Prato

Prato e i giovani, tra bisogni e speranze

La prima domanda: come definiresti Prato? E l’ultima: come vorresti che fosse? Nel mezzo i sette partecipanti al forum nella redazione pratese di Toscana Oggi si sono confrontati su molte questioni attinenti alla loro vita di giovani adulti, di lavoratori, di coniugi, di padri e di madri, ma anche di educatori e animatori. Di persone impegnate nel mondo del volontariato e del sociale. Riportiamo alcune tematiche oggetto del confronto e della discussione. Iniziamo con il lavoro.

Prato e il lavoroLa nostra è una città in trasformazione, insieme allo storico distretto tessile altri settori si affacciano. Cosa occorre perché Prato possa essere appetibile per creare lavoro e sviluppo? Su quali settori occorre investire? In base alla vostra esperienza come valutare il collegamento tra scuola e lavoro?

Filippo – diversificare il lavoro va bene, la città fabbrica non c’è più, mi pare chiaro. Però il problema rimane: l’industria tessile è ancora più grande delle altre, per fatturato e numero di dipendenti, ma non è stata minimamente rinnovata. Qualcuno ha detto che il rinnovamento deve passare dal terziario e non dal manifatturiero. Io mi chiedo: quale? Perché il terziario non porta ricchezza all’interno, ma la sposta. Per produrre ricchezza occorrono industrie e invece le abbiamo mandate via perché i prezzi degli affitti dei capannoni vuoti sono troppo alti, molti preferiscono affittarli ai cinesi. La politica avrebbe dovuto fare in modo che fosse conveniente per le imprese stare a Prato piuttosto che altrove.

Piero – È vero, il tessile è ancora fondamentale, ma secondo me il vero investimento va fatto sul capitale umano che abbiamo. Oggi, a Prato, abbiamo moltissimi laureati, una grande ricchezza che rischia di rimanere inespressa. Gli imprenditori pratesi dovrebbero sfruttare questo capitale.

Matteo – A Prato il settore Ict, quello delle nuove tecnologie informatiche, va molto forte, ci sono esempi di imprese eccellenti. Questo dimostra che si può investire nell’innovazione tecnologica. Sono d’accordo con chi dice che occorrono progetti lungimiranti: dobbiamo trovare risposte a lungo termine. La politica ha chiuso gli occhi su molte situazioni, penso a tutte le fabbriche dismesse e vuote in città. Ora dobbiamo fare i conti anche con l’area del vecchio ospedale.

Chiara – Anche io concordo sul concetto di capitale umano e sul fatto che ci si debba investire. Il problema occupazionale deriva dalla difficoltà dei giovani di progettare il proprio futuro. Oggi c’è l’abitudine a vivere un eterno presente, tutto si gioca sull’immediatezza. Manca la conoscenza di se stessi: i giovani devono capire quale direzione vogliono dare alla propria vita.

Francesco – Io invece non colgo questa mancanza di prospettiva, almeno nei coetanei che frequento. Mi pare che i giovani abbiano idee chiare e voglia di fare, il problema è che si devono scontrare con un muro di gomma. Lavoro in Regione, al progetto dei tirocini retribuiti per i giovani. Ebbene: Prato è la città toscana con il minor numero di tirocini attivati, nonostante siano pagati più della metà dalla Regione! In città, su cento richieste, forse una verrà accolta. Questa è la spia di mancanza di prospettiva, il fatto che non si voglia o non si possa assumere nemmeno tramite tirocinio.

Prato e l’integrazioneCome si costruisce una corretta integrazione? La città dibatte ancora tra due estremi: sicurezza e accoglienza, come fare sintesi?

Camelia – L’ostacolo principale secondo me è il pregiudizio. Non si deve mai giudicare prima di conoscere. La conoscenza e l’ascolto delle persone sono fondamentali. Questo alla Caritas, dove presto servizio, lo facciamo mettendoci attorno a un tavolo, proprio come stiamo facendo adesso. L’attitudine all’ascolto non è importante solo con gli immigrati ma anche con i giovani. Anche loro vanno ascoltati, perché spesso stanno in silenzio, soprattutto quelli che hanno qualcosa da dire. Troppe persone, giovani e immigrati, sono sottovalutate.

Filippo – Il dovere dell’accoglienza si impone senza dubbio. Però lo affronterei da un punto di vista pragmatico. I giovani portano energie fresche e a Prato molti giovani sono immigrati, molti di questi non sono nemmeno cittadini italiani. Certo, dobbiamo preoccuparci di far star bene queste persone, ma utilizzare in modo intelligente la loro presenza è una questione che attiene alla sopravvivenza di questa città. Guardiamo l’America, costruita con cittadini provenienti da tutto il mondo. Il riscatto di Prato passerà inevitabilmente dalla capacità di tutti di capire che questa presenza è il nostro futuro. Su chi ci vogliamo concentrare? Sulle prime generazioni di cinesi, venuti qui solo per profitto, o sulle seconde, che potrebbero avere un progetto di vita in città?

Marcella – Sull’immigrazione c’è una sensazione opprimente. Accogliere non è solo un dovere cristiano, penso che gli stranieri siano il nostro salvagente. Questa consapevolezza implica però una disponibilità a cambiare mentalità. Il centro storico, così come lo abbiamo conosciuto, non esiste più. Se poniamo sempre il principio del «come eravamo», il confronto sarà impostato su ciò che ci divide piuttosto che su ciò che ci unisce.

Matteo – Questo atteggiamento l’ho riscontrato in un evento promosso dal Consorzio Santa Trinita, dove insieme ai negozi italiani del quartiere c’era anche il kebabbaro Farid. Erano tutti parte della zona del centro di Prato. Quella è la foto della Prato che riesce a vivere insieme nonostante le differenze.

Il problema della casaPiero ha posto anche la questione delle politiche abitative.

Piero – Negli ultimi anni si è costruito molto, troppo. Il mattone è diventato un bene rifugio per gli industriali. Il problema è che non si sono costruite case ma loculi. Appartamenti troppo piccoli e molto costosi, non adatti a chi come me vuole mettere su famiglia. Questo ti porta ad accettare soluzioni tampone, accettare una piccola casa in attesa di andare in una più grande. Anche questo dimostra un atteggiamento di fondo: la ricerca di un profitto a scapito dei bisogni delle persone.