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Prodi, “far nascere l’università del Mediterraneo per costruire un sapere comune”

Abbiamo intervistato Romano Prodi che in questo momento interviene al convegno dei sindaci sul Mediterraneo in Palazzo Vecchio. "C’è stato un tempo in cui il Mare Nostrum era il luogo di un positivo intreccio fra i popoli e non, come oggi, scenario di tensioni continue e conflitti infiniti". Il convegno di vescovi e sindaci ha come obiettivo quello della "ricostruzione di una comunità di interessi comuni". Fondamentali in questo percorso sono la scuola e l’educazione

I due convegni, dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, che si svolgono in contemporanea a Firenze vogliono portare anche risultati concreti. Tra questi, si parla di una Università del Mediterraneo. In cosa consiste questo progetto? Quali sarebbero le finalità?«Forse pochi ricordano che c’è stato un tempo in cui il Mediterraneo era il luogo di un positivo intreccio di commerci e di rapporti fra i popoli e non, come oggi, scenario di tensioni continue e conflitti infiniti. Se pur esistono ancora buoni rapporti economici, dall’altro dobbiamo prendere atto che a quella continuità di rapporti tra Nord e Sud si è sostituita una crescente estraneità tra le nostre società. I due convegni organizzati a Firenze, dei vescovi da un lato e dei sindaci dall’altro, hanno come obiettivo quello di cominciare a ricostruire il necessario clima culturale che favorisca la ripresa dei rapporti quotidiani fra gli uomini e le donne del nord e del sud e la ricostruzione di una comunità di interessi comuni. Solo su queste basi possiamo infatti immaginare una rinascita del Mediterraneo. Le Università hanno, in questo contesto, un ruolo fondamentale: universitas significa proprio comunità. Una comunità che si confronta, che condivide il sapere, che lo diffonde». Il programma «Erasmus» ha contribuito a far crescere una coscienza europea nelle generazioni più giovani. È possibile pensare a qualcosa di simile tra le diverse sponde del Mediterraneo?«Non solo è possibile, ma non è più rimandabile. Già nel 2001 proposi alla Commissione Europea, di cui ero presidente, di accompagnare l’allargamento a Est con la creazione di Università miste e paritarie fra i paesi europei che si affacciano nel Mediterraneo e i paesi della sponda sud. Università miste non significa portare in Tunisia o in Libia le filiali di nostre Università, ma creare strutture accademiche con un’unica sede divisa fra Sud e Nord con un uguale numero di professori del Sud e del Nord, un uguale numero di studenti del Sud e del Nord e con l’obbligo, per gli studenti, di frequentare lo stesso numero di anni a Sud e a Nord. La proposta implicava la fondazione di un ateneo con sede in una città del Nord, ad esempio Bari o Palermo e e una del Sud come Tunisi, mentre la Spagna avrebbe fatto altrettanto con le Università del Marocco e la Francia con l’Algeria. Allora non vi fu nemmeno discussione perché per i paesi europei del nord si trattava di soldi buttati. Ma oggi il quadro è cambiato: non solo l’Europa non ha un ruolo da protagonista nel Mediterraneo, dove Turchia e Russia esercitano un potere politico incontrastato, ma siamo dinnanzi a conflitti sempre maggiori, alla criminalità dilagante, al terrorismo in espansione e alla tragedia delle migrazioni che, come ha ricordato papa Francesco, hanno trasformato il Mare nostrum in un “un freddo cimitero senza lapidi”. I denari che vent’anni fa sembravano buttati, sono diventati oggi un necessario investimento per il futuro». In un tempo di crisi della politica, la figura di David Sassoli emerge come un politico capace di trasmettere speranze e valori. Come trasmettere alle future generazioni questi sogni?«Scuola, scuola e ancora scuola. David Sassoli è stato certamente un uomo e un politico mosso dalle passioni. Ma questa sua passione traeva linfa da una solida formazione che lo ha indirizzato verso un interesse costante nei confronti dei diritti umani, da sempre al centro della sua agenda politica. Così, con quel suo modo mite di porsi, ma inflessibile allo stesso tempo, è stato capace di far diventare patrimonio comune dell’Europa il tema della solidarietà. Per questo insisto: dobbiamo puntare sull’istruzione, sulla formazione, sul confronto aperto al mondo. Le Università miste paritarie hanno proprio l’obiettivo di mescolare le carte e di far tornare in contatto le nuove generazioni del Nord e del Sud perché dalla conoscenza reciproca nascano soluzioni per un futuro migliore. L’errore è rinchiudersi. La passione europea di David Sassoli nasceva dalla consapevolezza che l’Unione europea, seppur ancora imperfetta e incompiuta, è la nostra più grande occasione per affrontare le sfide del futuro: ci siamo uniti, superando le nostre diversità, ma nel rispetto reciproco, e siamo diventati più grandi e più forti. Questo senso di apertura, questo sguardo allargato sul mondo è ciò che dobbiamo trasmettere alle nuove generazioni. E la scuola svolge un ruolo fondamentale». C’è la possibilità che, com’è accaduto per l’Europa, anche tra i Paesi dell’Area Mediterranea nasca in futuro un regime di scambi commerciali e di politiche comuni su alcuni temi fondamentali?«Tutto sembra farci pensare che questo sia più un sogno che non un programma politico perché, in questi ultimi anni, abbiamo fatto tanti passi indietro e pochi passi avanti. Sembra infatti che, nel Mediterraneo, il linguaggio non sia più quello delle persone ma quello delle armi. Eppure il cambiamento è possibile. Penso tuttavia che, nelle circostanze di oggi, le necessarie politiche comuni possano essere portate avanti solo da un’iniziativa dell’Unione Europea. Ricordo che, vent’anni fa, nella Commissione Europea, si era proposta la costruzione di un “anello degli amici” (questo era il nome del progetto) attraverso il quale tutti i paesi della sponda sud del Mediterraneo potessero costruire, pur procedendo passo per passo, rapporti politici e commerciali sempre più stretti e paritari con l’Unione Europea. Un cammino lungo e difficile, un cammino che non aveva ovviamente come obiettivo l’ingresso di questi paesi nell’Unione, ma che preparava per loro, fin dall’inizio, una prospettiva di pace e di sviluppo. Oggi le tensioni, le disparità e i processi migratori dimostrano che non esiste alternativa a questo progetto. Nei tempi che stiamo vivendo esso sembra così lontano, ma è davvero l’unica prospettiva affinché il Mare Nostrum diventi finalmente il mare di tutti». Come vede il ruolo delle religioni nel futuro del Mediterraneo?«Dobbiamo purtroppo prendere atto che le religioni sono state troppo spesso, e tanto anche nell’ultimo secolo, non uno strumento di dialogo ma di divisione. Non sempre le cose sono state così. Abbiamo ancora memorie e testimonianze di come ragazzi cristiani, ebrei e musulmani crescessero e giocassero insieme, in un ambiente in cui la diversità di religione non era un ostacolo, ma uno stimolo alla comune convivenza. Questo clima può essere ricostituito solo se la politica non si impadronisce della religione e la religione non si impadronisce della politica. Per questo motivo ho insistito, e tuttora insisto, nella necessità di creare, con “l’anello degli amici”, una nuova politica fondata sul dialogo e nuovi legami. Soprattutto fra le giovani generazioni. Ritengo perciò necessario che quest’anello diventi subito operante facendo vivere e studiare insieme decine e decine di migliaia di giovani della riva Nord e della riva Sud del nostro amato mare». Dopo tanti anni di pace, si torna a parlare di scenari di guerra dentro i confini dell’Europa. Incontri come quello che si svolge in questi giorni a Firenze, che vede protagoniste le città, possono essere utili a creare una «diplomazia dal basso» che scongiuri i conflitti?«I recenti scenari di guerra esistono proprio perché al dialogo fra le grandi potenze si è sostituito il loro desiderio di sopraffazione. Questo spinge a ritenere che questi istinti siano propri della natura umana e che siano quindi una componente necessaria della nostra stessa esistenza. Tanto è condivisa questa opinione che chi si definisce pacifista passa comunemente per essere considerato un utopista fuori dal mondo. Eppure noi siamo eredi di una generazione che, con la pur faticosa e imperfetta costruzione dell’Unione Europea, ha dimostrato che si possono fare convivere in pace paesi e popoli che si erano fra di loro massacrati per secoli e secoli. L’incontro di Firenze, città che ha avuto in La Pira l’uomo che più di tutti ha pensato che la pace non fosse un’utopia ma un obiettivo, è l’esempio concreto che il dialogo è possibile. Potrò certamente essere accusato di essere eccessivamente ottimista, ma sono certo che l’incontro di Firenze potrà contribuire a preparare il clima nel quale i cambiamenti politici virtuosi diventeranno possibili».