Toscana
Province e Città metropolitana, ora si parte
Il complesso riordino dell’organizzazione amministrativa prevista dalla legge Delrio si sta mettendo in moto. Messo per ora da parte il problema delle regioni, che con punte polemiche si propone da varie parti di eliminare, specie dopo gli scandali sui rimborsi del consiglieri, oppure di accorpare data la grande disparità di dimensione, la legge cerca di riorganizzare il livello intermedio e cioè quello che sta tra le regioni e i comuni, in altre parole, le province, che in 14 casi, compresa Firenze, si trasformeranno in Città metropolitane.
Saranno enti con una rappresentanza politica di secondo livello, eletta da un personale politico precedentemente eletto dai cittadini e cioè i consiglieri e i sindaci dei comuni compresi nel loro territorio. Le elezioni si prevedono a breve: il 28 settembre per le città metropolitane ed entro il 12 ottobre per le province, per poi essere operativi con l’inizio del prossimo anno.
Il governo Monti ci aveva provato dimezzando il numero delle province e accorpandole. Questo aveva creato notevoli tensioni politiche e il rilievo giuridico che le province, essendo previste nella Costituzione, non potevano essere modificate se non attraverso una riforma costituzionale. Da qui la strada intrapresa prima dal governo Letta e poi dall’attuale, di giocare su due fronti: da un lato la riforma costituzionale, per ora approvata solo in prima lettura al Senato, nella quale le province sono cancellate dalla organizzazione dei poteri dello Stato, e dall’altro quello di svuotarle, pur mantenute negli attuali confini, di competenze e risorse, e soprattutto di personale politico (consiglieri e presidente) che essendo eletto direttamente dai cittadini, manteneva ancora un suo peso e, anche attraverso la sua potente rappresentanza, l’Unione delle province italiane (Upi), costituiva la resistenza maggiore alla loro cancellazione.
L’accorpamento delle province proposta dal governo Monti, nascondeva un problema di organizzazione dell’amministrazione statale che è stato poi il motivo principale dei conflitti politici. Le province rappresentano difatti un livello cruciale per l’amministrazione statale. Ad esse sono associati prefettura, questura, soprintendenze, uffici provinciali dell’agenzia delle entrate e del territorio, uffici Inps etc. Questo significa sia numerosi posti di lavoro e quindi reddito per la città capoluogo e maggiore autonomia del potere politico locale che non deve cercare in un altra città il rappresentante del governo o il capo della polizia.
Un accorpamento delle province significava quindi anche un accorpamento di tutte le articolazioni statali da esse dipendenti. La legge Delrio, risolve il problema dichiarando nella sua ultima parte, di cui poco si parla, che l’organizzazione periferica delle pubbliche amministrazioni non deve necessariamente corrispondere al livello provinciale o a quello delle città metropolitane. Difatti il Governo Renzi ha presentato a giugno un progetto secondo il quale le Prefetture sarebbero ridotte da più di cento a 40, poi forse 70, le Soprintendenze pure, ma riorganizzate diversamente. Questo progetto, se verrà realizzato sarà probabilmente di maggior impatto sia per i lavoratori che per chi utilizza i servizi, della riforma delle province.
Mentre le città metropolitane prenderanno stabilmente il posto e le funzioni delle province, per queste ultime ci si trova in una situazione abbastanza indefinita per due motivi. Il primo, più evidente è che si sta mettendo al mondo un ente del quale quasi contestualmente si decreta la cessazione attraverso la riforma costituzionale. In sostanza le province nascono defunte, almeno sulla carta, salvo poi confermare il detto che non c’è nulla di più definitivo di ciò che nasce provvisorio. Il secondo è che ancora non si è trovato l’accordo sulle funzioni da passare alle province dalle quali ne dovrebbero conseguire le necessarie risorse e cioè personale e fondi. L’accordo che deve scaturire dalla Conferenza Stato-Regioni avrebbe dovuto essere pronto a luglio, e lo si prevede per l’11 settembre.
Mentre le province coprono tutto il territorio nazionale e sono provvisorie, le città metropolitane, il cui territorio corrisponde alla precedente provincia, sono incluse nella riforma costituzionale e sono indicate come le emergenze economiche, dove si concentra la produzione di ricchezza nazionale e nelle quale si decide di concentrare gli investimenti. Confindustria le ha giudicate la chiave del rilancio dell’economia pensando che la nuova gestione amministrativa funzioni da attrattore di investimenti e contribuisca ad aumentare la loro competitività nel contesto internazionale.
Firenze che ritorna «capitale» spaventa le altre zone della Toscana
La città metropolitana di Firenze, rappresenta un evento politico-istituzionale: Firenze riprende se non la sua antica funzione di capitale, almeno quella di centro preminente della regione, suscitando le preoccupazioni della costa che si sono manifestate anche in relazione all’ultimo decreto del Governo, lo «Sblocca Italia» che prevede finanziamenti per Firenze (tramvia e aeroporto) e nulla né per l’Autostrada tirrenica, né per l’aeroporto di Pisa. La costituzione della città metropolitana darà maggior potere al sindaco di Firenze anche nei confronti della Regione. Vittorio Bugli, assessore regionale ai rapporti con gli enti locali propone una alleanza fra Regione e Città metropolitana di Firenze in modo da intercettare risorse statali, e soprattutto europee.
Dario Nardella, sindaco di Firenze sarà il sindaco della città metropolitana e potrà nominare un vicesindaco. Il Consiglio sarà composto da 18 consiglieri. La maggioranza di centro sinistra, che tenendo conto della ponderazione dei voti dei consiglieri comunali raggiunge circa il 69%, è assicurata. Dovrebbe prendere 13 consiglieri. La discussione è soprattutto all’interno del Pd perché vi sia una adeguata rappresentanza delle vari territori, e in particolare delle Unioni dei comuni.
La Città metropolitana di Firenze è costituita da un nucleo centrale in cui sta la vera area metropolitana fiorentina, comprendente il capoluogo e gli 11 comuni intorno, la parte a sud ovest comprendente il Circondario empolese che ha costituito una forte e importante unione di comuni, la parte a nord con l’unione dei comuni del Mugello e ad est con l’unione dei comuni del Valdarno e della Valdisieve. Senza dimenticare i comuni della Piana che, nonostante le comuni battaglie dell’aeroporto non hanno costituito alcuna unione, e che comunque si sono incontrati, a metà agosto, per discutere della formazione della città metropolitana.
Evidentemente lo scopo è quello di contare maggiormente e di mettere insieme un pacchetto di voti che possa portare alla elezione di uno o più consiglieri. Il problema è quello delle risorse, dei possibili finanziamenti europei, che non siano limitati al comune capoluogo, anche se questo è proprio quello che dice il Programma operativo nazionale per le città metropolitane che vorrebbe, di preferenza concentrare i finanziamenti nel comune capoluogo.
Secondo le previsioni più accreditate, Firenze dei 13 consiglieri di maggioranza, potrebbe averne 5, il Circondario empolese 2, il Mugello 1, il Chianti 1, il Valdarno 1 e la Piana 3. Dove possibile dovrebbero essere i sindaci dei comuni a ricoprire la carica di consigliere. I restanti seggi dovrebbero andare, 4 a Forza Italia ed 1 ai 5Stelle. Per il vicesindaco che potrebbe avere funzioni operative importanti si parla del sindaco di Sesto, la renziana Sara Biagiotti.
In Toscana si voterà in tutte le province, giunte a scadenza del mandato, tranne Lucca, dove il mandato scade nel 2016. La maggioranza assoluta in tutte le province al voto è di centrosinistra tranne che a Livorno dove la recente vittoria al comune di Filippo Nogarin, 5Stelle , fa sì che ci sia qualche incertezza. Considerando la ponderazione del voto, in questa provincia i 5Stelle sono circa il 35%, mentre il centrosinistra è circa il 41%, con possibili divisioni al suo interno. Se i 5Stelle si alleassero con il centrodestra, che è circa l’11%, arriverebbero al 46%, con buone speranze di farcela a meno che la sinistra con circa il 7% non confluisca nelle liste Pd, per l’elezione del presidente. Insomma una situazione molto incerta che comunque renderà difficile il futuro governo della provincia di Livorno.
Per questa prima tornata di elezioni per i consigli provinciali, si potranno eleggere non solo i consiglieri ed i sindaci dei consigli comunali, ma anche i consiglieri provinciali uscenti, e potrà essere eletto presidente, uno dei consiglieri comunali o il presidente uscente della provincia. I presidenti uscenti di Grosseto, Leonardo Marras, di Pistoia, Federica Fratoni, di Prato, Lamberto Gestri e di Siena Simone Bezzini, non sono interessati ad una possibile riconferma. Ad Arezzo invece si dà per molto probabile la riconferma del presidente provinciale uscente Roberto Vasai.
Anche in questo caso si pensa di eleggere dei sindaci a consigliere o presidente. La distribuzione dei seggi tra le varie aree è un problema sentito. A Siena, dove il consiglio sarà composto da 10 membri, e il Pd avrà la maggioranza con sette consiglieri si pensa di distribuirli in modo che le sette aree provinciali ne abbiano uno ciascuna.
Il problema per la provincia rimane comunque sempre quello di sapere cosa farà da grande, ammesso che grande lo diventi e non sparisca prima. In questo caso la soluzione del dilemma potrebbe stare nelle unioni dei comuni. Una volta cancellate le province potrebbero trasformarsi in unioni volontarie e proseguire nella loro azione. A quel punto i confini potrebbero essere ridefiniti e l’organizzazione dello stato diverrebbe molto varia e differenziata da regione a regione.
Meno consiglieri e sparisce la giunta
L’organizzazione delle due istituzioni, province e città metropolitane è simile: un presidente o sindaco metropolitano, un consiglio e una assemblea, o conferenza metropolitana, dei sindaci dei comuni compresi nel territorio di competenza. Il sindaco metropolitano è il sindaco del comune eletto dai cittadini del capoluogo. Una elezione di secondo grado è prevista per il presidente provinciale, che dura in carica 4 anni, e per i consiglieri. Lo scopo dichiarato è quello di diminuire i costi della politica, che comprendono il costo delle elezioni e il costo del personale politico, che, essendo remunerato in qualche modo per il precedente incarico avrebbe dovuto prestare la sua opera gratuitamente, anche se successivamente si sono reintrodotti rimborsi e indennità, facendo gridare alla scandalo, anche se sarebbe sufficiente che questi rimborsi fossero nel limite del ragionevole.
Come si vede, rispetto alla precedente organizzazione scompare la giunta con gli assessori, ciascuno con le proprie deleghe ed orticello di potere, e le decisioni saranno prese tra presidente (o sindaco metropolitano) e consiglio. La divisione dei compiti, che sarà importante per la snellezza delle procedure, è demandata allo statuto di cui ciascun ente si doterà. Il consiglio, a differenza dei consigli comunali cui siamo abituati sarà quindi una istituzione più operativa. Il numero dei consiglieri dipende dalla dimensione della provincia. Da 16 a 10 nel caso delle province e da 24 a 14 nel caso delle città metropolitane. Anche la durata è diversa: cinque nel caso delle città metropolitane, due, a sottolinearne la temporaneità, nel caso delle province.
L’assemblea dei sindaci, o conferenza metropolitana, garantisce il rispetto delle minoranze territoriali. Ad essa è demandata l’approvazione dello statuto e un parere sui bilanci annuali che in pratica appare come vincolante. La maggioranza valida deve infatti essere espressa con i voti dei sindaci che rappresentino almeno un terzo dei comuni compresi nella provincia e la maggioranza della popolazione complessivamente residente. Questo fa sì che nei momenti importanti di gestione dell’ente, approvazione e variazione dello statuto ed approvazione del bilancio, vi siano dei meccanismi di controbilanciamento del potere del comune capoluogo, e questo vale specialmente nel caso della città metropolitana.
La rappresentanza territoriale è un problema sentito, specialmente da parte dei piccoli comuni. Il consiglio viene eletto difatti dai consiglieri comunali dei comuni inclusi nel territorio di competenza, ma il loro voto viene ponderato in relazione alla popolazione del comune in cui sono stati eletti. Il metodo è ragionevole dato che si cerca di far corrispondere il risultato di una elezione di secondo grado a quello che si sarebbe ottenuto con una diretta, nella quale i piccoli comuni, a causa del limitato numero di votanti hanno un peso minore.
Le liste dei candidati a consigliere sono presentate dai partiti. A meno di non pensare a spaccature interne, dovranno quindi essere i partiti a prevedere nella lista per il consiglio una adeguata rappresentanza dei comuni minori. I consiglieri comunali votanti possono esprimere una preferenza, ma ovviamente il peso dei comuni minori, il cui voto può pesare un decimo o meno di quello dei consiglieri del capoluogo, avrà un effetto limitato.
Le competenze di questi enti sono materia ancora da definire, da parte della Conferenza Stato-Regioni. Questi enti hanno funzioni di indirizzo e di pianificazione e di erogatori di servizi, tutti aspetti di primaria importanza per imprese e cittadini. La legge già indica alcuni competenze per le province: la pianificazione territoriale e la valorizzazione dell’ambiente, la pianificazione dei servizi di trasporto, costruzione e gestione delle strade provinciali, programmazione provinciale della rete scolastica, e gestione dell’edilizia scolastica, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali e promozione delle pari opportunità.
Le competenze delle città metropolitane includono quelle delle province ma aggiungono ad esse lo sviluppo economico e la competitività dell’area. La città metropolitana predispone un piano strategico triennale del territorio metropolitano, con funzioni di indirizzo per l’ente e per i comuni compresi nel territorio, e un piano territoriale generale che potrebbe in qualche modo vincolare i piani strutturali dei singoli comuni. Sono competenze della città metropolitana l’organizzazione dei servizi pubblici d’interesse generale di ambito metropolitano, la mobilità e viabilità, la promozione e il coordinamento dello sviluppo economico e sociale, e infine, ma non meno importante la promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano che saranno uno degli assi per i finanziamenti europei.