Cultura & Società

Premio Pieve, gli otto finalisti alla quarantesima edizione

Appuntamento dal 12 al 15 settembre a Pieve Santo Stefano (Arezzo)

Finalisti Premio Pieve 2024

L’Archivio Diaristico Nazionale taglia il traguardo dei suoi primi quaranta anni di attività e affida agli otto finalisti del 40° Premio Pieve la testimonianza di un impegno importante al servizio della cultura della memoria.

Il fondatore Saverio Tutino definiva l’Archivio dei diari un vivaio, evidenziando la cifra vitale di un luogo che dal 1984 custodisce un patrimonio di ricordi, testimonianze, informazioni, dal valore significativo per il nostro paese e particolarmente in questo momento storico.

Il Premio Pieve, anima e simbolo dell’ADN -dal 12 al 15 settembre in diversi spazi di Pieve Santo Stefano- andrà in scena con il titolo Quaranta anni dopo per sottolineare il risultato raggiunto e lanciare un programma per il futuro, articolato dai nuovi progetti tematici ed editoriali messi in campo dall’Archivio, fino agli otto diari in finale del Premio. La Commissione di lettura ha selezionato storie di guerra, di violenza e sopraffazione sulle donne, di lavoro, offendo uno spaccato della società italiana del passato ma sempre attuale.

Fendevo l’aria è la memoria in cui Albertina Castellazzi ripercorre trentacinque anni della sua vita, dal 1937 al 1972, e la strada impervia verso l’emancipazione dall’imperio di un padre che la voleva destinata alla cura della casa. Ai primi capitoli del racconto fa da sfondo la guerra civile che coinvolgerà drammaticamente la famiglia di Albertina. Intanto l’autrice dovrà affrontare disturbi di salute e perdite familiari importanti. Ma la rinascita arriverà, nonostante i lutti, anche attraverso la conquista del lavoro di insegnante.

È invece la conquista di una moglie, in una Sicilia apparentemente lontana dalla Storia e dagli eventi che stanno trasformando l’Italia, a preoccupare Cosma Damiano Di Salvo negli anni 1921-1923. Accanto al racconto de La proposta di matrimonio Cosma nel suo diario svela usi e costumi tradizionali dell’isola, dell’inizio del secolo scorso: intermediari, atteggiamenti e silenzi, tutti da interpretare, della donna desiderata e della sua famiglia che non ne vuole sapere di farsi da parte, assieme alle faticose decisioni quotidiane nella vita di un piccolo allevatore di provincia.

Nel 1939 consigliere permanente dell’Istruzione nel Protettorato italiano del Regno di Albania, poi funzionario fascista disoccupato nella Roma del 1943-1944, Mario Morandi ci ha lasciato un diario importante in cui annota le deludenti esperienze professionali, la crisi politica di idealista fascista, il rifiuto di aggregarsi alla Repubblica Sociale, gli anni drammatici di Roma città aperta. Ma racconta anche episodi meno noti sulle sofferenze inferte alla popolazione romana dalla ferocia dell’esercito occupante, le bombe degli eserciti liberatori, l’incertezza del futuro professionale. Fino alla decisione di aprire una libreria a Roma, la libreria Dedalo, nel giorno in cui deciderà di non scrivere più nemmeno un rigo. Il suo diario concorre con il titolo Dall’Albania alla libreria.

Guerrino Nati, sottufficiale della Marina, ha combattuto con convinzione per difendere la patria durante la Seconda Guerra mondiale. Nel diario Figli bastardi dell’antica Roma (1943-1944) racconta l’indignazione per la gioia dei commilitoni nel giorno della resa italiana agli eserciti alleati, seguita dallo sconforto per la reazione tedesca, gli amici di ieri che oggi cercano la morte degli italiani. E poi l’intuizione di una prossima guerra fratricida, che presto si fa largo: con il trascorrere del tempo e l’osservazione degli eventi, l’indignazione di Guerrino lascia il posto ai pensieri per la figlia e per la moglie Fly, e alla corsa assolutamente necessaria per raggiungere l’Italia prima del passaggio del fronte.

La Terra bruciata che dà il titolo alla memoria di Maria Rossi è l’indifferenza attorno al suo dolore. Maria ha sposato il suo compagno a soli 19 anni ma dal marito ha subito continue violenze. Cerca aiuto, si reca dai Carabinieri, ma non trova ascolto da nessuno. Reagisce nonostante tutto e si impegna in politica, frequenta la scuola del Partito Comunista a Roma, lavora per alcuni anni in una fabbrica, poi apre una pizzeria ad Arezzo che riesce a far funzionare con grandi sacrifici, ma anche qui viene perseguitata dal marito. Maria riuscirà a risollevarsi grazie alla sua forza di volontà, al suo analista e alla vicinanza del figlio, fino a trovare, dopo molti anni, la forza per raccontare.

Nei suoi sessant’anni di vita Giovanni Stefanolo ha fatto un’infinità di mestieri: calzolaio, pasticciere, salumiere, barbiere, muratore, cameriere, contabile, ufficiale dell’esercito, imprenditore, solo per citarne alcuni, in un continuo viavai tra l’Italia e l’estero. Non è un caso se la sua autobiografia, che copre gli anni dal 1880 al 1935, porta il titolo Ricordi di un nomade. Da ragazzo Giovanni desidera studiare: lascia che il padre lo iscriva al collegio ma un carattere impetuoso e insofferente alle regole lo fa scappare. Così inizia a prendere e perdere impieghi, tra il Piemonte, dove è nato, e Nizza, il Brasile, l’Argentina, rimettendosi continuamente in gioco. Intanto mette su famiglia e combatte in trincea nella Prima Guerra mondiale. Rientrato a casa ritrova la paura di perdere il lavoro, una costante che lo ha accompagnato per tutta la vita.

Nella sua memoria l’ex capitano dell’esercito Giuseppe Trinchillo rievoca le vicissitudini della sua famiglia allargata dopo lo sbarco delle truppe Alleate a Salerno, nel novembre 1943, e la liberazione della città: le violenze subite dagli occupanti nazisti durante il viaggio verso Roma, la cattura a Scauri che fa presagire la deportazione in Germania, scampata grazie a una coraggiosa fuga. Nella Roma occupata, dove Giuseppe arriva con il gruppo di sfollati di cui è alla guida, trova la fame ma anche la solidarietà popolare e l’arte di arrangiarsi per sopravvivere. La memoria Come il Signore volle comprende una sorta di manuale di sopravvivenza nella Roma del ’44 dove gli abitanti faticano a soddisfare i fabbisogni alimentari e a mantenere un alloggio. Giuseppe e la sua famiglia allargata -sono in venti, con dieci bambini al seguito- riescono ad avere un affitto a buon mercato quando sopraggiunge un doppio lutto che sconvolge la vita della piccola comunità rendendo amara anche la felicità per l’ingresso degli Alleati nella capitale.

È cittadina del mondo Rachele Venturin, nata in Kenya nel 1974 e vissuta in diversi paesi dell’Africa e in Iran, Germania, Pakistan, Italia. I suoi genitori sono stati attivisti di sinistra, hanno cresciuto i loro figli all’interno di comunità da essi stessi fondate, e con i valori della solidarietà, della curiosità, della cultura. La bambina Rachele sogna una vita “normale” invece le sue scelte di adulta la conducono a sperimentare sempre nuove esperienze. Studia all’università a Tubingen dove conosce e sposa un uomo iraniano. Con Hossein si trasferisce in Iran per lavorare la terra ma Rachele lavora per entrambi perché lui è ozioso. Rachele rimane incinta, abortisce, il rapporto con il marito vacilla e si rompe definitivamente quando la coppia avrà una bambina. Per Rachele inizia una nuova vita, opera nella mediazione interculturale e nella facilitazione linguistica dell’italiano per stranieri, e torna anche a innamorarsi: Sauro è il compagno di un corso di teatro sociale che la soccorre quando cade in depressione e le rimane sempre vicino quando Rachele ha un aneurisma celebrale dal quale si riprende dopo una riabilitazione lunghissima e faticosa.