Vita Chiesa
Prediche: come difendersi dagli sbadigli
Il risultato non è migliore: che cosa resta? Si finisce con il ritrovarsi in mano di buono, a volte, poco, dopo aver ascoltato una predica.
Le pagine di questo libro possono farci sorridere. Molti di noi, nell’una o nell’altra chiesa del nostro paese, hanno pensato quanto Beretta scrive rispetto al «parlare» durante la liturgia. Si comincia con le letture fatte da chi non sa leggere, all’uso dei foglietti che sostituiscono l’ascolto, si finisce ai microfoni che non funzionano, al protagonismo dei preti che scambiano l’altare per l’apparizione in una trasmissione televisiva, ai discorsi che corrono peregrini tra le tirate moralistiche e il commento dei fatti del giorno, ai sermoni di dotta esegesi o invece ai ragionamenti di chi si arrampica in connessioni dubbie per ridurre le tre letture domenicali a un messaggio… I problemi ci sono. Sono quelli di una liturgia e di una sua «presidenza» che si sono troppo modellate sul gusto dell’evento spettacolare o sullo stile di gestire una platea televisiva. La predica è uno dei punti più deboli di questa concezione della liturgia, che tanto indulge al protagonismo ecclesiastico e alla riduzione del popolo di Dio a spettatori (anche se poi gli si concede qualche partecipazione, magari estemporanea).
Tutti si debbono preparare. La preparazione è prima di tutto prendere sul serio la Parola di Dio: parte dall’ascolto personale e dalla meditazione della Bibbia. Enzo Bianchi, in un testo dedicato ai presbiteri, ha scritto: «Oggi voi avete chiara questa coscienza di essere «ministri della Parola», ma per essere tali occorre essere ascoltatori assidui della Parola, curvati dalla Parola, abitati dalla Parola». Infatti ogni predicatore, ogni pastore, resta fino alla fine dei suoi giorni un discepolo. Se il discepolo si inaridisce, allora anche il predicatore non comunica.
Così il servizio della predicazione richiama a prendere ancora più sul serio la dimensione del discepolo, che è propria di ogni cristiano. È quanto sta alla base di un’autentica preparazione della predica. Giovanni Crisostomo, grande predicatore ad Antiochia e a Costantinopoli, diceva ai suoi confratelli: «Bisogna aver molta cura perché la parola di Cristo abiti in noi abbondantemente». Comunicatori della Parola di Dio non si nasce, ma si diventa nella meditazione, nella preghiera, nella vita e nella fatica della preparazione.
San Francesco di Sales, che tra la fine del Cinquecento e il Seicento è all’origine di un avvicinamento tra la Chiesa e la sensibilità della gente del suo tempo in chiave tutta pastorale, scriveva saggiamente: «Bisogna non solo insegnare la verità ma anche commuovere; dar luce alla mente e anche calore al cuore. Per questo Dio mandò sui suoi apostoli le lingue di fuoco. Essi dovevano parlare con la lingua ma anche infiammare i cuori».
E troppo difficile farlo di fronte ad un’assemblea eterogenea e nel breve volgere di qualche minuto? Non lo credo. I cristiani, raccolti la domenica, hanno una domanda di fede nel loro cuore. D’altra parte la comunicazione della fede avviene di cuore in cuore e si fa con le parole. Le parole specie quelle della predicazione sono importanti. Tante testimonianze ci dicono come un’esistenza può cambiare per una parola ascoltata. Ma quella parola bisogna dirla! Così l’Autore colloca nel suo libro una richiesta semplice e fondamentale, che si deve sottolineare: «In predica parlateci del Vangelo, please».
Questo libro di Beretta, talvolta ironizzando, ci richiama a esigenze fondamentali della vita cristiana: comunicare il Vangelo e ascoltare la parola di Dio. Infatti la fede dipende dalla predicazione. Su questo non si scherza. Lo dice l’apostolo Paolo ai Romani: «La Fede dipende dalla predicazione e la predicazione dalla Parola di Dio« (10,17). A questo punto conviene parlare con la sapienza della fede e ascoltare con umiltà.
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