Opinioni & Commenti
Povertà e miseria, fronte sempre più vasto
di Alessandro Martini
In questi giorni sono stati resi noti i risultati di due indagini nazionali utili per conoscere in modo oggettivo e articolato il contesto del sempre più grave problema della povertà in Italia. L’Istat ha pubblicato i risultati del censimento delle persone senza dimora in Italia, curato dal Ministero del lavoro, dalla Federazione italiana organismi per persone senza dimora e dalla Caritas nazionale.
L’indagine evidenzia dati impressionanti in merito alla quantità e alla tipologia delle persone censite. Quasi 48 mila persone in 158 Comuni risultano senza dimora da 2 anni e mezzo: oltre un terzo ha meno di 34 anni. Vivono in auto, roulotte, vagoni o in alloggi fatiscenti occupati abusivamente, intorno o all’interno delle stazioni ferroviarie, in luoghi pubblici o privati (loggiati delle Chiese, giardini, angoli meno visibili delle città). Quasi il 30% dichiara di avere un lavoro anche se talvolta saltuario o precario; 9 su 10 ricorrono alla mensa della Caritas o di altra associazione di volontariato. Firenze, con quasi 2 mila persone censite, si colloca al quarto posto tra le più grandi città dopo Milano, Roma e Palermo.
Uomini e donne, spesso giudicati e tenuti a distanza che vivono nella precarietà totale. Persone molto diverse tra loro (giovani senza lavoro, separati impossibilitati a sostenere le spese per un alloggio, stranieri non integrati, persone fragili psicologicamente o con storie di reclusione o dipendenze diverse) ma tutte accomunate dalla disperazione di chi si sente ormai inutile e incapace di far parte di un sistema che o li ignora o fa fatica a intercettarli con proposte in grado di reinserirli adeguatamente.
La seconda indagine, «I ripartenti», pubblicata a cura della Caritas italiana in occasione della Giornata mondiale su povertà ed esclusione, offre un contributo sui numeri sempre crescenti e le tipologie di persone che si trovano in condizioni di grave fragilità e, quindi, di bisogno.
Le povertà sono in costante aumento e non possono, non devono più essere considerate superficialmente e genericamente. Occorre compiere quel necessario discernimento tra povertà come valore e miseria causata dal sistema. Dobbiamo riconsiderare modi e stili di vita che sappiano cogliere il positivo della sobrietà e l’attenzione verso i beni materiali secondo criteri di effettivo bisogno, rifuggendo da ciò che è superfluo o addirittura inutile.
Ricominciare a distinguere tra povertà e miseria, per saper sviluppare quella capacità positivamente critica di «stare dentro» alle situazioni per poi responsabilmente agire. Preoccupa, e non poco, il silenzio di gran parte dei mass media sull’argomento e lo scarso interesse a vari livelli dei soggetti con responsabilità istituzionali. Troppa indifferenza di fronte alla massiccia richiesta di aiuto dei tanti che non reggono più l’urto del caro-vita con possibilità economiche in costante riduzione. Troppi i privilegi di alcuni che stridono contro i sacrifici e le fatiche di molti. È urgente, a partire dalla nostra comunità cristiana, attivare occasioni di conoscenza, di approfondimento e di attenzione nel segno di positive condivisioni per sostenere con ogni sforzo tutte le situazioni di fragilità.
In fondo, anche la paura del futuro, la sfiducia nella politica, la rinuncia a credere nelle possibilità che il nostro sistema di relazioni può offrirci, possono considerarsi nuove forme di povertà negativa che, in modo più o meno consapevole, minano quei valori fondanti di una società solida in cui ogni cittadino si possa ritrovare ed a ciascuno si possa chiedere un supplemento di presenza e servizio secondo possibilità e in coerenza con le proprie scelte di vita.