Italia

Prato, la Sars fa paura

di Gianni RossiI pratesi se lo chiedono fin da quando la polmonite atipica ha iniziato a far parlare di sé: la folta comunità cinese ci fa correre seri rischi? Il caso sospetto di Sars – un bambino di due anni rientrato da nove giorni dalla Cina – scoperto martedì 6 maggio rischia di far salire la preoccupazione. Mentre andiamo in stampa, dal Mayer di Firenze, dove il bimbo è stato prontamente ricoverato, giungono notizie rassicuranti, ma bisognerà attendere almeno l’inizio della nuova settimana per poter avere un quadro clinico preciso. E – i pratesi lo sperano non solo per il bambino – per potersi tranquillizzare. Proprio nei giorni scorsi era stato il Ministro della Salute Girolamo Sirchia, dalle colonne del quotidiano Il Messaggero, a rassicurare: «Basta con i sospetti sulle comunità cinesi in Italia». Il ministro ha citato anche la città toscana spiegando che «A Roma o a Prato sono tutti stanziali (i cinesi, ndr), cosa c’è da temere?».Dati non ce ne sono, ma evidentemente i viaggi tra Prato e la Cina continuano anche in questi giorni. Tra l’altro – è un aspetto che non è particolarmente emerso – molte famiglie cinesi abitanti nella città laniera hanno l’abitudine di portare i figli appena divezzati nel loro paese di origine: li lasciano ai nonni per potersi dedicare completamente al lavoro; poi, quando arrivano all’età scolare, tornano a riprenderseli. Comunque il caso sospetto del bimbo ricoverato al Mayer mostra – è l’Asl a sottolinearlo – «che la rete capillare di sorveglianza e comunicazione attivata ha funzionato in maniera corretta». I genitori del bambino, in effetti, insospettiti dai sintomi, si sono immediatamente rivolti all’Ospedale. Le istituzioni locali da alcune settimane sono mobilitate per informare a tappeto i cinesi residenti a Prato: un volantino in ideogrammi sulla forma di polmonite atipica e sui comportamenti di vigilanza e intervento da adottare è stato fatto circolare in migliaia di copie.Sensibilizzare i cinesi ad assumere comportamenti corretti non è poi così semplice. La dottoressa Liang, doppia laurea in medicina – una in Cina, una in Italia alla Cattolica – che fa la mediatrice culturale per l’Asl pratese conferma le difficoltà: «Stiamo cercando di far capire, tra le altre cose, che la tutela della salute pubblica e di quella personale richiede collaborazione e che, necessariamente, ci si rivolga, in caso di emergenza, alla medicina ufficiale, non a quella tradizionale cinese».

«Ogni allarmismo è però del tutto ingiustificato – spiega il dott. Adriano Paladini, primario del reparto malattie infettive dell’Ospedale Misericordia e Dolce di Prato –. Certo – aggiunge – la presenza di una folta comunità cinese espone il nostro territorio più di altri al rischio. In ogni caso si tratta di una malattia che, per i numeri che presenta nel mondo, è rarissima». A chi ha paventato rischi legati all’arrivo di clandestini Paladini fa notare che quest’ultimi non viaggiano in aereo: «Giungono in Italia dopo lunghe peripezie, che durano ben oltre i dieci giorni di incubazione della malattia. Dunque il rischio è davvero minimo».

In questi giorni le preoccupazioni si fanno più forti anche tra i cinesi che vivono nella città laniera, e non tanto per il contagio: si temono episodi di intolleranza, o quantomeno di diffidenza: il crollo della clientela italiana nei ristoranti cinesi lo starebbe già a dimostrare.Ma le preoccupazioni non vengono soltanto dalla comunità cinese: nel più grande distretto tessile d’Europa i rapporti commerciali con l’estremo Oriente sono intensi. Già da prima di Pasqua sono praticamente sospesi. Ma non tutti piangono. La paura del contagio potrebbe richiamare sul mercato italiano molti compratori stranieri, americani soprattutto, che fino ad oggi si avvalevano dell’industria e della manodopera cinese. Qualche industriale ci sta già sperando.