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Prolusione del card. Ruini al Consiglio permanente Cei (20 marzo 2006)
Poi (cfr n. 16) vengono poste le due domande molto concrete per la vita cristiana alle quali il Papa ha inteso rispondere con la sua Enciclica, come egli stesso ha scritto ai lettori di Famiglia Cristiana: è veramente possibile amare Dio pur non vedendolo? E: l’amore si può comandare?. Proprio l’analisi dell’amore, nella sua realtà differenziata e complessa ma finalmente unitaria di eros e di agape, messa a confronto con l’immagine biblica di Dio e dell’uomo, e specialmente con la vera novità del Nuovo Testamento, che consiste nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti un realismo inaudito (n. 12), permette di vedere come il cristianesimo non costituisca un mondo a sé, disarticolato dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistenza umana e parallelo o contrapposto rispetto a quell’originario fenomeno umano che è l’amore, ma al contrario accetti tutto l’uomo, intervenendo nella sua ricerca di amore per purificarla e per dischiuderle nuove dimensioni (cfr nn. 7-8).
Lo spessore teologico della Deus caritas est risalta particolarmente dal modo in cui vengono enucleate la novità sconvolgente, rispetto ad ogni attesa umana e ricerca razionale, del volto del Dio cristiano quel Dio che nella morte in croce del proprio Figlio si volge contro se stesso per amore dell’uomo (n. 12) e al contempo la continuità profonda tra la fede cristiana in Dio e la ricerca sviluppata dalla ragione e dal mondo delle religioni (cfr nn. 9-10). È questo un tema assai caro al teologo Joseph Ratzinger e da lui magistralmente affrontato già nella prolusione tenuta il 24 giugno 1959, all’inizio del suo insegnamento all’università di Bonn, che aveva il titolo Il Dio della fede e il Dio dei filosofi.
Ugualmente forte è l’approfondimento antropologico, specialmente in rapporto al tema nevralgico del rapporto uomo-donna, dell’amore e del matrimonio (cfr n. 11). In realtà in questa Enciclica trova felice attuazione quella forma di teologia radicalmente cristologica e cristocentrica, e proprio così anche radicalmente teologica e antropologica, che Joseph Ratzinger, nel Commento ai testi del Vaticano II edito nel 1968 dal Lexicon für Teologie und Kirche, aveva individuato come una preziosa indicazione del n. 22 della Gaudium et spes.
Così questa prima Enciclica del nuovo Pontefice manifesta anche un profondo legame con il Magistero del suo Predecessore, in particolare con quell’Enciclica Dives in misericordia attraverso la quale Giovanni Paolo II, congiungendo teocentrismo ed antropocentrismo, ci aveva introdotto nel mistero dell’amore che Dio Padre ha per noi in Gesù Cristo, nella forza salvifica, nell’attualità e nelle esigenze concrete del Vangelo della Divina Misericordia; ma anche con i sei cicli delle Catechesi sull’amore umano che hanno straordinariamente rinnovato, attualizzato e irrobustito il nostro approccio a questa fondamentale realtà della vita e alle sue molteplici implicazioni.
La seconda parte della Deus caritas est ha un carattere più direttamente pratico, riguardando l’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo, ma è profondamente connessa alla prima, come Benedetto XVI afferma nell’Introduzione. Lo svolgimento di questa seconda parte si regge su due precise affermazioni, poste al suo inizio: la prima è che la carità della Chiesa è manifestazione dell’amore trinitario, del Dio che in Cristo ci ama senza misura e con la forza del suo Spirito ci trasforma e ci rende a nostra volta capaci di amare (cfr n. 19); la seconda è che, per conseguenza, l’esercizio dell’amore del prossimo è compito essenziale della Chiesa, in concreto di ogni singolo fedele ma anche dell’intera comunità ecclesiale, a tutti i suoi livelli, così come lo sono l’annuncio della Parola e l’amministrazione dei Sacramenti. L’amore ha bisogno pertanto anche di un’organizzazione, quale presupposto di un servizio comunitario ordinato, come risulta da tutta la storia della Chiesa (cfr nn. 20-24).
Alla luce di questi principi diventa chiaro che il vero soggetto delle varie Organizzazioni cattoliche che svolgono un servizio di carità è la Chiesa stessa e ciò a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, attraverso le Chiese particolari, fino alla Chiesa universale (n. 32). I Vescovi sono quindi i primi responsabili dell’esercizio della carità nelle loro Diocesi: con loro, e con la Chiesa, devono lavorare tutti gli operatori delle Organizzazioni caritative cattoliche (cfr nn. 32-33). Sono richiamati così i criteri di una testimonianza della carità realmente ecclesiale.
Anche nella seconda parte dell’Enciclica il Papa si confronta con un’obiezione sviluppata fin dall’Ottocento contro l’attività caritativa della Chiesa, che negli ultimi decenni si è fatta strada, in qualche misura, anche all’interno delle realtà ecclesiali: l’obiezione cioè che i poveri avrebbero bisogno di giustizia e non di opere di carità, che acquieterebbero le coscienze e ostacolerebbero così l’instaurazione della giustizia (cfr n. 26). La risposta a questa obiezione si articola attraverso l’approfondimento dei rapporti tra giustizia e carità, Chiesa e politica: sono queste le pagine dell’Enciclica intorno alle quali si è maggiormente concentrato il pubblico dibattito. In realtà Benedetto XVI precisa con grande nettezza sia il legame essenziale che unisce la politica alla giustizia sia la distinzione tra Stato e Chiesa, che appartiene alla struttura fondamentale del cristianesimo, e al contempo la loro reciproca relazione, proprio alla luce del fatto che la giustizia, scopo e misura intrinseca di ogni politica, è di natura etica.
Pertanto la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene alla sfera della politica, cioè all’ambito della ragione autonoma, che la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani. In questo campo la Chiesa ha però un compito mediato, essendo chiamata a contribuire alla purificazione della ragione in particolare attraverso la sua dottrina sociale, argomentata a partire da ciò che è conforme alla struttura di ogni essere umano e al risveglio delle forze morali, indispensabili per realizzare e mantenere in vita strutture giuste. Il compito immediato di operare per un giusto ordine sociale è invece proprio dei fedeli laici, agendo sotto propria responsabilità e cooperando con gli altri cittadini (cfr nn. 28-29).
Ugualmente netta, nelle medesime pagine dell’Enciclica, è l’affermazione che nessun ordinamento statale giusto potrà mai rendere superfluo il servizio dell’amore: pensare il contrario sottintende una concezione materialistica che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano, con il risultato di sacrificare l’uomo vivo e concreto al moloch di un ipotetico futuro. Lo Stato quindi non deve tentare, vanamente, di provvedere a tutto, ma riconoscere e sostenere, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative delle diverse forze sociali, che uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive e l’azione caritativa è un suo opus proprium, nel quale essa agisce come soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura (n. 29).
Benedetto XVI insiste perciò sul profilo specifico dell’attività caritativa della Chiesa: essa deve rispondere alle necessità concrete degli uomini, con competenza e soprattutto con umanità; deve essere indipendente da partiti e ideologie; deve essere gratuita, non fatta a scopo di proselitismo, ma non può lasciare Dio e Cristo da parte: l’amore nella sua purezza e gratuità è infatti la migliore testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare, la migliore difesa di Dio e dell’uomo (cfr n. 31). La carità si nutre di umiltà e di fiducia, non pretende la soluzione universale di ogni problema ma non per questo cede alla rassegnazione: si affida infatti anzitutto alla preghiera, attingendo così da Cristo forza sempre nuova. Di fronte alla sofferenza incomprensibile, e apparentemente ingiustificabile, presente nel mondo non dubita della potenza e della bontà di Dio; rimane invece salda nella certezza che Dio è Padre e ci ama (cfr nn. 34-35). L’inno alla carità della prima Lettera ai Corinzi (c. 13) è dunque la Magna Carta dell’intero servizio ecclesiale: l’azione pratica resta infatti insufficiente se in essa non si rende percepibile l’intima partecipazione al bisogno e alla sofferenza dell’altro, il mio essere presente nel dono come persona (cfr n. 34). Con questa Enciclica il Papa ci invita a vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo (n. 39), nella certezza che l’amore è possibile, come attesta la catena ininterrotta dei Santi che lo hanno praticato, e come mostra soprattutto Maria che sotto la croce del Figlio è diventata per sempre nostra comune Madre (cfr nn. 40-42).
La Deus caritas est ha già avuto, in Italia e nel mondo, un grandissimo numero di lettori. Essa offre loro, nella prospettiva dell’amore, una presentazione sintetica, ma profondamente motivata, della fede in Cristo, dove il Dio creatore, che è Intelligenza e Amore, diventa nel Figlio uno di noi, ci ama, ci perdona, ci introduce per sempre nella sua eterna comunione di vita. E così ci indica la strada di un’esistenza, personale e sociale, pubblica e privata, vissuta nella libertà secondo la regola della verità e dell’amore e ci dona la forza per percorrere davvero questa strada. Da questa Enciclica saremo dunque assai aiutati in tutto il nostro compito di Pastori e di evangelizzatori; in particolare ne potranno ricavare grande giovamento la testimonianza e l’azione caritativa delle comunità ecclesiali, ma anche la pastorale della famiglia e la vita concreta delle famiglie cristiane, che vi troveranno il senso pieno ed autentico dell’amore che le tiene insieme. Siamo dunque chiamati, a tutti i livelli, ad attuare con fedeltà e generosità il suo messaggio sia nei grandi orientamenti pastorali, sociali e culturali sia nella pratica quotidiana della nostra vita.
2. Nella seconda parte di questa settimana avrà luogo il Concistoro nel quale, dopo una giornata di riflessione e di preghiera sui problemi che interessano maggiormente la Chiesa e il mondo, il Santo Padre creerà quindici nuovi Cardinali. Porgiamo a ciascuno di loro le nostre più vive felicitazioni e in particolare ci rallegriamo con il nostro Confratello Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, ed anche con Mons. Agostino Vallini, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e già a lungo membro della nostra Conferenza, e con Mons. Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, Arciprete della Basilica di S. Paolo e già Nunzio Apostolico in Italia. Non possiamo inoltre non rivolgere un saluto e un augurio speciale all’Arcivescovo di Cracovia, Mons. Stanislao Dziwisz, durante tutto il Pontificato Segretario particolare del nostro amatissimo Giovanni Paolo II.
La Domenica delle Palme celebreremo nelle nostre Diocesi la XXI Giornata Mondiale della Gioventù: il Messaggio che il Papa ha rivolto ai giovani ha come titolo le parole del Salmo 119 Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino e contiene un caldo invito ad amare la Parola di Dio, ad ascoltarla, meditarla e metterla in pratica nella comunità viva della Chiesa. Continueremo così il nostro dialogo con i giovani, sull’onda del grande appuntamento dello scorso anno a Colonia e in vista di quello del luglio 2008 a Sydney, verso il quale il Papa ci invita ad intraprendere un pellegrinaggio ideale, riflettendo insieme sul tema Lo Spirito Santo e la missione. Come ha tante volte affermato Giovanni Paolo II, e dopo di lui Benedetto XVI, i giovani sono la speranza della Chiesa, le nuove energie della missione e dell’evangelizzazione, ma proprio per essere realmente tali hanno bisogno e diritto, nell’attuale difficile contesto di cultura e di comportamenti sociali, di essere aiutati a crescere e a maturare nella fede e nella sequela del Signore.
Cari Confratelli, in questa sessione del Consiglio Permanente dedicheremo speciale attenzione al Convegno ecclesiale di Verona, che ormai è vicino. Il cammino che ci conduce verso di esso si fa via via più denso di appuntamenti e di iniziative: in particolare quelle svoltesi a Terni dal 9 febbraio al 5 marzo, dedicate a L’Amore che si fa Storia, coinvolgendo sposi, fidanzati e anche coppie di anziani, hanno saputo lanciare un messaggio forte sul valore degli affetti nella formazione e nella crescita delle persone, e quindi sull’importanza dei rapporti tra le generazioni. Attendiamo ora l’imminente appuntamento di Novara, riguardante l’ambito delicato e variegato della fragilità umana, nel quale la riflessione comune si svilupperà intorno all’esperienza del limite nella vita dell’uomo, segnata dalla sofferenza, dal dolore e dalla morte, e tuttavia invincibilmente aperta a quella speranza che si fonda nella risurrezione del Signore. Prosegue intanto nelle Diocesi l’approfondimento dei contenuti della Traccia di riflessione preparatoria al Convegno: questo impegno capillare di confronto e di ricerca è la premessa necessaria per la fecondità delle giornate di Verona.
Il 15 febbraio è terminata l’esistenza terrena di Don Divo Barsotti, un credente e un sacerdote che ha attuato fino in fondo, nella propria vita, quell’impegno che ha espresso con le brevi parole Cerco Dio solo. Siamo grati al Signore per avercelo dato e per il richiamo che ha costantemente rappresentato, per ogni cristiano e in particolare per noi sacerdoti, ad essere a nostra volta, sempre e in concreto, uomini di Dio, che soltanto così possono essere di vero aiuto ai fratelli.
3. Domenica 5 febbraio la Diocesi di Roma è stata duramente colpita da un evento criminoso, che ha scosso l’Italia e ha destato profonda impressione anche al di là dei nostri confini: l’uccisione di un sacerdote romano, Don Andrea Santoro, mentre stava pregando nella chiesa a lui affidata di Trabzon l’antica Trebisonda , nella Turchia orientale, dove si era recato da alcuni anni come fidei donum, con l’intento di rendere presente Cristo in quelle terre, che sono state luogo di crescita e di irradiazione della nostra fede, e di favorire uno scambio di doni, anzitutto spirituali, tra l’Oriente e Roma, rispettando i limiti imposti dalle leggi locali. Don Andrea era convinto infatti che una presenza di preghiera e di testimonianza di vita sarebbe stata segno efficace di Gesù Cristo e fermento di amore e di riconciliazione. Era consapevole di suscitare anche delle ostilità e di correre dei rischi, ma era sostenuto da un grande coraggio cristiano, quel tipico coraggio di cui, attraverso i secoli, tanti martiri hanno dato prova e che ha la sua radice nell’unione con Cristo, dal quale nemmeno la morte ci può separare (cfr Rom 8,31-38). Le parole pronunciate dalla sua anziana madre: La mamma di Don Andrea perdona con tutto il cuore la persona che si è armata per uccidere il figlio e prova una grande pena per lui essendo anche lui un figlio dell’unico Dio che è Amore, sono la corona di questo sacrificio.
Tra le tante lettere che ho ricevuto dopo la morte di Don Santoro molte soprattutto di semplici fedeli mi segnalavano i nomi di numerosi altri credenti, sacerdoti, religiose uccisi per la loro fede e il loro servizio di amore, chiedendo che non siano dimenticati: giunge dunque ben a proposito la Giornata di preghiera e di digiuno per i missionari martiri, che celebreremo venerdì. La stessa uccisione di Don Santoro è avvenuta, quali che siano le sue concrete motivazioni, nel contesto di quella ondata di violenze che ha preso spunto dalle vignette offensive nei confronti dell’Islam pubblicate a fine settembre su un quotidiano danese, causando in numerosi Paesi molte vittime e distruzioni e coinvolgendo anche i rapporti tra l’Italia e la Libia.
A questo riguardo Benedetto XVI, ricevendo il 20 febbraio l’Ambasciatore del Marocco, ha detto parole di verità, di giustizia e di pace alle quali ci associamo con intima convinzione e che è bene rileggere per intero: la Chiesa cattolica resta convinta che, per favorire la pace e la comprensione tra i popoli e tra gli uomini, sia necessario e urgente che le religioni e i loro simboli siano rispettati, e che i credenti non siano oggetto di provocazioni che feriscono la loro condotta e i loro sentimenti religiosi. Tuttavia l’intolleranza e la violenza non possono mai giustificarsi come risposta alle offese, poiché esse non sono risposte compatibili con i principi sacri della religione: per questo non si può che deplorare le azioni di quanti approfittano deliberatamente dell’offesa causata ai sentimenti religiosi per fomentare atti violenti, tanto più che ciò avviene a fini estranei alla religione. Per i credenti come per tutti gli uomini di buona volontà, l’unica via che può condurre alla pace e alla fratellanza è quella del rispetto delle altrui convinzioni e pratiche religiose, affinché, in maniera reciproca in tutte le società, sia realmente assicurato a ciascuno l’esercizio della religione liberamente scelta. Occorre procedere per questa strada, con grande senso di responsabilità e ancor prima con sincera coerenza al comandamento supremo dell’amore, e al contempo senza lasciarsi condizionare dalla paura e senza mascherare l’aperta testimonianza della nostra fede. In realtà proprio nella misura in cui l’Italia, come altre nazioni che condividono la grande eredità della fede cristiana, saprà alimentarsi a questa sorgente di vita e di cultura, avrà maggiori e più autentiche energie morali per affrontare in maniera costruttiva le difficoltà e i pericoli che si sono addensati negli ultimi anni sulla scena internazionale.
Le notizie che giungono dalle aree più a rischio mostrano quanto sia necessario e urgente l’impegno per la pace. In Iraq, specialmente dopo l’attentato che ha devastato la moschea sciita di Samarra, è sembrato forte il pericolo di una guerra civile e ancora molto si fatica per trovare una forma di equilibrio, coesistenza e collaborazione tra le diverse componenti della popolazione, mentre continua la tragica serie delle uccisioni e delle stragi.
In Terra Santa l’esito delle elezioni del 25 gennaio per il Parlamento palestinese ha aperto ulteriori incognite sul percorso, già tanto accidentato, che deve condurre alla rinuncia alla lotta armata, al riconoscimento reciproco e alla coesistenza pacifica tra lo Stato d’Israele e il Popolo palestinese, dotato di proprie istituzioni democratiche e sovrane. Gli atti di forza, a cui si è fatto ricorso anche la scorsa settimana, non potranno certo facilitare questo cammino.
È cresciuta la tensione per i programmi nucleari dell’Iran, che saranno discussi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: questa nuova emergenza internazionale conferma la fondatezza dei richiami del Papa, che nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (n. 13) denunciava come del tutto fallace la prospettiva di garantire la sicurezza dei singoli Paesi attraverso il possesso delle armi nucleari ed esortava tutti i governi che già le hanno o intendono procurarsele a invertire congiuntamente la rotta, orientandosi verso un progressivo e concordato disarmo nucleare.
Nella situazione attuale meritano inoltre speciale attenzione alcune fondamentali tematiche antropologiche ed etiche, come quelle del rispetto della vita umana dal concepimento al suo termine naturale e del sostegno concreto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio, in particolare nei suoi compiti di generazione ed educazione dei figli, evitando invece di introdurre normative che ne comprometterebbero gravemente il valore e la funzione e non corrispondono ad effettive esigenze sociali.
Una più completa e approfondita esposizione e motivazione di questi criteri di orientamento, da porre soprattutto in rapporto con i programmi delle diverse forze politiche, è contenuta nella Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede del 24 novembre 2002 circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, in particolare al n. 4: assumendola come riferimento concreto delle proprie scelte sarà possibile evitare la diaspora culturale dei cattolici e una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa (cfr il discorso di Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo, 23 novembre 1995).
Segnali senza dubbio preoccupanti giungono da vari Consigli regionali, dove sono state presentate, e in qualche caso approvate, proposte riguardanti le unioni di fatto che equiparano in larga misura i loro diritti a quelli delle famiglie legittime: alcune di queste proposte puntano inoltre ad essere trasferite al Parlamento nazionale, per diventare legge dell’intero Paese.
Tra le leggi approvate nell’ultimo scorcio della legislatura, quella sull’affido condiviso dei figli minori in caso di separazione o divorzio dei genitori ha raccolto un ampio consenso parlamentare. Assai più controversa e discussa è stata l’approvazione delle nuove norme sul contrasto delle tossicodipendenze, che pure riguardano una gravissima piaga sociale. La legge sul processo penale, che era stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, è stata approvata in via definitiva con modifiche che accolgono alcuni rilievi del Capo dello Stato.
Le condizioni della nostra economia permangono purtroppo difficili, come mostrano la mancanza di crescita nel corso del 2005 e l’incremento del debito pubblico, anche se una certa ripresa è prevista per il 2006. Serve dunque un impegno forte e condiviso, senza il quale sarebbe arduo attenuare gli squilibri che affliggono da gran tempo il nostro Paese, penalizzando soprattutto il Meridione, in particolare sul versante cruciale dell’occupazione. Il grandissimo numero di lavoratori extracomunitari che hanno fatto richiesta di regolarizzazione, ben al di là della quota prevista per quest’anno, conferma d’altronde quanto sia complesso e difficoltoso un approccio al problema dell’immigrazione che rispetti le esigenze di accoglienza solidale e di reale e ordinata integrazione, oltre a riproporre alcuni interrogativi sulle condizioni effettive del cosiddetto mercato del lavoro.
Assai significativa è la sentenza con la quale il Consiglio di Stato, il 15 febbraio, ha respinto un ricorso che chiedeva la rimozione del Crocifisso dalle aule scolastiche, con una motivazione che supera la fallace antinomia tra la portata religiosa di questo simbolo e la sua capacità di esprimere il fondamento dei valori civili propri della nostra nazione.
Si è sviluppato nelle ultime settimane un vivace dibattito su un eventuale insegnamento della religione islamica nelle scuole pubbliche, dibattito che si è esteso anche all’insegnamento della religione cattolica. Fatta l’ovvia premessa che la competenza della nostra Chiesa riguarda i rapporti con lo Stato italiano in merito all’insegnamento del cattolicesimo e non di altre religioni, sembra utile aggiungere qualche precisazione. In primo luogo vale per tutti il diritto alla libertà religiosa e in linea di principio non appare impossibile l’insegnamento della religione islamica. Occorre però che ricorrano alcune fondamentali condizioni, che valgono nei confronti di ogni insegnamento nelle scuole pubbliche italiane: in particolare che non vi sia contrasto nei contenuti rispetto alla nostra Costituzione, ad esempio riguardo ai diritti civili, a cominciare dalla libertà religiosa, alla parità tra uomo e donna e al matrimonio. In concreto, manca finora un soggetto rappresentativo dell’Islam che sia abilitato a stabilire con lo Stato italiano un accordo in merito; bisognerebbe inoltre assicurarsi che l’insegnamento della religione islamica non dia luogo di fatto a un indottrinamento socialmente pericoloso.