Toscana

Poste, in Toscana 174 uffici a rischio chiusura

di Ennio Cicali

Si scrive razionalizzare, sempre più spesso vuol dire tagliare: sembra essere questo il destino dei 174 uffici postali toscani a rischio chiusura perché ritenuti improduttivi o addirittura «antieconomici». Una notizia che ha suscitato dure prese di posizione di parlamentari, consiglieri regionali, decine di sindaci, presidenti di provincia, Unione delle comunità montane. Tutti contrari a un provvedimento che danneggia la dimensione orizzontale del nostro sviluppo garantita dalla molteplicità dei soggetti operanti sul territorio (Comuni, Province, Comunità montane, aziende sanitarie nell’immenso campo della piccola e piccolissima impresa e del lavoro autonomo). Uno dei tanti provvedimenti che, ha osservato recentemente il presidente del Censis Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera, «rende desertico il panorama della nostra attuale società destinata ad avere sul territorio sempre meno Comuni, meno Province, meno uffici postali, meno stazioni dei carabinieri, forse meno imprese. E il deserto, come si sa, tende sempre a crescere se non ci sono adeguati presidi di vita».

Numerosi parlamentari toscani hanno chiesto l’intervento del ministro dello Sviluppo economico e l’on. Ermete Realacci (Pd) ha presentato un’interrogazione affermando che è «inaccettabile che si proceda a un così duro piano di tagli senza la concertazione tra Poste italiane e le istituzioni locali coinvolte». Il consigliere regionale del Pdl Stefano Mugnai ha chiesto l’intervento della Regione per avviare una controffensiva ad ampio spettro, convocando la direzione regionale di Poste Italiane per «scongiurare i disagi alla popolazione di Arezzo e della Toscana prospettando soluzioni alternative ai tagli occupazionali».

Interviene anche Roberto Rizzo, responsabile del dipartimento Lavoro-welfare Idv Toscana, che in una nota esprime «profonda preoccupazione per le gravi e inevitabili ripercussioni in termini di servizio ai cittadini causate dalla riorganizzazione dei servizi postali prevista da Poste Italiane».

«Oltre che inaccettabile, il taglio di più di mille uffici postali potrebbe far perdere a Poste Italiane spa uno dei requisiti necessari per mantenere l’affidamento del servizio da parte dello Stato». Rileva il consigliere regionale della Lega Nord Toscana, Gian Luca Lazzeri. Tra i requisiti previsti dall’art. 3 del decreto legislativo che ha affidato per quindici anni, il servizio postale universale a Poste Italiane, osserva il consigliere leghista, vi è quello della «garanzia della continuità della fornitura del servizio universale in considerazione del ruolo da questo svolto nella coesione economica e sociale. Se verrà confermato il taglio di più di mille uffici postali, molti dei quali in zone disagiate del paese, con il conseguente licenziamento di moltissimi addetti, questa coesione non esisterà più». «Pertanto – conclude Lazzeri – questa scelta potrebbe far perdere all’azienda il suo affidamento».

«Solo una voce niente più, quella della chiusura», ribattono dall’Ente Poste. Rassicura anche l’amministratore delegato Massimo Sarmi: «Non vogliamo chiudere. Quel report è una lista che siamo obbligati a inviare ogni anno all’autorità di riferimento, cioè all’Agcom. Però sono sportelli effettivamente sotto i parametri di economicità». Quindi, per non tagliarli le Poste cercano di raggiungere accordi con gli enti locali per trasformarli in centri multi servizi: offrire al Comune di occuparsi della cartografia digitale o aprire al cittadino una serie di servizi a pagamento, come il rilascio di certificati anagrafici o la possibilità di saldare il ticket sanitario.

«Le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Poste, Sarmi vogliono solo eludere l’attenzione su una scelta che Poste Italiane hanno già fatto e comunicata ufficialmente ai sindacati di categoria». È quanto dichiara il segretario nazionale della Cisl Poste, Mario Petitto in merito alla chiusura, annunciata nei giorni scorsi dall’azienda ai sindacati, di circa 1.200 uffici postali in tutta Italia.

«Ormai l’obiettivo fisso dell’ad di Poste – continua – è tagliare i costi fregandosene dei servizi di cui sarà privata la collettività. Infatti, insieme ai 1.200 uffici postali da chiudere è cominciata la riorganizzazione dei servizi postali e del recapito che produrrà ulteriori 1.700 tagli di posti di lavoro a breve e circa dieci mila entro l’anno. Dei cittadini, dei loro bisogni e dei posti di lavoro al management di Poste non interessa nulla. La più grande azienda del paese sta vivendo un pericoloso crepuscolo che il sindacato contrasterà con ogni forma di lotta in tutta Italia denunciando pubblicamente il fallimento di questo management che prova a trasmettere una immagine di Poste che non risponde alla realtà che viviamo tutti i giorni».

Previsti in Toscana anche il taglio di 426 zone di recapito (passeranno dalle attuali 2.492 a 2.066) e la trasformazione del Cmp (Centro meccanizzazione postale) di Pisa che passerà dagli attuali 245 a 115 addetti. In Toscana abbiamo già avuto dal 2006 a oggi tre riduzioni dei servizi postali, specie per le zone di recapito, osserva Vito Romaniello, segretario regionale di Cisl Poste, oltre alla chiusura degli uffici postali e alla soppressione delle zone di recapito si ridimensiona anche il sistema di smistamento con la parziale chiusura del Cmp di Pisa. Sarà un dramma, termina Romaniello, riuscire a ricollocare le 600 persone già applicate ai servizi soppressi.

La scheda

Poste italiane è la più grande azienda nazionale di servizi. 150 anni fa come azienda autonoma che gestiva in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, oggi è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100% dallo Stato. La società è posta sotto il controllo e la vigilanza del ministero dello Sviluppo economico, ha un organico di circa 150 mila dipendenti e un utile netto di 846 milioni di euro nel 2011. Attuale presidente è Giovanni Ialongo; amministratore delegato, Massimo Sarmi.

Nel novembre 1997, la Direttiva Prodi sui servizi postali assegnava a Poste Italiane il compito di migliorare la qualità del servizio raggiungendo, anche tramite una nuova offerta di servizi, il pareggio dei costi di gestione della rete postale. Ciò avrebbe evitato, di conseguenza, tagli di personale e aumenti tariffari.

La Direttiva aveva lo scopo di eliminare le disfunzioni del servizio postale italiano, di rendere Poste Italiane un’azienda in grado di contribuire allo sviluppo del Paese, il tutto preservandone le caratteristiche sociali. Oltre al raggiungimento del pareggio di bilancio, la direttiva prescriveva la salvaguardia «attraverso l’aumento dei volumi di traffico postale e della produttività individuale, sia i livelli occupazionali, che il presidio territoriale della rete postale».

L’elenco

Questo l’elenco dei 174 uffici postali toscani che secondo l’Ente Poste sono «sotto i parametri di economicità» e per questo a rischio imminente di chiusura; tra parentesi il comune di appartenenza.

Provincia di Arezzo. Moncioni (Montevarchi); Montegonzi (Cavriglia); Pietraviva (Bucine); Porrena, Moggiona di Poppi e Camaldoli (Poppi); Santa Mama (Subbiano); Partina (Bibbiena); Marciano della ChianaCentoia (Cortona); Ciggiano (Civitella in Val di Chiana); Civitella della ChianaFrassineto (Arezzo); Serravalle di Bibbiena (Bibbiena).

Provincia di Firenze. Crespino del Lamone (Marradi); Chiocchio (Greve in Chianti); Diacceto e Pelago (Pelago); Ronta e Polcanto (Borgo San Lorenzo); San Vincenzo a Torri (Scandicci); Vico d’Elsa (Barberino Val d’Elsa); Bruscoli (Firenzuola); Cavallina (Barberino di Mugello); Granaiolo (Empoli); Massarella e Querce (Fucecchio); Monterappoli (Empoli); Romola (San Casciano Val di Pesa); Donnini (Reggello); Osteria Nuova (Bagno a Ripoli); San Donato in Collina (Rignano sull’Arno); Vallombrosa (Reggello).

Provincia di Grosseto. Baccinello (Scansano); Bagnore (Santa Fiora); Buriano e Vetulonia (Castiglione della Pescaia); Massa Marittima 1, Niccioleta e Tassi (Massa Marittima); Petricci (Semproniano); Poggio Murella, San Martino sul Fiora e Saturnia (Manciano); Ravi (Gavorrano); Sovana, Montebuono e San Giovanni delle Contee (Sorano); Talamone (Orbetello); Vallerona (Roccalbegna); GavorranoSanta FioraArcille e Montorsaio (Campagnatico); BatignanoBorgo Carige (Capalbio); Castiglioncello Bandini (Cinigiano); Montegiovi e Montenero (Castel del Piano); Montelaterone e Stribugliano (Arcidosso); Monticello dell’Amiata (Cinigiano); Montorgiali e Pancole (Scansano); Sassofortino (Roccastrada).

Provincia di Livorno. Colognole e Nugola (Collesalvetti); Bolgheri (Castagneto Carducci); Castelnuovo della Misericordia (Rosignano Marittimo); MarcianaNibbiaia (Rosignano Marittimo); Populonia (Piombino); Procchio (Marciana); San Piero in Campo e Seccheto (Campo nell’Elba).

Provincia di Lucca. Corfino (Villa Collemandina); Ponte all’Ania (Barga); Botticino (Villa Basilica); San Gennaro, Gragnano e Massa Macinaia (Capannori); Gorfigliano e Carpinelli (Minucciano); Ruosina (Stazzema); Castiglione di GarfagnanaCoreglia Antelminelli e Calavorno (Coreglia Antelminelli); Loppeglia e Piegaio (Pescaglia); Mologno (Barga); Isola, Montefegatesi e San Cassiano di Controni (Bagni di Lucca); Casoli e Valpromaro (Camaiore); Gualdo di Massarosa (Massarosa); Valdicastello Carducci (Pietrasanta).

Provincia di Massa Carrara. Canevara, Altagnana e Forno (Massa); San Terenzo Monti, Campiglione, Gassano e Sassalbo (Fivizzano); Caprigliola e Serricciolo (Aulla); Colonnata, Miseglia e Gragnana (Carrara); Chiesa di Rossano (Zeri); Codiponte (Casola in Lunigiana)

Provincia di Pisa. Avane (Vecchiano); Fabbrica di Peccioli e Ghizzano di Peccioli (Peccioli); Orciatico (Lajatico); San Dalmazio e Larderello (Pomarance); Coltano (Pisa); GuardistalloOrentano (Castelfranco di Sotto); Morrona e Terricciola (Terricciola); Uliveto Terme (Vicopisano); Campo e Ripafratta (San Giuliano Terme); La Serra (San Miniato); Montecastello e Treggiaia (Pontedera); Montefoscoli (Palaia).

Provincia di Pistoia. Calamecca (Piteglio); Castelvecchio di Vellano, Vellano e San Quirico Valleriana (Pescia); Massa e CozzilePiastre e Corbezzi (Pistoia); Prunetta (Piteglio); Treppio e Sambuca Pistoiese (Sambuca Pistoiese); Gavinana, Campo Tizzoro e Maresca (San Marcello Pistoiese); Aveglio e Marliana (Marliana); Montemagno di Quarrata (Quarrata); Tognana e Fognano di Montale (Montale); Montecatini Val di Nievole e Nievole (Montecatini Terme); Montevettolini (Monsummano Terme); Piano degli Ontani e Pianosinatico (Cutigliano); San Baronto (Lamporecchio).

Provincia di Prato. Bacchereto e Poggio alla Malva (Carmignano);  Luicciana (Cantagallo); Maliseti (Prato).

Provincia di Siena. Ciciano (Chiusdino); Montefollonico (Torrita di Siena); Montisi (San Giovanni d’Asso); Pievescola (Casole d’Elsa); San Gusmé e Vagliagli (Castelnuovo Berardenga); Campiglia d’Orcia (Castiglione d’Orcia); Castel San Gimignano (Colle Val d’Elsa); Castelnuovo dell’Abate e Sant’Angelo in Colle (Montalcino); Celle sul Rigo (San Casciano dei Bagni); Corsano (Monteroni d’Arbia); Gracciano (Montepulciano); Rigomagno e Scrofiano (Sinalunga); Vivo (Castiglione d’Orcia; Siena 6.

L’intervista: «Così si fa morire la Montagna»di Claudio Turrini

Martedì 24 luglio i sindaci di tutta Italia manifesteranno davanti a Montecitorio, contro la «spending review». I Comuni hanno già dato, dicono. Ben 22 miliardi negli ultimi 4 anni. Adesso il governo chiede altri sacrifici. «Tagli lineari e sui servizi – denuncia l’Anci – invece che tagli agli sprechi». Se questo è vero per i grandi e medi Comuni, figurarsi per quelli piccoli, che presidiano territori disagiati, come la montagna. «Si corre un grande rischio – commenta il presidente di Uncem Toscana, Oreste Giurlani –:  di penalizzare in particolar modo i cittadini dei piccoli centri montani, con un concreto abbattimento dei servizi, un innalzamento delle tasse o il dissesto finanziario di buona parte dei Comuni, che a quattro mesi dalla chiusura definitiva dei bilanci si vedrebbero decurtare voci importanti».

Giurlani è sindaco di Fabbriche di Vallico, comune di 526 abitanti nella media Valle del Serchio (Lucca). E racconta di come sempre più spesso si senta rivolgere una domanda: «Sindaco, come faccio a stare in montagna se non c’ho più i servizi essenziali?». L’Uncem, che Giurlani presiede, rappresenta oltre 160 piccoli comuni toscani, quasi tutti interessati anche dai «tagli» annunciati agli Uffici postali. È da tempo che si muove per cercare di difendere con i denti i servizi essenziali. Per un paio di mesi ha portato avanti un tavolo con la direzione toscana delle Poste, con una proposta concreta: contribuire alle spese di funzionamento di questi uffici postali, mettendoci dentro nuove funzioni dei Comuni, come la riscossione di tributi. «Ci hanno portato avanti per due mesi – ci racconta Giurlani – ma poi ci hanno detto che non erano interessati. Ora sembra che a livello nazionale Sarni (l’ad di Ente Poste, ndr) abbia fatto un’apertura. Ma deve essere una cosa seria, in cui ci si mette ad un tavolo con la Regione, le Unioni, i Comuni per lasciare sul territorio questi sportelli, con anche altre funzioni».

Giurlani, quanti uffici postali chiuderanno?

«Pochi giorni fa è venuto fuori questo elenco che Poste ha comunicato ad Agicom dei 174 uffici toscani “sotto i parametri di economicità”. Fra questi moltissimi saranno quelli che chiudono. Ma è inconcepibile che ad oggi Poste non abbia ancora reso noto sul territorio, quali sono gli uffici che chiudono».

Oltretutto la riduzione c’è già stata…

«Negli ultimi sei anni in montagna abbiamo avuto un taglio del circa 40% di uffici, oltre alle riduzioni di orario. Le ultime chiusure sono state due mesi fa all’Orsigna e a Serra Pistoiese. Vanno a tranche. Siccome c’è un contratto di servizio, loro si mettono ad un tavolo con il ministero e decidono dove tagliare. Quando hanno deciso, hanno 5 mesi, un anno per chiuderli. In alcuni casi li chiudono tu cur, in altri trovano delle scuse, come a Firenzuola, con il fatto che il locale non è più a norma… E comunque su quegli uffici non c’investono più, neanche per il personale, creando grandi disagi sul territorio. Perché noi ora parliamo di chiusure, ma in montagna ci sono problemi di consegna di posta, a partire dalle raccomandate. C’è gente che ha cercato di pagare l’Imu ma ha trovato che in quel giorno lo sportello era senza collegamento internet o con il sistema in panne. Se c’ho l’ufficio aperto due giorni la settimana e quando ci vado non funziona che succede?».

La situazione del Paese è quella che è. Bisogna risparmiare…

«Noi siamo d’accordo sulla lotta agli sprechi. Purtroppo i tagli lineari che sono stati fatti alla sanità e ai comuni rischiano di mettere a rischio i servizi. È logico che la montagna è la prima a risentirne. Se non arrivano i soldi per il trasposto pubblico, dove tagliano? A Firenze o a Marradi? Se le farmacie in città non ce la fanno più con questi tagli, una rurale può resistere? Chi sta in montagna svolge una funzione sociale anche per chi non ci vive e siccome stare in montagna costa di più, bisogna che non si guardi solo all’aspetto economico. È come la banda larga. Perché gli operatori non l’hanno portata in montagna? Perché non è conveniente andare a fare un investimento a Firenzuola. Ma se si ragiona così si chiude tutto. Le scuole si chiudono perché non ci sono alunni a sufficienza, le Poste le levo perché sono antieconomiche. E poi cosa rimane?».

Sull’accorpamento tra Comuni a che punto siamo?

«Sono tra quelli che non vede un futuro per l’accorpamento dei comuni, almeno in Toscana, a parte casi isolati. Il sindaco deve rimanere perché è l’unico punto di riferimento per i cittadini, che vanno da lui per tutto. Ed è anche un presidio per la democrazia. Invece i piccoli comuni, tramite le unioni montane, dovranno essere obbligati a mettere insieme tutte le funzioni fondamentali. Rimangono le municipalità, però c’è una gestione dei servizi a livello di ambito ottimale. È lì che si fanno i risparmi. Se Marradi, Firenzuola e Palazzuolo li metti insieme, viene un comune di 2 milioni di kmq, con 10 mila abitanti. Come si può amministrare? Ìnvece è logico che tutti i comuni del Mugello gestiscano in forma associata le funzioni: polizia municipale unica, ufficio lavori pubblici unico, ecc, ecc. Allora risparmi».

Come è stato il passaggio dalle Comunità montane alle Unioni di comuni?

«L’unione dei comuni funzionano in questa fase perché sono la continuità lavorativa delle Comunità montane, che facevano 200 milioni di movimento ogni anno, tra investimenti e servizi. Per esempio il Mugello è un’ Unione che fa oltre 15 milioni di fatturato all’anno. Aver fatto l’unione permette di continuare a gestire tutto questo. La differenza è che l’Unione non ha costi politici e viene governata direttamente dai sindaci. Quindi c’è una responsabilizzazione forte dei sindaci, mentre la Comunità montana era un ente terzo».

Quindi pensate di rafforzarle?

«Bisogna consolidare le funzioni delegate dalla Regione (la forestazione, l’agricoltura e la bonifica) e puntare a far sì che in questo contenitore i comuni ci mettano dentro le funzioni associate. Nel decreto sullo “spending review” abbiamo un articolo che dice che i comuni fanno le Unioni montane e che queste diventano lo strumento secondo la Costituzione – art. 44 – per le politiche della montagna. Questo è importante. Vuol dire che l’Unione del Mugello sarà Unione montana del Mugello e quando ci sono delle politiche della montagna lo strumento sarà l’Unione».