Toscana
Povertà, la lunga fila di chi si rivolge ai Centri di Ascolto
di Mario Agostino
Aumentano le persone che si rivolgono alla Caritas toscane in cerca d’aiuto. Sono soprattutto stranieri, persone sole, disoccupati e tanti anziani a cercare un sostegno, spesso spinti da problemi di natura economica, mancanza di lavoro o di casa. Il Dossier Caritas sulle povertà 2009 (Dossier Caritas 2009 povertà in Toscana), presentato venerdì mattina in Palazzo Strozzi Sacrati, a Firenze, fornisce uno spaccato di società toscana alle prese con problemi evidenti, accentuati dalla situazione generale di crisi.
«Come sappiamo, sono riportati i dati dei centri d’ascolto delle Caritas diocesane della Toscana: non abbiamo la pretesa di dire che qui si trovino tutti i dati relativi alla povertà, ma certamente una parte significativa della Toscana, che abbiamo potuto conoscere attraverso i nostri operatori e volontari», ha spiegato don Renzo Chesi, delegato regionale della Caritas, che ha introdotto la presentazione del «Dossier». «È comunque una realtà sufficientemente chiara da interpellare le istituzioni, tale da dovere chiedere l’assistenza nei confronti di persone che richiedono di poter camminare sulle proprie gambe. Il povero ha sottolineato don Renzo prima di essere colui che viene aiutato e assistito deve esser il criterio stesso dell’impostazione di un programma non solo istituzionale, per comune e provincia, ma anche di indirizzo pastorale. Don Mazzolari ha proseguito il delegato regionale diceva di fare strada al povero senza farsi strada. Allora in un’ottica pastorale il Dossier ci interroga, ci chiede di programmare le nostre realtà ecclesiali e civili in base a queste realtà».
«Le istituzioni secondo don Renzo hanno da sé strumenti per monitorare le condizioni di povertà del territorio» ma i centri d’ascolto «possono contribuire, attraverso il dialogo personale dei volontari, a presentare com’è il cuore, la condizione psicologica dei poveri che vengono incontrati». I volontari, infatti, «sanno guardare e vedere ciò che forse le istituzioni non riescono a vedere; in questo senso è auspicabile che le istituzioni incoraggino e sostengano questa attività dei volontari, dato che i poveri chiedono aiuto tanto alle istituzioni quanto ai centri d’ascolto».
«La Chiesa ha proseguito don Renzo si basa sul Vangelo e la fede, le istituzioni sulla Costituzione, due impostazioni che in modo complementare vanno nell’interesse della persona umana. I poveri sentono il bisogno di sentire prima di tutto relazioni, rapporti intorno a loro; in quest’ottica il rapporto tra Regione e Caritas può favorire la ripresa di queste relazioni umane». Infine un «grazie» di cuore don Renzo lo ha indirizzato non solo agli estensori e curatori del Dossier ma anche ai poveri stessi «che ci aiutano a intraprendere una nuova qualità di vita, sociale ed ecclesiale».
Sintesi dei dati. Stefano Simoni è il coordinatore del Dossier Caritas sulle povertà. È lui che ne riassume i dati più importanti, partendo dalle novità. Quest’anno, infatti, il Dossier non presenta solo una sezione statistica come negli anni scorsi, ma anche una dedicata alle potenzialità del centro d’ascolto. Importante in particolare il capitolo sull’esperienza ed il vissuto quotidiano degli operatori, «persone che hanno dietro relazioni vissute quotidianamente». Ma c’è una seconda novità. «Abbiamo aggiunto due focus su due aree interdiocesane, l’area fiorentina-fiesolana-pratese e quella pisano-lucchese-livornese spiega Simoni . L’idea è quella di focalizzare, vista la grande differenza del territorio toscano a livello di ricchezza e struttura del territorio, le notevoli sfumature differenti di area in area». Ma ecco i dati su chi si è rivolto ai Centri d’ascolto nel corso del 2008.
Un italiano su cinque. Dalle oltre 20mila persone del 2007, nel 2008 si è passati a quasi 23 mila (erano poco più di 13 mila nel 2004, anche se i Centri erano in numero nettamente inferiore). Rispetto al 2007 l’aumento costante delle persone ha riguardato quasi tutte le zone in cui sono localizzati i Centri, aumentati dagli 88 del 2007 ai 102 del 2008. Come nelle precedenti edizioni resta sempre elevata, e abbastanza stabile, la percentuale di stranieri: nel 2008 è stata del 79,4%; un anno prima erano l’80,1%, nel 2006 il 78,1%. Il rapporto tra italiani e stranieri è dunque uno a cinque, pressappoco stabile.
Tre visite a persona. Con la crescita dei centri, sono aumentate anche le istanze e le difficoltà degli ospiti. Rispetto ad un anno fa è aumentata la percentuale delle donne: dal 50,4% sono passate al 53,4%. Tra gli stranieri prevale la componente femminile, mentre tra gli italiani il rapporto è quasi paritario. Le informazioni sul numero di visite ai centri sono disponibili per 16.504 persone per le quali risultano 54.404 presenze, con una media di 3,2 visite a persona, seppure il dato sia sicuramente sottostimato perché non tenga conto dei dati pervenuti di difficile lettura. Come prevedibile, le persone che hanno maggior numero di figli frequentano di più le strutture, mentre le persone che sono venute anche una volta sola tendono ad essere senza figli; ecco un primo indice, le famiglie più numerose sono più in difficoltà. Chi frequenta il centro è arrivato in maggioranza nel 2008, 6 su 10 stranieri, ma anche la metà degli italiani è arrivata nel 2008. Un italiano su cinque di quelli arrivati al centro, lo frequenta da 5 anni. Per gli italiani assume connotati preoccupanti: più della metà di tutte le visite vede gente dai 25 anni ai 44, ossia nel pieno della capacità lavorativa e produttiva. L’età media degli stranieri è stata di 36,5 anni, quella degli italiani di 48. Nel 2004 era di 42 anni per gli stranieri e di 32 per gli italiani. Età, dunque che cresce progressivamente anno dopo anno.
Per quanto concerne lo stato civile, il 47% degli uomini che pone richieste è celibe: spesso la solitudine è indice di povertà maggiore, dunque un profilo di disagio che si va consolidando. 7 italiani su 10 sono single, separati, divorziati o vedovi e 3 su 10 vivono da soli.
Stranieri più istruiti. Chi si rivolge ai Centri spesso possiede un titolo di studio più alto della media regionale, dato emerso fin dal primo Dossier. Rispetto al 2007 sono cresciute le persone con titoli di studio medi o elevati. Gli stranieri, per quasi la metà, hanno almeno un diploma o equivalente. 7 italiani su 10 hanno invece un titolo di studio uguale o inferiore alla licenza media. In totale almeno il 40% degli ascoltati ha un titolo di studio almeno uguale al diploma professionale. I laureati stranieri sono circa l’8%, meno del 2% gli italiani; le donne sono mediamente più istruite.
La precarietà dell’alloggio. Più di un quarto degli stranieri dividono l’alloggio con amici e parenti, 7 su 10 vivono con il datore di lavoro. La precarietà dell’alloggio riguarda soprattutto i maschi, circa il 36% non ce l’ha o sfrutta soluzioni di fortuna.
Ricerca di lavoro. Diminuisce la presenza di persone provenienti dall’Est europeo: se uno su quattro è rumeno, il 13% viene dal Marocco, mentre altre minoranze consistenti provengono da Albania e Perù. Più di 7 stranieri ogni 10 non sono comunitari e 4 su 10 non hanno il permesso di soggiorno. La maggior parte degli intervistati hanno problemi di lavoro: più di 7 su 10 sono disoccupati. Più del 74% degli stranieri si trova in questa condizione; si scende ad oltre il 65% per gli italiani, tra questi più del 12% è pensionato. A titoli di studio elevati non corrisponde quindi una maggior protezione sociale, soprattutto per gli stranieri.
Le richieste. In generale, i termini di problematiche, per quasi due terzi del totale degli intervistati, i temi più gettonati sono lavoro e povertà. Seguono casa (10%) e immigrazione (7%). Anche per gli stranieri la povertà è il problema principale (31%). Il lavoro riguarda il 34,5%, la casa il 10%, l’immigrazione il 9%, l’istruzione il 6,4%. Quasi la metà delle richieste totali sono per beni e servizi materiali e di interventi sanitari e per l’igiene personale.
La punta dell’iceberg. Secondo Stefano Simoni «va sempre e comunque considerato chi al centro non verrà mai per vergogna, mentre il fatto che a rivolgersi ai Centri ci siano sempre più persone, alla ricerca di un sostegno non soltanto materiale, è il sintomo evidente di un disagio crescente e che non si limita agli stranieri, che pure costituiscono la frazione più consistente di coloro che si recano ai Centri».
Lo scenario che ogni anno viene tratteggiato dal Dossier sintetizza Simoni «è soltanto la punta di un iceberg, tante situazioni sono sconosciute ai servizi sociali. E rivolgersi a questi, per tante persone diviene difficile, perché prevale la vergogna. Ma questo vale anche per i nostri Centri: molti operatori, come si legge nel Dossier, dichiarano che tante persone, soprattutto italiane, non li frequentano per vergogna. In generale sottolinea Simoni è difficile incasellare le situazioni ma, più che sulla singola persona, è sulla famiglia che in questo periodo sembra gravare il disagio maggiore: alla precarietà lavorativa si associa il senso di sfiducia». Le famiglie chiedono un sostegno economico come microcredito cioè non la colletta ma il reinserimento nella società; le famiglie, al di là dei servizi materiali, chiedono soprattutto un accompagnamento per nutrire i figli o pagare l’ affitto. In questa situazione di precarietà, «gli stranieri fanno meno fatica ad adattarsi a nuove situazioni imposte dall’emergenza, rispetto agli italiani».
Oltre al progetto Filigrane per i giovani, «che sta dando risposte importanti e positive», secondo Salvadori gli sforzi oggi devono andare «verso una riappropriazione del territorio. Penso specifica l’assessore a quei paesini dove le poste o le caserme dei carabinieri non ci sono più e le parrocchie sono chiuse; non ho una formula magica immediata ma il nostro impegno deve andare in direzione di una rete che sia in grado di assistere comunque chi rimane indietro; nessuno deve essere lasciato a se stesso. Lavoriamo allora insiste l’assessore per aver questa condizione di rapporto, ricominciando sviluppo: l’Istat ci dice che tra 5-6 anni torneremo ad avere il Pil dello scorso anno».
M.A.
Notiamo come diminuisca la qualità del tenore di vita e per di più i bisogni già esistenti si allargano. La Caritas si occupa di marginalità ed oggi riscontra richieste di persone davvero insospettabili quanto a status, campo di lavoro ed inclusione sociale. D’altra parte, l’individualizzazione di questa nostra società mina alle basi l’importanza della relazione e porta a quell’isolamento e quella precarietà cui accennavo.
Nella nostra Toscana c’è una condizione d’assistenza migliore che in altre regioni, ma non ogni provincia è caratterizzata da strutture assistenziali differenti, per questo motivo servirebbero interventi locali mirati; un intervento di portata nazionale come la «social card», ad esempio, non tiene conto della differenza del potere d’acquisto richiesto a Milano rispetto a Trapani ad esempio.
Credo anche che molte persone si trovino a disagio perché incapaci di amministrare correttamente le risorse a disposizione: penso ad un consumismo smodato che ha portato in tanti ad acquistare beni che non avrebbero potuto permettersi e hanno provocato un indebitamento notevole.
In questo senso il continuo dialogo, portato avanti presso i centri d’ascolto Caritas con chi pone richieste, vuole essere anche una spinta a recuperare quel senso del necessario che si sta perdendo a vantaggio del superfluo.
In generale chi è veramente povero è estremamente dignitoso nel modo di porsi: le richieste che fa sono centellinate, misurate, poche alla volta. Spesso queste persone preferiscono parlare col primo operatore incontrato nel centro d’ascolto, non solo per non ripartire da zero e rispiegare tutto ma anche per una questione di pudore personale. Ci confrontiamo costantemente poi con un tipologia di persone che ogni volta chiedono una cosa nuova, con estrema delicatezza, e capiamo che il centro d’ascolto non è lo strumento per sottrarre soldi ma veramente l’appoggio per chi versa in condizioni di povertà.
Naturalmente non manca chi usa lo sportello come campo di battaglia e vive sul fatto di sentirsi povero, ma si tratta di una minoranza. Posso dire che nel caso degli stranieri, quando c’è bisogno di chiedere soldi perché affitto e bolletta aumentano in maniera disastrosa, il bisogno si scontra con il rammarico di ritrovarsi nel disagio dopo avere provato la sensazione di avercela fatta ed essere riusciti nell’intento di cambiare vita; bolletta e affitto testimoniano infatti che la persona ha già avuto un percorso di stabilità alle spalle. Indubbiamente, se ogni giorno proviamo la sensazione bella di sentirci per questi bisognosi una famiglia, perché bussano da noi come un riferimento, dall’altro lato sono per noi continue botte emotive perché le persone sono spesso letteralmente in panne: sia chi bussa sia chi riceve per l’ascolto subisce un notevole contraccolpo emotivo. In queste settimane si arriva anche a sentire quindici richieste settimanali di aiuto relative agli affitti.
L’assistenzialismo non funziona, ma questa crisi economica sta veramente falciando le condizioni minime di sopravvivenza autonoma, e gli stranieri sono i più indifesi perché non godono di quell’ammortizzatore sociale primario che è la famiglia. Quando una persona ti dice «siamo genitori e bimbi in una stanza» sei colpito da una frustrazione che in questi periodi cresce vertiginosamente, perché si tratta di numerosi nuclei familiari con bambini piccini che versano in condizioni di grave indigenza. Chi può accedere al servizio sociale, visti i tagli corposi operati dal governo, riceve aiuto solo è in condizioni propriamente tragiche.
In sostanza, da parte nostra ci mettiamo ogni giorno alla prova cercando di assicurare tutto il sostegno affettivo di chi è pronto a dire «noi siamo qui», ma spesso vi sono tante situazioni per cui non abbiamo possibilità per operare: le risorse economiche sono in diminuzione a fronte di una crescita costante delle richieste. Anche la Sanità ha subito tagli ad esempio, mentre molti hanno figli malati in casa, contingenza devastante per una famiglia straniera, perché prima di arrivare all’assistenza sociale e all’accompagnamento sanitario ci sono una serie di tasselli burocratici che mettono in ginocchio la famiglia.
La scorsa settimana non so quanti mi hanno chiesto sostegno per lo sfratto. Non ricordo mai una quantità di richieste del genere: è il momento più critico in assoluto che io ricordi e dare senso alla speranza diventa sempre più complesso.