Opinioni & Commenti
Prescrizione, un fragile accordo per arrivare alle Europee
Quando si parla di giustizia, e di giustizia penale in particolare, la politica dovrebbe mostrare un senso di responsabilità ancora più rigoroso, se possibile, di quello richiesto in ogni ambito di intervento. Si tratta infatti di un terreno minato per ogni sistema democratico in quanto vede messi in gioco diritti essenziali, con ricadute dirette addirittura sulla libertà personale, bene preziosissimo e delicatissimo, che il legislatore dovrebbe maneggiare sempre con estrema prudenza e senza solleticare demagogicamente gli umori dell’opinione pubblica.
Quanto è avvenuto nella maggioranza di governo intorno al tema della prescrizione, invece, ha avuto risvolti grotteschi, a cominciare dall’esito finale dello scontro tra M5S e Lega. L’accordo prevede infatti che il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado scatti dal 2020 così da consentire una riforma complessiva del processo penale. Ma secondo il M5S, che esprime il ministro della Giustizia, il blocco scatta anche se la riforma non viene realizzata, secondo la Lega no, la «grande riforma» rappresenta una condizione necessaria per l’entrata in vigore del blocco. Chi avrà ragione?
Un passo indietro per riepilogare i termini della questione. La prescrizione, spiegano i giuristi, è una causa di estinzione del reato. È un meccanismo che serve a evitare che un cittadino resti sotto giudizio all’infinito, fissando dei tempi certi per assicurare la «ragionevole durata» del processo, principio elementare di civiltà giuridica sancito dall’art. 111 della Costituzione italiana e dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Principio, peraltro, strettamente connesso a quello basilare della presunzione d’innocenza fino alla eventuale condanna definitiva (art. 27 della Costituzione).
Approfittando della lentezza del nostro sistema giudiziario, tale meccanismo può essere utilizzato anche in modo strumentale, attraverso manovre dilatorie da parte della difesa, per consentire a un imputato di sottrarsi al giudizio. Il problema è reale, ma andrebbe affrontato con correttivi mirati che non contraddicano i diritti costituzionali e soprattutto con un ben meditato e non frettoloso riordino del sistema processuale. Partire dalla prescrizione è un po’ come iniziare dalla coda.
Il problema politico è esploso con l’iniziativa del M5S di inserire nel disegno di legge anticorruzione, all’esame del Parlamento, un emendamento secondo cui il corso della prescrizione rimane sospeso dalla pronuncia della sentenza di primo grado fino alla data di esecutività della sentenza. Dopo la sentenza di primo grado, insomma, non ci sarebbero più limiti alla durata del processo e questo anche nel caso – ancora più sconcertante – in cui tale sentenza fosse di assoluzione. Le opposizioni sono insorte, ma anche la Lega ha alzato la voce. Ne è venuto fuori un braccio di ferro dai toni surriscaldati: i pentastellati avevano assoluto e urgente bisogno di mandare un segnale al proprio elettorato più «giustizialista» e hanno praticamente accusato i leghisti di volersi mettere al riparo dalle vicende giudiziarie in cui sono coinvolti; i leghisti dovevano fare i conti con un elettorato che, soprattutto tra gli imprenditori al Nord, è sì sensibile ai temi securitari, ma lo è anche alle questioni dell’amministrazione della giustizia.
L’accordo raggiunto consente a entrambi i partiti di scavallare la scadenza delle elezioni europee. In realtà, i tempi sono molto più lunghi. Infatti, anche se avessero ragione i grillini e il blocco della prescrizione scattasse comunque nel 2020, riforma del processo o no, la sospensione comincerebbe ad applicarsi ai procedimenti relativi ai reati commessi a partire da quell’anno. «Vedremo gli effetti quando sarò morto», ha commentato con una battuta Piercamillo Davigo, che pure è uno dei magistrati più amati dal M5S.