Opinioni & Commenti
Propaganda elettorale: quando il politico più che la faccia ci mette il faccione
di Umberto Folena
Facce faccine faccione. In posa, in finta posa (sembra di sentire il fotografo: «Dottore, sia spontaneo»). Posati, sposati, separati, divorziati. Sorridenti, meditabondi. Ci guardano dritti nelle palle degli occhi. Vogliono la nostra attenzione, il nostro tempo, il nostro voto. Per ottenerli, sono convinti di dover espugnare il nostro cuore. Espugnare forse è eccessivo Diciamo aprire un breccia piccina giusto il tempo di un week-end: un rapporto occasionale, non una vera e propria relazione. Le elezioni, amministrative ed europee, si approssimano e facce faccine faccione s’affastellano come pacchi di biscotti ipercalorici sugli scaffali.
Facce enormi e minuscole, grandi e medie. Dai manifesti, in tv, su facebook, ovunque. Perché stupirsene? Assieme alle immodeste ideologie, pare siano finite al macero pure le più modeste idee, via tutto. Tangentopoli ha triturato i partiti, via tutti. Il verbo fare ha strangolato il verbo pensare e il presente ha soppresso il passato e il futuro. Come, dunque, catturare i voti? Mettendoci la faccia, ma in senso letterale. Un buon lifting vale più di un think-tank, un sorriso convinto più del briefing più intenso. Elezioni Dici «europee» e la gente pensa alle coppe e il cuore palpita per le squadre. Vediamo. La finale di Champions, a giorni, vede impegnate Manchester United e Barcellona, ovvero Inghilterra con la buona vecchia imperial sterlina a far argine a questa bislaccheria dell’euro contro Spagna, anzi no, Generalitat de Catalunya, autonomia dura e pura che la Lega se la sogna. Avranno più ascolti la finale di Roma o più votanti le elezioni? Siamo freddi, distratti, insensibili. Nessuno prova a parlarci di temi e problemi europei, nella convinzione che non sarebbe ascoltato.
L’Artico si sbrina, l’Europa si congela. Le facce faccine faccione pensano i loro proprietari danno calore, accorciano le distanze, sigillano un patto con il cittadino. Bello. E noi che pensavamo fossero un banale segno di patologico esibizionismo egolatrico