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Prolusione del card. Ruini (17-1-2005)
1. Il nostro pensiero e il nostro affetto si rivolgono in primo luogo al Santo Padre, in questo Anno dell’Eucaristia che egli ha solennemente inaugurato domenica 17 ottobre, in collegamento con la celebrazione conclusiva del Congresso Eucaristico Internazionale di Guadalajara, dopo aver firmato il 7 ottobre la Lettera Apostolica Mane nobiscum Domine sull’Eucaristia come mistero di luce, sorgente ed epifania di comunione e principio e progetto di missione. L’8 dicembre il Papa ha celebrato il 150° anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, mentre il 13 novembre ha commemorato il 40° anniversario della promulgazione del Decreto sull’ecumenismo Unitatis redintegratio. In tale occasione, come in quella della visita del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, e poi nel discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi, Giovanni Paolo II ha ribadito la sua volontà di continuare a percorrere senza esitazioni il cammino dell’unità: è questo l’approccio migliore anche per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che ci apprestiamo a celebrare, dopo aver vissuto oggi la Giornata per l’approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei.
Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato quest’anno a Non lasciarti vincere dal male ma vinci con il bene il male, richiama la verità fondamentale che Il bene morale nasce dall’amore, si manifesta come amore ed è orientato all’amore: si innesta qui quella grammatica della legge morale universale che unisce tutti gli uomini tra loro e non muta, pur nell’evolversi delle idee e dei costumi e nella diversità delle culture. Perciò l’appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Nel grande principio paolino di non lasciarsi vincere dal male, ma vincere con il bene il male (Rom 12,21) si può ravvisare in realtà anche il criterio di vita e di azione che guida il Pontificato di Giovanni Paolo II come quello dei suoi venerati Predecessori, tra i quali Pio XII e Giovanni XXIII, fatti oggetto nelle ultime settimane di polemiche non nuove, lontane dalla verità storica e inutilmente faziose, che hanno trovato però risposte precise e adeguate.
Il 25 ottobre è stato presentato il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontifico Consiglio della Giustizia e della Pace per esporre in maniera sintetica ma sistematica ed unitaria un insegnamento sviluppatosi nell’arco di oltre un secolo: esso sarà di grande aiuto a noi Vescovi e ai sacerdoti, ma soprattutto ai fedeli laici e a tutti gli uomini sinceramente impegnati ad operare in campo sociale per promuovere il bene comune. In questo contesto ricordiamo con soddisfazione anche la XLIV Settimana Sociale dei cattolici italiani, svoltasi a Bologna dal 7 al 10 ottobre su Democrazia: nuovi scenari nuovi poteri e ricca di stimoli interessanti e variegati. Il 14 ottobre è stato reso pubblico il Direttorio della nostra Conferenza sulle comunicazioni sociali Comunicazione e missione, approvato nell’Assemblea Generale del maggio scorso: da esso attendiamo un rinnovato impulso e precisi criteri di discernimento per quell’impegno di comunicazione a tutto campo che appare sempre più un’esigenza strutturale per la missione della Chiesa nel nostro tempo.
2. Cari Confratelli, siamo tutti ancora scossi e profondamente addolorati per l’immane maremoto, il più grande e terrificante della nostra epoca, che ha seminato innumerevoli lutti e rovine in molti Paesi dell’Asia sudorientale, giungendo anche a lambire il continente africano. È stato giustamente osservato che questa è la prima catastrofe naturale da noi avvertita come effettivamente universale, non solo per il coinvolgimento mediatico ed emotivo ma assai più concretamente perché in essa hanno perso la vita uomini e donne dei più diversi paesi, tra cui anche molti nostri connazionali. Di fronte alla morte sono state sostanzialmente annullate anche le differenze grandi, e a volte scandalose, tra le popolazioni native di quelle terre e coloro che invece vi si erano recati per motivi di turismo e di svago. Si è sviluppato così uno sforzo di solidarietà diffuso e poderoso al quale la CEI, la Caritas e gli organismi del nostro volontariato hanno doverosamente partecipato e quasi un senso di comune appartenenza universale, che supera molte barriere e che ora si tratta di far perdurare, dandogli una dimensione in qualche modo strutturale e istituzionale. Le manifestazioni deteriori di indifferenza o di rapina ai danni dei più sventurati, che non mancano mai nelle tragedie collettive e che in questa occasione sembrano minacciare anzitutto i bambini, vanno contrastate con la più grande determinazione ma non cambiano il quadro fondamentale.
Questa è infatti l’occasione per dotare anche i paesi meno sviluppati di quei sistemi di allarme e prevenzione che possono metterci in qualche misura al riparo dalle conseguenze più terribili delle catastrofi naturali. Non dobbiamo nasconderci però che nessuna nostra tecnologia può costituire una protezione assoluta di fronte alla potenza e all’imprevedibilità della natura: riemergono pertanto, in presenza di una simile tragedia, gli interrogativi più profondi e perenni sui rapporti dell’uomo con la natura, e in ultima analisi con Dio nostro comune Creatore. Si può anzi affermare che questi interrogativi sono diventati particolarmente difficili proprio nella nostra epoca, che ha visto aumentare enormemente le risorse di cui disponiamo per dominare la natura e per proteggerci da essa. Da una parte, infatti, è cresciuta in noi, e si è quasi esasperata, la coscienza della nostra soggettività e dei nostri veri o presunti diritti, compreso il diritto di essere felici e di gustare tutta la nostra vita. Dall’altra parte nella nostra attuale cultura così marcata dalla soggettività è andata paradossalmente in larga misura perduta la certezza della nostra superiorità rispetto alla natura ossia della nostra non totale riducibilità e omologazione alla natura stessa e si sono ristretti per conseguenza gli orizzonti della nostra speranza, che restano troppo spesso confinati all’interno della vita terrena. Di più, la natura viene largamente percepita come priva di senso e di scopo, come il regno della cieca necessità e della pura casualità: una casualità da cui non c’è riparo e che però risulta intollerabile di fronte al nostro diritto di essere felici.
A paragone di questi stati d’animo la parola della fede propone atteggiamenti al contempo più modesti e più audaci. Ci riconduce infatti alla nostra realtà di creature che appartengono a questo mondo e sono sottoposte alle leggi, spesso dure, della vita, ivi compresi i tanti eventi casuali e molte volte dolorosi. Di fronte alla natura non abbiamo cioè maggiori diritti e non possiamo vantare maggiori pretese dei miliardi di esseri umani che ci hanno preceduto: soprattutto non possiamo pretendere di essere esonerati da quella sterminata storia della sofferenza che accompagna il cammino del genere umano. Lo stesso sforzo per dominare la terra (cfr Gen 1,26-28), per quanto benemerito, efficace e provvidenziale, rimane all’interno di queste coordinate di fondo.
Ma la parola della fede dà anche fondamento e consistenza a quella coscienza della nostra soggettività che oggi appare spesso esagerata e però quasi sospesa nel vuoto, assicurandoci che l’uomo è creato a immagine di Dio e chiamato a un destino di salvezza eterna.
Ciò non significa che sia eliminato il mistero della storia della sofferenza, soprattutto della sofferenza innocente, mistero che costituisce da sempre il più forte impulso ad interrogarci sul senso della nostra vita e a porci domande su Dio stesso, finendo non di rado con il negare o mettere in dubbio la sua esistenza, o almeno la sua bontà, la sua provvidenza e sollecitudine per il genere umano, oppure la sua onnipotenza.
In realtà stanno davanti a noi due differenti immagini di Dio e due maniere di giungere a conoscerlo. Se ci limitiamo infatti a prendere come punto di partenza il corso della natura e le vicende della storia, emergono indizi contrastanti, che ci parlano da una parte di una sconfinata sapienza, bontà e bellezza, ma dall’altra di crudeltà e insensatezza: così Dio stesso e il suo atteggiamento verso di noi rimangono in qualche modo enigmatici e incomprensibili, tanto che Dio può sembrare senza volto, o almeno senza un volto conoscibile da noi.
Se invece ci apriamo, con fiducia e umiltà, a quella rivelazione che Dio ha fatto di se stesso nella storia di Israele e soprattutto in Gesù Cristo, allora possiamo contemplare il suo volto, secondo le parole di Gesù: nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11,27), e ancora Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,9). Questo volto di Dio Padre non perde la sua grandezza e il suo mistero, eppure diventa straordinariamente vicino e amico, fino a condividere nel suo unico Figlio la nostra vita e proprio quella storia della sofferenza in specie della sofferenza innocente che fa nascere in noi le domande più angosciose. Su queste basi il Papa ha potuto affermare, nell’Angelus di domenica 2 gennaio: anche nelle prove più difficili e dolorose come nelle calamità che hanno colpito il Sud-Est asiatico Dio non ci abbandona mai: nel mistero del Natale è venuto a condividere la nostra esistenza.
Nella croce di Cristo incontriamo, in maniera unica, una sofferenza del tutto innocente e redentrice: da essa si diffondono pertanto forza e speranza di redenzione sull’intera sofferenza umana, dato che, facendosi uomo, il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo (Gaudium et spes, 22). Così il dramma e il mistero della sofferenza che sono in fondo il dramma e il mistero della nostra vita ancora una volta non vengono eliminati, e tuttavia non ci appaiono più qualcosa di oscuro e di insensato: la grandezza e la miseria che insieme definiscono la condizione umana non presentano più l’aspetto di un contrasto non riconciliabile che toglie senso alla nostra vita, ma lasciano intravedere l’apertura ad un significato della vita stessa che non può essere conquistato da noi bensì soltanto ricevuto in dono.
La riflessione sull’immane tragedia del Sud-Est asiatico ci riconduce così verso il mistero dell’Eucaristia, nel quale l’intero Triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Cristo è come raccolto e concentrato’ per sempre e perennemente attualizzato (cfr Ecclesia de Eucharistia, 5) e tutta la famiglia umana è chiamata a diventare, in Cristo, un solo corpo, in cui siamo membra gli uni degli altri, legati dalla solidarietà più profonda nel soffrire e nel riaprirci alla speranza e alla vita (cfr 1Cor 12,24-27). Compito della Chiesa è proporre con la parola e soprattutto con la testimonianza della vita questa verità salvifica a un’umanità che a volte ci appare lontana ma in Cristo è a noi indissolubilmente legata. Nell’adempimento di un tale compito ha un ruolo peculiare proprio l’Eucaristia della domenica, celebrata e vissuta secondo quello che essa realmente è e richiede: la donazione di noi stessi in unione con il sacrificio del nostro unico Signore, la comunione con Dio che diventa solidarietà operosa e senza frontiere.
3. La situazione del mondo in cui viviamo è difficile non soltanto a causa delle calamità naturali: quella del Sud-Est asiatico era stata preceduta dall’uragano che ha devastato il 23 settembre la già tanto sofferente Haiti e dai tifoni che hanno colpito le Filippine; in entrambi i casi non è mancata la solidarietà concreta della nostra Conferenza.
In ampie zone dell’Iraq la situazione si fa sempre più minacciosa, con un terribile crescendo di attentati e di stragi, mentre mancano solo due settimane alla data delle elezioni. Esse dovranno svolgersi pertanto in condizioni di massima difficoltà e tuttavia continuano ad apparire una strada senza alternative: il precedente delle elezioni svoltesi in Afghanistan in ottobre autorizza qualche speranza, anche se sono grandi le differenze tra i due Paesi.
Più solide ragioni di speranza provengono attualmente dalla Terra Santa, anche se le delusioni patite in più di mezzo secolo ci obbligano ad essere particolarmente prudenti. Le elezioni presidenziali svoltesi il 9 gennaio nei Territori palestinesi e i cambiamenti intervenuti nel Governo israeliano configurano infatti una situazione nuova, nella quale dovrebbe potersi affermare, anche nelle scelte politiche dei rappresentanti dei due popoli, la consapevolezza ormai diffusa dell’impossibilità di risolvere i nodi da tanto tempo esistenti attraverso il ricorso alla violenza e alla forza delle armi, che hanno già provocato danni immensi. Proprio in questa nuova situazione è più che mai importante un impegno internazionale davvero concorde e convergente per rilanciare e condurre finalmente a risultati concreti il processo di pacificazione, ma è anzitutto essenziale por fine agli attentati terroristici, come quelli avvenuti negli ultimi giorni, che appaiono funesti tentativi di arrestare nuovamente il cammino verso la pace. A un attentato legato a quel conflitto si deve purtroppo anche la morte delle due giovani sorelle italiane Jessica e Sabrina Rinaudo, avvenuta il 7 ottobre nella località turistica di Taba in Egitto.
In questi mesi l’Africa ha continuato ad essere segnata da molteplici violenze, come quelle che hanno avuto luogo in Costa d’Avorio, con vittime anche francesi e con il coinvolgimento militare della Francia, tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, in Uganda e nella regione sudanese del Darfur. In quel tanto travagliato continente sembrano farsi strada però anche spinte positive, con alcuni risultati promettenti. Tra questi l’accordo di pace firmato a Nairobi, che dovrebbe porre fine a ventun’anni di guerra nel Sudan meridionale mentre rimane irrisolta però la questione del Darfur , le iniziative negoziali che hanno portato alla creazione di un parlamento in Somalia, l’altro accordo di pace raggiunto nel Senegal e il cessate il fuoco in Uganda, oltre agli sforzi in corso per superare i motivi di conflitto tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Alla base di questi risultati e di queste speranze stanno certamente l’impegno e le pressioni della diplomazia internazionale, ma anche come osserva Padre Giulio Albanese l’emergere, pur tra mille resistenze e contrasti, di quelli che possiamo chiamare i germogli di una società civile in Africa, fatta di gruppi, associazioni e movimenti, molti dei quali femminili: essi sono espressione di un dinamismo che sembra scongiurare, almeno nel lungo periodo, un eccessivo pessimismo sulle sorti di questo continente.
Soprattutto da tali forze vive dell’Africa stessa, oltre che dalla doverosa e necessaria solidarietà concreta delle nazioni più sviluppate, può venire anche l’impulso per arrivare a sconfiggere quelle tragiche piaghe, quali la fame, la sete, la mortalità infantile, le epidemie tra cui specialmente l’AIDS, che affliggono con la maggiore gravità gran parte di questo continente: le enormi dimensioni di tali tristi fenomeni sono state confermate ed evidenziate dai recenti rapporti delle Agenzie delle Nazioni Unite.
Grande è il contributo che sia i missionari sia le giovani Chiese africane stanno dando per far fronte a tutti questi problemi e si deve in buona misura alla loro presenza ed opera spirituale, culturale e formativa lo stesso emergere di una società civile in Africa. Il prezzo del bene compiuto è senza dubbio alto, come testimoniano i quindici missionari martiri del 2004, che hanno perso la vita soprattutto in Africa: ma si tratta di un prezzo che è in realtà dono di grazia, fecondo per le terre dove i martiri vengono uccisi ma anche per quelle da cui essi provengono. Il Simposio di novembre a Roma, a cui hanno partecipato i rappresentanti degli Episcopati dell’Europa e dell’Africa, vuol essere il segno di una comunione e solidarietà che devono diventare sempre più operose e profonde.
4. La firma del Trattato costituzionale dell’Unione Europea, avvenuta a Roma il 29 ottobre, è un passaggio di grande importanza nel lungo, travagliato ma fecondo percorso di integrazione che si è ormai dilatato a comprendere la maggior parte delle nazioni europee: le lacune di vario genere presenti nel Trattato stesso non cambiano questa valutazione di fondo. Ora è indispensabile procedere alla sua ratifica da parte dei singoli Paesi, ma anche ad un’attuazione concreta che ne valorizzi gli aspetti positivi e dinamici.
Il 17 dicembre il Consiglio Europeo ha dato l’assenso all’avvio dei negoziati di adesione all’Unione da parte della Croazia e della Turchia, sia pure ponendo varie condizioni preliminari, specialmente per quanto riguarda la Turchia, per la quale si tratta di un processo aperto il cui risultato non può essere garantito in anticipo. In questa questione, densa di implicazioni e di risvolti che rendono difficile una scelta decisa nell’uno o nell’altro senso, una condizione davvero irrinunciabile è comunque il pieno rispetto della libertà religiosa con la quale, come ha detto il Papa nel discorso del 10 gennaio al Corpo Diplomatico, si sviluppa e fiorisce ogni altra libertà e dello stato giuridico a cui hanno diritto le comunità religiose minoritarie.
Il desiderio di Europa appare forte però anche in una nazione come l’Ucraina, dove il vento del 1989 ha ripreso a soffiare con forza in questi ultimi mesi, producendo risultati assai significativi, e che può vantare con i Paesi dell’Unione Europea affinità e legami antichi e profondi. La Russia stessa, piuttosto che vedere nei fatti di Ucraina soltanto una diminuzione della propria influenza, potrebbe essere stimolata a percorrere con più piena e coerente determinazione la via di un rapporto più solido e organico con quelle nazioni alle quali essa, pur con le sue grandi e innegabili peculiarità, è legata da radici storiche e culturali e da interessi in buona parte comuni.
Per il futuro dell’Unione Europea emergono in ogni caso alcune priorità che devono trovare realizzazione anzitutto all’interno dell’Unione stessa. Tra queste certamente un impegno deciso e sincero per consolidare e rafforzare l’unità, sviluppato però in maniera coerente e consapevole nella linea della sussidiarietà. Ma non meno importante è che l’Unione Europea affronti la nuova fase storica che è già iniziata, e che vede l’emergere sulla scena mondiale di nuovi protagonisti, avendo chiara coscienza della propria identità spirituale, culturale e civile certo complessa ma non equivoca né anonima e giusta stima ed amore per essa: questo è già, in effetti, il sentire profondo dei popoli europei, anche se talvolta occultato o contraddetto nelle sedi istituzionali e nella comunicazione sociale. Perché la predetta identità possa emergere con più forza e chiarezza, un ruolo significativo, nel contesto europeo, può essere giocato dall’Italia.
5. Giungiamo così, cari Confratelli, a concentrare l’attenzione sul nostro Paese, che dovrebbe essere messo in condizione di esprimere al meglio le proprie non piccole potenzialità, anche per contribuire con crescente efficacia al bene comune internazionale.
Negli ultimi mesi è stata ancora alta la tensione tra gli schieramenti politici ed anche, a fasi alterne, all’interno di ciascuno di essi, come pure non di rado tra le diverse istituzioni. L’atto di violenza compiuto la sera del 31 dicembre contro il Presidente del Consiglio, per quanto si tratti di un episodio modesto e felicemente concluso ma comunque meritevole di un non equivoco giudizio negativo , rimane pur sempre un’ulteriore spia di questa eccessiva tensione, per attenuare la quale ciascuno dei protagonisti della vita pubblica e istituzionale dovrebbe evitare di attribuire solo alla controparte le colpe e le responsabilità.
L’approvazione di alcune riforme, sulla cui importanza e necessità, o almeno opportunità, esiste di per sé un largo consenso, è avvenuta purtroppo in questa chiave di conflittualità e di sistematica delegittimazione reciproca, che condiziona inevitabilmente la loro accoglienza e in qualche modo anche il loro concreto valore. Ciò vale a titolo speciale per la riforma della seconda parte della Carta costituzionale, approvata in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 15 ottobre, modificando e migliorando il testo precedentemente approvato dal Senato. Ci sarebbe ancora tempo, sia pure risicato, per tentare ulteriori modifiche più ampiamente condivise, come è assai auspicabile per le norme costituzionali: a tal fine è indispensabile però quella reciproca disponibilità alla ricerca di intese della quale si vedono per ora ben pochi segnali.
È stato completato l’itinerario parlamentare di approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, ma la legge è stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, che ha ravvisato quattro motivi di palese incostituzionalità. Il conseguente nuovo esame parlamentare può essere l’occasione per uscire il più possibile dalla logica delle contrapposizioni, non solo tra le forze politiche ma anche, in questo caso, tra il Parlamento e gran parte della Magistratura, oltre che tra quest’ultima e i rappresentanti degli avvocati. La relazione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, all’apertura dell’anno giudiziario, ha evidenziato ancora una volta la gravità dei problemi la cui soluzione esigerebbe uno sforzo condiviso ed ha anche offerto alcuni spunti e indicazioni per muoversi in questa direzione. Sempre in materia di giustizia ha sollevato diffuse perplessità il disegno di legge che, insieme ad altre disposizioni certamente utili, abbrevia i termini della prescrizione, per il sospetto che il provvedimento abbia di mira situazioni di singole persone.
Nel corso dei lavori di questa sessione del Consiglio Permanente prenderemo in esame la pastorale carceraria, tema che merita grande attenzione, anche alla luce delle situazioni di innegabile disagio che si vivono in non poche carceri italiane e che sono state evidenziate dalle proteste dei detenuti.
La legge finanziaria approvata a fine anno si è proposta due obiettivi impegnativi: riportare il bilancio dello Stato in una zona di maggiore sicurezza, particolarmente in rapporto ai parametri europei, e nello stesso tempo ridurre, sia pure leggermente, il carico fiscale, nell’intento di stimolare lo sviluppo, obiettivo quest’ultimo di cui tutti avvertono la necessità, anche se sui mezzi e i modi per conseguirlo le opinioni sono spesso divergenti. Sul versante del sostegno alle famiglie alcune misure sono senza dubbio apprezzabili, in particolare le deduzioni per i familiari a carico, sebbene decrescenti fino ad azzerarsi oltre una determinata soglia di reddito. I criteri impiegati rimangono però poco idonei a perseguire quella politica organica a favore della famiglia e quella giustizia fiscale che sarebbero invece promosse dall’adozione del quoziente familiare. In questa materia sarebbe inoltre assai importante dare certezze di lungo periodo, le sole capaci di offrire una riposta concreta alla gravissima crisi demografica che affligge il nostro Paese.
Al termine dell’anno alcuni significativi indicatori economici sembrano finalmente prospettare per l’Italia una situazione meno difficile del previsto e migliori possibilità di sviluppo: ciò per quanto riguarda il prodotto interno lordo e la ripresa delle esportazioni, mentre è diminuita l’inflazione e l’occupazione, pur con difficoltà, riesce ancora ad aumentare. In realtà il cosiddetto sistema Italia ha in se stesso le capacità e le risorse per consolidare queste indicazioni, riassorbire l’impoverimento, che purtroppo si è verificato, di ampie fasce della popolazione ed anche per affrontare con rinnovata energia la questione del Mezzogiorno che, come ha detto il Presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno agli italiani, va guardato come la grande riserva di risorse umane e naturali, capace di dare una marcia in più alla nazione.
Affinché queste risorse possano davvero portare i loro frutti, è assolutamente indispensabile ridimensionare radicalmente, e se possibile estirpare, il triste fenomeno della malavita organizzata, che nell’ultimo periodo ha causato un numero di vittime intollerabilmente alto, soprattutto a Napoli: l’impegno dello Stato, attraverso le forze dell’ordine e tutte le autorità competenti, deve essere a tal fine sostenuto da una vera mobilitazione delle coscienze e della società civile, in primo luogo meridionale, a cui la Chiesa sta dando e continuerà a dare tutto il proprio contributo.
Cari Confratelli, dopo la grande tragedia del maremoto nell’Oceano Indiano, un’altra sciagura ci ha duramente colpiti: il gravissimo incidente ferroviario accaduto il 7 gennaio in località Bolognina, nel quale hanno perso la vita ben diciassette persone, oltre a un notevole numero di feriti. Chiediamo anzitutto al Signore di accogliere i defunti nella sua eterna vita e siamo vicini ai feriti e ai familiari con l’affetto e la preghiera. Da questa sciagura è scaturito un acceso dibattito sulla sicurezza dei nostri trasporti ferroviari, a cui si aggiungono le proteste dei cosiddetti pendolari per i ritardi e le inadeguatezze dei mezzi a loro disposizione.
A un livello più ampio, sembra davvero necessario un approccio complessivo, che riguardi l’insieme delle nostre infrastrutture, dai trasporti delle persone e delle merci fino alla produzione e distribuzione delle varie risorse energetiche: mentre cresce infatti la domanda dei servizi assicurati dalle infrastrutture, si attenua invece la disponibilità dei cittadini e delle comunità ad accettare gli oneri relativi, e in particolare ad accogliere le stesse infrastrutture nel territorio da essi abitato. Questo apparente paradosso è comune ai Paesi più sviluppati, ma in Italia sta assumendo i caratteri di una vera emergenza sociale, dalla quale non si potrà uscire se non attraverso il ricupero di quella che è stata chiamata una solidarietà infrastrutturale, nella quale ciascuno accetti di accollarsi la propria parte di oneri, in vista degli obiettivi comuni.
6. Pochi giorni fa la Corte Costituzionale si è pronunciata sui referendum abrogativi della legge sulla procreazione medicalmente assistita, respingendo il quesito che aveva di mira l’abrogazione dell’intera legge e ammettendo invece gli altri quattro che ne domandavano l’abrogazione parziale.
Prendiamo atto di queste decisioni della Corte, al di là dei non pochi interrogativi e perplessità che esse possono legittimamente suscitare. Non cambiano però, e non possono cambiare, la valutazione e la posizione che abbiamo ripetutamente espresso riguardo a questa legge, che sotto diversi e importanti profili non corrisponde all’insegnamento etico della Chiesa, ma ha comunque il merito di salvaguardare alcuni principi e criteri essenziali, in una materia in cui sono in gioco la dignità specifica e alcuni fondamentali diritti e interessi della persona umana.
Pertanto, mentre non abbiamo cercato e non cerchiamo alcuna contrapposizione, non possiamo per parte nostra essere favorevoli a ipotesi di modifiche della legge fatte con l’intento di evitare i referendum: esse non sarebbero infatti in alcun modo migliorative, ma al contrario dovrebbero forzatamente abdicare proprio a quei principi e criteri essenziali.
Daremo invece il nostro contributo affinché la campagna referendaria si svolga in forme serene e rispettose, e al contempo attente all’obiettiva gravità dei problemi. A tal fine auspichiamo e chiediamo che le diverse posizioni abbiano ciascuna spazio adeguato sui mezzi di comunicazione, specialmente su quelli di maggiore diffusione.
Il confronto referendario, sebbene da noi certamente non desiderato, può contenere infatti un’opportunità per rendere il popolo italiano più consapevole dei reali problemi e valori in gioco riguardo a quella che il Santo Padre, nel discorso già ricordato al Corpo Diplomatico, ha indicato come la prima delle grandi sfide dell’umanità di oggi, cioè la sfida della vita. Siamo lieti che in questo confronto i cattolici non siano soli ma si trovino a concordare con molte persone anche non credenti tra cui uomini di scienza, di cultura, delle comunicazioni sociali ugualmente preoccupate del nostro comune futuro. Quanto alle modalità attraverso le quali esprimere più efficacemente il rifiuto del peggioramento della legge, sembra giusto avvalersi di tutte le possibilità previste in questo ambito dal legislatore.
Siamo consapevoli delle difficoltà che ci attendono e delle critiche a cui potremo essere sottoposti. È però doveroso per noi esprimerci con sincerità e chiarezza, anche in questa materia, e siamo interiormente sostenuti dalla coscienza di adempiere alla nostra missione e di operare per il bene concreto delle persone, delle famiglie e del corpo sociale.