In tempo di pandemia, anche i ministri straordinari della comunione hanno cercato di ripensare il loro servizio per poter essere vicini ai malati e agli anziani pur dovendo sospendere le visite nelle case. A volte, racconta Giulia Fiorini, che svolge da anni questo ministero, anche una telefonata può portare gioia ed essere un umile segno dell’amore del Signore e della vicinanza della comunità cristiana alle persone più fragili e sole.In cosa consiste il servizio del ministro straordinario della comunione?«Il ministro straordinario della comunione ha il compito di portare ad anziani, malati, persone sole Gesù Eucaristia direttamente nelle loro case essendo impossibilitati a partecipare alle liturgie comunitarie. Nel suo servizio il ministro straordinario deve farsi servo della Chiesa locale e rappresentante di una comunità che si fa presente e vicina ai piccoli, agli anziani, ai malati, a quanti hanno bisogno di un gesto di affetto e condivisione. Comunione da intendere come “unione con”: prima di tutto con il Signore e, poi, come espressione quotidiana e concreta del suo amore, con tutti i membri della parrocchia, con il nostro arcivescovo e i nostri preti. Un servizio, quindi, con connotazioni molteplici che prendono vita e forza dall’Eucaristia e dalla preghiera. L’accompagnamento degli anziani, dei malati delle persone sole e, spesso, dei loro familiari connota in modo semplice ma indispensabile il servizio, un servizio spesso da svolgere in silenzioso ascolto, con una preghiera semplice, con un sorriso e una carezza. Rispettando tempi e modi adatti a ogni singola, particolare situazione».Come continuare a svolgere questo servizio in tempo di pandemia?«In tempo di Covid, non essendo possibile la visita personale sia a domicilio che nelle Rsa, il telefono diventa un mezzo prezioso, indispensabile, per mantenere i contatti. Questo servizio, che si potrebbe chiamare “pastorale telefonica”, è inteso come risposta alla situazione pandemica che ha costretto tutti, in special modo gli anziani, i malati, le persone sole a dover vivere lunghe giornate in casa. Purtroppo talvolta occorre la mediazione di un familiare o di un badante disponibile perché alcuni malati e anziani hanno acciacchi che impediscono loro l’utilizzo del telefono. Una chiamata, un piccolo pensiero, una breve preghiera sono, in ogni caso, sempre accolti con gioia e con gratitudine perché ci ricordiamo di loro».Con quale frequenza chiamate le persone?«Per quanto mi riguarda non ho una frequenza fissa anche se cerco di essere costante nel tempo. In genere chiamo quando ci sono momenti liturgici significativi, rispettando gli orari, i giorni e la cadenza che ciascuna persona mi indica. Il primo contatto telefonico, in occasione del quale lascio il mio numero per poter essere contattata, chiedo alle persone quando preferiscono che io le chiami».Come si svolge la preghiera al telefono? Cosa proponete?«In comunione con quanto viene proposto dalla diocesi, da sempre in parrocchia privilegiamo l’utilizzo dei sussidi via via proposti dai vari uffici diocesani. Ovviamente i sussidi sono strumenti e, come tali, devono essere interiorizzati e pregati da chi svolge un servizio e, poi, adattati alle singole situazioni e necessità. Per esempio il testo proposto dall’ufficio liturgico per la preghiera dei malati in Avvento mi sembra valido e offre buone possibilità anche per la sua semplicità. Noi ministri conosciamo personalmente queste persone e adattiamo la preghiera a seconda del loro stato di salute. A volte anche solo un Padre nostro e un’Ave Maria detti insieme possono essere di conforto, esprimere la vicinanza e l’affetto della comunità».Dunque, una situazione nuova che ha messo in moto modalità nuove di servizio«Se siamo attenti alle esigenze dei fratelli, se ci mettiamo in ascolto dello Spirito, la forza che da lui ci viene donata è sempre e comunque capace di muovere le nostre esistenze, di aprirci a nuovi linguaggi, nuove espressioni. E qui termino con alcune parole di Papa Francesco nella sua omelia del 22 novembre scorso: “L’ amore spinge a passare dal perché al per chi, dal perché vivo al per chi vivo, dal perché mi capita questo al per chi posso fare del bene. Per chi? Non solo per me (…) rischiamo di passare anni a pensare a noi stessi senza cominciare ad amare. Il Manzoni diede un bel consiglio: “Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio”».