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Principi e diritti, un elenco per le future scelte

di Emanuele RossiScuola superiore Sant’Anna PisaConcludiamo oggi la serie di interventi a prima lettura sulla bozza di statuto licenziata dalla apposita Commissione consiliare a metà luglio, tornando «da capo» e analizzando i primi articoli: quelli relativi ai principi e ai diritti. Occorre subito dire che rispetto alla bozza che era circolata nei mesi scorsi, e sulla quale chi scrive si era soffermato in altro intervento, molto è cambiato, a partire dall’impostazione. Non si parla più, infatti, di «identità toscana», né quindi a tale concetto si collegano i principi posti alla base dello statuto: tale impostazione risulta invece del tutto abbandonata.

L’attuale formulazione si apre con un «Preambolo», il cui valore ed il cui significato concreto sono assai incerti: vi si legge che «Consapevole dello straordinario patrimonio di beni culturali e di bellezze naturali trasmesso dalle generazioni passate, memore dei toscani illustri che hanno fatto avanzare la conoscenza degli uomini, orgoglioso della storia di libertà civiche e della scelta anticipatrice che portò la Toscana per prima ad abolire la pena di morte e la tortura più di due secoli fa, fiero del contributo dato dai toscani al Risorgimento nazionale e alla Resistenza, nell’affermare l’identità toscana che troverà espressione nel futuro Parlamento regionale». Formulazione che risulta, anche dalla mancanza del verbo e dall’incertezza su chi sia il soggetto (forse il «popolo toscano»?), ancora assai provvisoria, e sulla quale sarebbero possibili una serie di riserve: in ordine ad esempio alla considerazione che il patrimonio di bellezze naturali sia stato trasmesso dalle generazioni passate (sic!), ovvero in merito all’affermazione che l’identità toscana troverà espressione nel futuro Parlamento regionale, quando già in due occasioni recenti la Corte costituzionale ha negato la possibilità per le regioni di chiamare «Parlamento» il proprio Consiglio.

Ma sono altre le cose importanti. L’art. 1 cerca di collocare la Regione nell’ambito dei livelli di governo che si sono affermati in questi anni: si afferma che la Toscana è Regione autonoma «nell’unità e indivisibilità della Repubblica italiana», che essa promuove «la partecipazione delle Regioni e delle autonomie locali alla definizione di indirizzi politici nazionali» e che «contribuisce alla costruzione dell’unità politica dell’Europa». Tutto bene, salvo forse una sottovalutazione delle autonomie locali, che non devono essere valorizzate soltanto in chiave nazionale, ma anche all’interno della Regione stessa, ad evitare – anche nelle affermazioni di principio – il rischio di cui molto si è parlato in questi anni, e cioè che al centralismo dello Stato si sostituisca quello delle regioni.

L’art. 3 contiene i «principi generali», consistenti in primo luogo in un richiamo ai valori e diritti della Costituzione europea e della Carta dei diritti dell’Unione europea: ove in certa misura sorprende, più che il porre sullo stesso piano due testi ben diversi per valore ed efficacia giuridica (la Carta di Nizza è, al momento, solo un «documento politico»), quanto soprattutto il mancato riferimento ad altri documenti internazionali (la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 o la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, per indicare i due principali). Il terzo comma prevede poi che «la Regione sostiene i principi di sussidiarietà e di integrazione delle politiche con le autonomie locali, riconosce e favorisce le formazioni sociali e il loro libero sviluppo, promuove la partecipazione dei residenti in Toscana alle scelte politiche regionali». Fa qui la sua comparsa il principio di sussidiarietà, che tuttavia viene riconosciuto – almeno a me sembra – soltanto nella sua dimensione «verticale», mentre per quanto riguarda l’altro tradizionale versante si prevede un riconoscimento e un favore per le formazioni sociali. Non è il caso di legarsi troppo a parole che sarà poi la prassi legislativa ed amministrativa a riempire di contenuto in un senso o nell’altro: e tuttavia un chiaro ed analogo riconoscimento delle due dimensioni del principio di sussidiarietà (che poi si trova affermato in altri articoli della bozza, ma sempre in modo un po’ confuso ed equivoco) potrebbe risultare opportuna e chiarificatrice.

Vi è poi un articolo dedicato ai diritti: e su questo la bozza sceglie una via che vorrebbe superare i dubbi in ordine al problema se lo statuto regionale possa riconoscere diritti (in aggiunta rispetto a quelli riconosciuti a tutti dalla Costituzione): si prevede infatti che i diritti elencati sono quelli che la regione «persegue, tra le finalità prioritarie di governo». In sostanza non si dovrebbe trattare di un elenco di diritti che la regione garantisce «in più», quanto invece alcuni diritti che rappresentano delle priorità dell’azione di governo: e coerentemente con tale disegno l’articolo successivo stabilisce che «la Regione assume a base della sua azione i principi e i diritti del presente titolo, dei quali verifica periodicamente lo stato di attuazione». La soluzione non manca di originalità, e tuttavia essa ingenera alcune perplessità: è lo statuto il luogo adatto a definire le priorità di governo? Queste non devono essere invece riservate alla dinamica politico-legislativa, lasciando allo statuto il compito di definire una cornice più generale di principi e valori che fungano insieme da obiettivi complessivi e da limiti all’azione di governo? Il problema è assai delicato e richiederebbe una riflessione più approfondita.

Non mi soffermo poi sull’elenco dei diritti che vengono definiti prioritari: solo alcuni cenni ad alcuni aspetti che possono maggiormente interessare in questa sede.L’unico riferimento alla religione è «in negativo», là dove si afferma «il rifiuto di ogni forma di xenofobia e di discriminazione legata alla razza, alla religione, all’etnia e a ogni altro aspetto della condizione umana»: non sarebbe invece opportuno prevedere che tra le priorità regionali rientra anche la promozione della libertà religiosa o perlomeno della dimensione spirituale delle persona?Si intende poi tutelare «il diritto dei minori, delle persone di diversa abilità, delle persone anziane ad interventi intesi a garantirne la protezione sociale»: perché non prevedere analogo diritto per tutti i soggetti deboli? Fa un po’ specie, in tale contesto, l’assenza di qualsiasi riferimento alla tutela degli immigrati, solo in parte recuperata dal riconoscimento «dei valori della pace, della solidarietà, del dialogo tra popoli e culture» (che solo assai indirettamente si riferisce agli immigrati presenti sul territorio regionale ed alle politiche di accoglienza).

Si prevede poi, in una delle formulazioni proposte, «la tutela della famiglia e il riconoscimento delle diverse forme di convivenza familiare»: formulazione che evidentemente pone le due situazioni su un diverso piano di valore, ma che risulterebbe più chiara se i due concetti fossero più nettamente differenziati, ad evitare possibili rischi di assimilazione.

In generale si tratta di un elenco sul quale molto si può discutere, anche con possibili ideologizzazioni del dibattito: ma ciò su cui vale la pena maggiormente riflettere è se ed in quale misura tale elenco possa risultare condizionante le future scelte politiche delle maggioranze chiamate a governare la nostra Regione negli anni futuri.