Italia

Prima del suicidio assistito c’è il diritto a essere aiutati

Chi ha il diritto di dire che una vita è degna di essere vissuta o non lo è? Chi sa con certezza cosa vedono gli occhi, ad esempio, di una persona ferma da 10 o più anni in un letto?È vero che la Corte Costituzionale, nel novembre 2019, due anni fa, aveva stabilito che il Parlamento italiano doveva affrontare questo tema e risolverlo. Meglio ancora: doveva cancellare l’articolo 580 del Codice penale ma solo nella parte dove questo non ammette la possibilità di dare aiuto a chi abbia deciso «autonomamente e liberamente» di porre fine alla propria vita. In pratica doveva togliere la punibilità per chi si rendeva disponibile ad aiutare quanti autonomamente decidevano di togliersi la vita. Persone che, comunque, dovevano essere affette da patologie irreversibili e da intollerabili sofferenze fisiche e psicologiche, e soprattutto tenute in vita esclusivamente da trattamenti di sostegno vitale, spiegarono i giudici.Quando, pochi giorni fa, la proposta di legge già licenziata dal Senato è approdata alla Camera, è emerso che non solo andava oltre a quanto richiesto dai giudici della Consulta, ampliando i potenziali suicidi, ma il vero problema della proposta di legge, per altro contestata da Marco Cappato e dall’Associazione Luca Coscioni perché troppo poco aperta all’eutanasia!, è che al malato non si garantisce nessun tipo di cure alternative. Quelle, ad esempio, chiamate «cure palliative» o terapie del dolore, che pure gli stessi giudici indicavano come fondamentali prima di ogni altra cosa. Non si danno alternative al suicidio. In pratica si obbliga il Servizio sanitario a garantire l’esatto contrario di quanto dovrebbe fare: garantire le cure e il recupero di tutti i cittadini. Erano stati infatti proprio i giudici della Corte a dire che prima di arrivare a proporre il suicidio assistito il Sistema sanitario nazionale dovesse provare con le cure palliative e che queste, come ricordato dal presidente di Scienza e Vita, Alberto Gambino, dovevano essere un pre requisito per la scelta del suicidio. Senza considerare che, nel testo arrivato alla Camera, il suicidio assistito dovrebbe essere portato a termine proprio in quelle strutture sanitarie che invece sono chiamate a salvare la vita, ogni vita.Il problema vero, secondo noi, sta proprio nelle domande iniziali. Chi ha il diritto di dire che una vita non è degna di essere vissuta? Ci sono, ma nei grandi giornali e in tv non trovano quasi mai spazio, storie bellissime di persone malate, ferme in un letto e attaccate a delle macchine che hanno deciso in piena autonomia di andare avanti. Non sono persone che aspettano un miracolo, perché per loro, e per i loro familiari, il miracolo avviene ogni mattina, quando aprono gli occhi. Sono esseri umani che hanno la certezza che la vita, ogni vita, è un dono, bellissimo, e che vale la pena di essere vissuta fino in fondo, come papa Francesco ci ha ricordato in questi giorni. Certo queste persone hanno il diritto di essere aiutate dallo Stato, dal Servizio sanitario nazionale, dalle Aziende sanitarie. Hanno il diritto di essere difese da chi siede in uno scranno del Parlamento, da coloro che giurano fedeltà alla Repubblica che all’articolo 32 della Costituzione dice che proprio «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». Attenzione: nessuno di noi dice che si debbano portare all’estremo le cure, di fare quello che è chiamato accanimento terapeutico. Parliamo piuttosto di accompagnare queste persone verso una morte dignitosa, che significa aiutare loro e le loro famiglie a vivere degnamente fino all’ultimo respiro. Di questo si dovrebbe discutere in Parlamento. Di questo ci piacerebbe parlassero i grandi giornali. Una battaglia che non dovrebbe essere solo dei cattolici ma che dovrebbero far propria quanti credono, o dicono di credere, nella dignità delle persone e non nella cultura dello scarto.