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Prolusione del card. Ruini alla 54ª Assemblea Cei (30 maggio 2005)
1. Cari Confratelli, l’aggravarsi della malattia e poi la morte di Giovanni Paolo II sono stati, per la Chiesa e per l’umanità intera, giorni di profondo dolore ma al contempo di altrettanto profondo e intenso rinnovamento spirituale. Nella persona del Papa che fin quasi all’ultimo respiro ha cercato di adempiere, con il gesto se non con la parola, il ministero pastorale che il Signore gli aveva affidato e che, con il suo abbandono fiducioso nelle mani del Padre, ha mostrato al mondo il senso cristiano della sofferenza e della morte e la forza di salvezza che in esse può trovare dimora, abbiamo sentito il Signore Gesù crocifisso e risorto straordinariamente vicino e abbiamo anche meglio compreso quale vita sia più degna di essere vissuta e quale promessa di eternità attenda chi vive alla presenza e al servizio del Signore.
Ricordiamo Giovanni Paolo II anzitutto come un uomo di Dio, spontaneamente e sempre di nuovo immerso nella preghiera, che si è configurato al sacerdozio di Cristo e consacrato totalmente a Maria, fino a poter dire: la Santa Messa è in modo assoluto il centro della mia vita e di ogni mia giornata (Discorso del 27 ottobre 1995 nel trentennale del decreto Presbyterorum ordinis). E però questa così grande vicinanza a Dio non lo ha affatto allontanato dagli uomini ma ha fatto di lui, al contrario, un fratello e un padre universalmente amato, nel quale tantissimi, anche non cattolici, si sono riconosciuti. Le folle sterminate che hanno fatto ore ed ore di fila silenziosa per dargli l’estremo saluto, e poi hanno gremito Roma per le sue esequie, sono state l’ultima e più toccante conferma di un amore e di una gratitudine che non hanno confini.
In realtà questo grande e santo Pontefice ha mostrato con la sua morte, come con tutta la sua vita, che l’uomo è la prima e fondamentale via della Chiesa, come egli stesso aveva scritto nella sua prima enciclica, Redemptor hominis (nn. 13-14), e nello stesso tempo ha reso visibile, nella maniera più persuasiva ed efficace, il volto autentico dell’antropologia cristiana.
Lo scorso 13 maggio, nel giorno della Vergine di Fatima, a ventiquattro anni esatti dall’attentato di cui Giovanni Paolo II fu oggetto in Piazza San Pietro, il suo Successore Benedetto XVI ha dato l’annuncio che la causa di beatificazione e canonizzazione può avere inizio subito: questa notizia corrisponde all’attesa di milioni di persone, riempie di gioia i nostri cuori, contribuirà grandemente al permanere e al diffondersi di quella testimonianza di fede e di amore che ha plasmato la vita di Karol Wojtyła e che da ultimo ha illuminato il mondo nei giorni della sofferenza e della morte di questo autentico discepolo del Signore.
Le omelie e le altre parole che il Santo Padre ha pronunciato in queste prime settimane del suo ministero sono già un nutrimento quanto mai sostanzioso per la vita e la missione della Chiesa e accrescono la nostra attesa per quanto egli vorrà dirci tra poco. Dunque, non è certo il caso che io nemmeno accenni a qualche specifico contenuto. Vorrei soltanto ricordare alcune parole davvero emblematiche pronunciate dal Cardinale Ratzinger il 1° aprile a Subiaco: Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto le porte all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri. Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini.
Cari Confratelli, leggiamo nello Statuto della nostra Conferenza (art. 4 § 2): Il particolare legame che unisce le Chiese che sono in Italia al Papa, Vescovo di Roma e Primate d’Italia, qualifica in maniera peculiare la comunione della Conferenza con il Romano Pontefice. Queste affermazioni hanno trovato finora puntuale conferma lungo tutto l’arco della vita della nostra Conferenza e certamente la troveranno, in maniera piena, nel Pontificato di Benedetto XVI. Il loro tono giustamente giuridico, e quindi di necessità un po’ freddo, non rende però piena ragione della forza, della profondità e del calore del rapporto che intercorre fra il Papa e l’Italia, come Chiesa ma anche come intero popolo, e naturalmente a titolo speciale come Vescovi italiani. Questo rapporto, tanto evidente con Giovanni Paolo II, è già ugualmente visibile con Benedetto XVI: anzi, si è trasferito con spontaneità dall’uno all’altro Pontefice. È inoltre ormai del tutto chiaro che per il popolo italiano non ha alcun rilievo la nazionalità del Successore di Pietro: del resto Benedetto XVI è un Papa che non solo vive a Roma da oltre ventitré anni, ma ha avuto una grande presenza nella Chiesa e nella cultura italiana, offrendo con esemplare disponibilità il proprio illuminato servizio di Pastore e teologo.
Nel tempo ancora tanto breve intercorso dalla sua elezione, egli ha poi già dato prova concreta di una presenza davvero eccezionale, non soltanto verso la Chiesa di Roma di cui è Vescovo, ma anche verso l’Italia e noi Vescovi italiani: ieri presiedendo a Bari la S. Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Nazionale e rendendosi personalmente presente oggi alla nostra Assemblea. Gli diremo dunque tra poco, incontrandolo, tutta la nostra gratitudine, nutrita di affetto fraterno e filiale e di docile e sincera comunione.
3. Cari Confratelli, salutiamo con vivo affetto il Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Paolo Romeo, presente come sempre alla nostra Assemblea, e Lo ringraziamo fin d’ora per le parole che vorrà rivolgerci.
Un ricordo orante, affettuoso e grato, rivolgiamo ai nostra fratelli Vescovi deceduti in questo ultimo anno. Il Signore ricco di misericordia accolga questi suoi servi e testimoni buoni e fedeli nella sua eterna vita ed essi, nel mistero dell’economia di salvezza che tutti ci unisce, intercedano per noi e per il popolo che fu loro affidato.
Uno speciale pensiero di gratitudine e vicinanza spirituale va ai Confratelli che hanno lasciato nel corso dell’anno la guida delle loro Diocesi.
Accogliamo con gioia i nuovi Vescovi entrati a far parte nell’ultimo anno della nostra Conferenza. Domandiamo al Signore di benedire e rendere fecondo il loro ministero e confidiamo nel contributo che essi daranno al nostro comune servizio pastorale.
Particolarmente ricco di riflessioni e di aperture al futuro è stato il VI Forum del Progetto culturale, che ha avuto luogo a Roma il 3 e 4 dicembre ed ha affrontato una tematica di grande portata ecclesiale e culturale: A quarant’anni dal Concilio. Ripensare il Vaticano II, di fronte alle attuali sfide culturali e storiche.
Siamo infine appena reduci da quel grande evento ecclesiale che è stato il 24° Congresso Eucaristico Nazionale: inserito nell’Anno dell’Eucaristia e allietato dalla presenza e dalla grande testimonianza eucaristica ed ecumenica del Santo Padre, esso è stato un’autentica festa di popolo, specialmente di giovani, ed ha rappresentato per le nostre Chiese un forte stimolo ad approfondire ed irrobustire l’unione con il Signore Gesù presente e offerto per noi ed a ricevere da tale unione il coraggio e la generosità della testimonianza cristiana, in particolare a riscoprire il carattere liberante del Giorno del Signore e a salvaguardare il suo significato anche nell’organizzazione dei tempi del lavoro e del riposo.
Cari Confratelli, nella nostra sollecitudine per l’umanità sofferente non possiamo certo dimenticare il continente africano, che rimane quello in cui le cause di sofferenza sono maggiori: mi limiterò qui a menzionare, tra le molte, la persistente tragica situazione del Darfur. Dall’Africa giungono però, finalmente, anche importanti notizie positive: non pochi sono infatti gli accordi e le iniziative negoziali attraverso cui si cerca di por fine a conflitti spesso incancreniti, e soprattutto emergono, pur tra mille resistenze e contrasti, quelli che possiamo chiamare i germogli di una nuova società civile africana, fatta di gruppi, associazioni e movimenti, molti dei quali femminili: proprio da tali forze vive dell’Africa stessa, oltre che dalla doverosa e necessaria solidarietà delle nazioni più sviluppate, può venire l’impulso per riuscire a sconfiggere quelle tragiche piaghe, come la fame, la sete, la mortalità infantile, le epidemie tra cui specialmente l’AIDS, che affliggono con la maggiore gravità gran parte di questo continente.
È grande il contributo che sia i missionari sia le giovani Chiese africane stanno dando a questi sviluppi positivi, ma è alto anche il prezzo del bene compiuto, come testimoniano i numerosi missionari e volontari laici che sacrificano la loro vita, non solo in terra africana: tra gli italiani ricordiamo in particolare il Padre Faustino Gazziero, ucciso nella Cattedrale di Santiago del Cile, e la pediatra Maria Bonino, morta in Angola per il virus di Marburg. A quei Governi e a quei gruppi che perseguitano la Chiesa, o comunque temono e osteggiano la sua presenza, per un pregiudizio antireligioso oppure per la funesta illusione di onorare così la propria cultura e religione, vorremmo ricordare, insieme al diritto alla libertà religiosa, i grandi frutti di autentica promozione delle persone e delle nazioni che il lavoro spesso silenzioso dei figli della Chiesa produce.
Il 18 giugno 2004 è stato approvato il Trattato costituzionale dell’Unione Europea, che è stato poi firmato il 29 ottobre a Roma: si tratta certamente di sviluppi importanti e positivi, anche se il testo del Trattato, e spesso la politica concreta dei Paesi membri dell’Unione, non appaiono sufficientemente consapevoli sia delle radici cristiane dell’Europa e dell’autentico umanesimo di cui essa è portatrice, sia anche di quella unità di intenti e di quella capacità di aprirsi al futuro che gli sviluppi in corso nel mondo rendono sempre più urgenti e indispensabili. Solo per questa strada l’unità dell’Europa potrà radicarsi davvero nel cuore delle popolazioni.
Per poter affrontare con fondate speranze di successo queste difficoltà che in Italia sono più accentuate, ma che in larga misura sono comuni a vari Paesi europei, sono richieste senz’altro misure di rapida efficacia, sulle quali persistono divergenze ma vi sono anche, al di là delle polemiche, significativi punti di accordo sostanziale, che però faticano molto a trovare attuazione concreta. Ancora più necessarie appaiono tuttavia alcune scelte e indirizzi di fondo, a cui spesso non si presta sufficiente attenzione e che chiamano in causa sia la classe politica e le istituzioni sia le diverse forze e componenti economiche e sociali e il mondo della cultura e della comunicazione, sia l’impegno e la responsabilità di ciascuna persona, famiglia, comunità locale.
In concreto, quella mobilitazione delle energie che è giustamente da molte parti invocata non può prescindere da motivazioni che non sono soltanto economiche, ma più ampiamente umane e morali, tra cui il senso di una comune appartenenza e del dovere di ciascuno. Una coerente testimonianza di vita dei credenti e l’opera pastorale della Chiesa possono e devono essere di aiuto e stimolo in questa direzione.
L’attuale contesto politico ed economico sembra aver fatto passare per ora in secondo piano il tema, aspramente dibattuto tra le forze politiche, della riforma della seconda parte della Carta costituzionale, che è stata approvata nel medesimo testo prima dalla Camera dei Deputati e poi dal Senato. Al di là delle diverse valutazioni su tale testo, rimane aperto per l’Italia il problema di darsi un assetto istituzionale che incorpori in maniera coerente alcuni cambiamenti già da tempo intervenuti e che all’atto pratico possa funzionare in maniera sufficientemente spedita, consentendo una migliore governabilità del nostro assai complesso e articolato Paese.
Cari Confratelli, nelle scorse settimane si è positivamente conclusa la lunga procedura con la quale la RAI ha accolto la richiesta di assegnare all’emittente Sat 2000 uno dei suoi canali digitali terrestri. È questo un risultato davvero importante, che apre la possibilità di raggiungere, in tempi non remoti, ogni famiglia italiana senza complicazioni strumentali, facilitando e stimolando così l’apporto dei cattolici all’animazione culturale del Paese. Proprio sul versante della tecnologia digitale terrestre si profila però un’iniziativa che dobbiamo fin da ora denunciare: quella di offrire una nuova e più largamente accessibile forma di presenza alla pornografia televisiva. Chiediamo pertanto ai gestori dei canali di non dimenticare le loro responsabilità morali e sociali e all’Autorità competente di regolare in maniera tempestiva questo settore, chiudendo la strada a uno sfruttamento commerciale tra i più deprimenti e dannosi.
7. È ormai molto vicino il referendum riguardante la procreazione assistita. La nostra posizione in merito è nota ed è quella indicata anche dal Comitato Scienza & Vita: siamo cioè per una consapevole non partecipazione al voto, che ha il significato di un doppio no, ai contenuti dei quesiti sottoposti a referendum, che peggiorano irrimediabilmente e svuotano la legge, riaprendo in larga misura la porta a pericolosi vuoti normativi, e all’uso dello strumento referendario in una materia tanto complessa e delicata. Non si tratta dunque in alcun modo di una scelta di disimpegno, ma al contrario di opporsi in maniera netta ed efficace a una logica che a prescindere dalle intenzioni dei suoi sostenitori mette in pericolo i fondamenti umani e morali della nostra civiltà.
Il dibattito che si è sviluppato in queste settimane ha avuto il merito di evidenziare che in concreto l’unica via per opporsi effettivamente al peggioramento della legge è quella della non partecipazione al voto, mentre il votare no, dato che contribuisce al raggiungimento del quorum, di fatto è un aiuto, sia pur involontario, ai sostenitori del referendum.
Non rinunciamo a sperare in un dibattito che non eluda troppo marcatamente la vera posta in gioco e in un’informazione che rappresenti in maniera sufficientemente equilibrata le posizioni che sono davvero in campo.
Osiamo inoltre chiedere a tutti di valutare con serenità anche le ragioni di noi Pastori. Non ci muovono interessi di parte, fosse pure la parte cattolica. Non entriamo in competizioni di partiti, ma ci preoccupiamo unicamente, e concretamente, di quella difesa e promozione dell’uomo che è parte integrante dell’annuncio del Vangelo. Non siamo contro la scienza e i suoi progressi: al contrario, ammiriamo e sosteniamo i frutti della ricerca e dell’intelligenza, che è il segno dell’immagine di Dio nell’uomo. Vogliamo dunque che la scienza sia al servizio del bene integrale dell’uomo: non si tratta, pertanto, di arrestare od ostacolare il cammino della scienza, ma di orientarlo in modo che esso non perda di vista il valore e la dignità di ogni essere umano. Spingono in questa direzione non soltanto fondamentali ragioni etiche, ma anche un evidente principio di precauzione, che deve trovare applicazione anzitutto quando si agisce direttamente sulla vita umana. Solo così si avranno sicuri vantaggi, e non pericoli, anche per la nostra salute. Ci muove dunque non l’indifferenza o l’insensibilità, ma l’amore sincero per ogni donna e ogni uomo.
A tutti, anche a coloro che contestano più duramente le nostre posizioni e il nostro stesso diritto e dovere di esprimerci in questa materia, vorremmo dire che non ci può essere un futuro positivo e accettabile se si perde l’unità di misura della vita umana. Siamo dunque certi, con il nostro attuale impegno, di non essere dei sorpassati, ma di far parte invece di coloro che lavorano per il futuro.