» precisa la Biagi Ravenni «è lunga ed è nota solo in parte. Di sicuro sappiamo che Puccini aveva l’abitudine di donare i suoi autografi. Almeno dall’inizio del Novecento, sapeva anche che si trattava di doni preziosi economicamente, che egli dava in occasioni a lui particolarmente care. Nel 1905, per esempio, in Argentina si prestò a firmare tantissimi autografi, proprio come i divi di oggi, perché fossero messi all’asta per beneficienza. Ma il documento ritrovato adesso fu donato a qualcuno, tanti anni dopo la sua stesura, assieme ad un biglietto di ringraziamenti, firmato da Puccini, biglietto che è rimasto attaccato all’autografo per anni con una graffetta, lasciando su entrambi, lo spartito e il biglietto, un segno di ruggine».Di recente i due documenti sono stati separati ed oggi appartengono a due collezionisti diversi. L’autografo è di proprietà di Antonio Giuseppe Naccarato, professore di Anatomia Patologica presso il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia all’Università di Pisa, da sempre grande cultore di tutto quanto è storico, mentre il biglietto è stato donato da Naccarato all’amico Angelo Rinaldi, Direttore territoriale del Monte dei Paschi per la Provincia di Lucca. Ecco adesso, dopo tanti anni, il foglio e il biglietto sono tornati insieme e saranno esposti in mostra da gennaio 2013 presso la Casa natale di Puccini, a Lucca.Ma la Dottoressa si sofferma ancora: «Vede, della Bohème sino ad oggi si conoscevano pochissimi abbozzi» e precisa «del I Atto c’è un altro documento, si tratta di una bozza del libretto oggi conservato al Museo Illica di Castell’Arquato, su cui Puccini aveva tracciato qualche idea, sicuramente è posteriore al testo ritrovato. Così come due schizzi del IV quadro, datati con sicurezza anno 1895. Sappiamo inoltre che in quello stesso periodo, Puccini portava avanti in contemporanea un altro progetto La lupa di Giovanni Verga, progetto poi abbandonato nell’estate del 1894, dopo un viaggio in Sicilia.E proprio per questo si era sempre creduto che solo allora si fosse messo a comporre la Bohème. Ma l’autografo offerto al Museo, invece, anticipa tutto di un anno. Nel giugno del 1893, dopo aver ricevuto da sole due settimane, da Illica e Giacosa, la stesura del primo atto dell’opera, Puccini si era messo a scrivere subito per fissare le idee che gli venivano. E non solo aveva già in mente la melodia, ma anche l’armonia e, in certi casi, addirittura la strumentazione. Nonostante la Manon Lescaut, rappresentata per la prima volta nel febbraio del 1893 al Teatro Regio di Torino, gli avesse portato un discreto successo, Puccini continuava a sentirsi profondamente bohémienne. Dunque i personaggi che andava a rappresentare gli piacevano in modo particolare. Il primo atto si apre alla vigilia di Natale, quando il pittore Marcello, che sta dipingendo il Mar Rosso e il poeta Rodolfo cercano di scaldarsi con la fiamma di una caminetto che mantengono acceso, bruciando le proprie sedie e, addirittura, il poema scritto da Rodolfo.I temi bohémien» suggerisce la Biagi Ravenni «ci sono già tutti: sul fronte del foglio, sotto ad una sequenza di note, si legge “leitmotiv di Rodolfo. Oppure di Mimì. Buono ma credo vecchio”. Ed è interessante che quel brano, nella partitura definitiva, non l’abbia utilizzato. La prima intuizione, insomma, era stata quella giusta».I brani passati nell’opera e quelli abbandonati vanno ancora studiati ed è quindi prematuro volerne adesso trarre valutazioni definitive. Nella presentazione Bernardoni e Schickling hanno fatto una prima descrizione del manoscritto, mettendolo a confronto con gli altri pochi abbozzi conosciuti sino ad oggi e alla partitura definitiva. Luisotti e Bartoletti hanno raccontato se, e quanto, gli studi filologici siano utili anche agli interpreti. Ma ancora la Direttrice della Fondazione torna ad illustrare minuziosi particolari: «un buon esempio è l’ultimo schizzo, tempo di valzer. Sicuramente Puccini pensò a usare un tempo di danza nel primo quadro, sia per i bohémiens, sia per l’accenno a Benoît che va al Mabille, ma poi non lo userà.Ci sarà poi un valzer nel II quadro. E l’abbozzo Tempo di valse sembra la base del brano del III quadro dove si parla della malattia mortale di Mimì. Il valzer, simbolo sonoro massimo dell’età borghese, con Bohème entra nell’immaginario pucciniano come fatto compositivo di prima importanza. Questa» conclude con entusiasmo «è una delle grandi novità della Bohème ritrovata».