Opinioni & Commenti
Primo luglio, luce in libertà. Ma forse si tratta di un pasticcio
di Giovanni Pallanti
Il Consiglio dei ministri, presieduto da Romano Prodi, ha approvato il decreto di liberalizzazione del mercato elettrico, sottraendolo al monopolio dell’Enel, per i clienti residenziali (quelli cioè che abitano nelle città e nei paesi italiani). Dal 1° luglio gli italiani potranno quindi scegliere da quale operatore comprare l’energia che consumano in casa. Il provvedimento contiene, come ha spiegato il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, alcune norme del disegno di legge delega sull’Energia in discussione al Senato e si è reso necessario per assicurare l’introduzione del quadro normativo di riferimento legislativo in tempo per la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica. Tutto questo avviene per decreto legge perché il Senato è incapace di legiferare: la maggioranza parlamentare che sorregge il Governo Prodi è risicatissima alla Camera Alta. Per questo Enrico Letta ha dovuto ammettere che «le norme non sono ancora pronte, avremo rischiato un periodo di vacatio, il Governo ha quindi ripreso una parte piccola che riguarda il testo del Ministro Bersani al Senato ed ha approvato il decreto legge, che consente ad ogni cittadino di scegliere il suo fornitore di energia elettrica».
Non c’è bisogno di aver studiato i fondamenti della politica moderna (Machiavelli, Guicciardini, Gramsci e Luigi Sturzo) per capire che si tratta di un pasticcio politico che ha pochi precedenti anche nella storia della Repubblica Italiana dove il buon governo è stato spesso messo a rischio da provvedimenti confusi nei propositi e pasticciati nelle norme. Una riforma così importante come la liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica nasce con un decreto legge del Governo che per sua natura è provvisorio e che entro sessanta giorni va convertito in legge dal Parlamento, pena la sua decadenza, e dove al Senato, il provvedimento in questione si è arenato perchè i gruppi parlamentari che sostengono il governo Prodi non sono riusciti ancora a trasformarlo in Legge dello Stato.
Il decreto del governo affida all’Autorità per l’Energia elettrica e il Gas il compito di indicare condizioni standard di erogazione e prezzi di riferimento per le due fonti energetiche: quella elettrica e quella del gas, allo scopo di tutelare il cliente che decida da subito di cambiare fornitore contro possibili aumenti rispetto all’attuale regime dei costi. Questo significa che anche il governo sa che questo decreto legge è un mezzo salto nel buio e che l’attuazione del piano triennale del Ministero delle Attività produttive che prevede, con la liberalizzazione, l’abbassamento delle tariffe, potrebbe invece trasformarsi in un risultato opposto. Infatti andrebbe ben meditato quello che successe nello Stato della California nell’estate del 2000: ci fu uno spaventoso black-out che paralizzò lo Stato californiano che ha un Pil tra i più alti dell’intero occidente. Fu accertato che il black-out fu causato da molte operazioni speculative attuate da alcuni broker specializzati nella compravendita di energia elettrica e soprattutto per le distorsioni della deregulation che aveva reso impossibile un buon controllo della rete di distribuzione. Il governatore della California Gray Davis nel 2001 dichiarò «la nostra deregulation non ha abbassato i prezzi e non ha aumentato la disponibilità di energia. Al contrario: abbiamo prezzi alle stelle, speculazione, incertezza nell’approvvigionamento di elettricità».
Tenuto contro di questo fatto se qualcuno ha letto il recente libro-intervista a Bruno Tabacci Politica e Affari a cura di Sergio Rizzo (ed. Laterza) avrà ben presente il quadro di degenerazione etica della politica e dell’economia che c’è oggi in Italia. Una privatizzazione, in un settore strategico come quello dell’energia, fatta con un decreto legge fa, quindi, poco ben sperare. Per quanto tempo ancora si potrà procedere nel governo della nostra Repubblica in modo così incerto e pieno di incognite? I cittadini stiano all’erta, mai come oggi devono vigilare, in prima persona, sul buon governo della cosa pubblica e sul loro portafoglio.