Toscana
Politica, aria di crisi in Toscana
Il «modello Siena» sta svanendo, man mano che emergono le difficoltà per il Monte dei Paschi, terzo gruppo bancario italiano e che finora ha garantito benessere alla città del Palio. Le dimissioni del sindaco Ceccuzzi certificano il momento difficile che sta passando la città. Acque agitate anche nei comuni di Arezzo e Livorno, anch’essi in mano al centrosinistra, mentre le recenti elezioni sono state disastrose per il centrodestra. E anche in Regione si registrano malumori nella maggioranza per la sostituzione dell’assessore Scaramuccia.
C’era una volta il «modello Siena», prima che il monolite esplodesse con tutte le sue contraddizioni nell’attuale crisi istituzionale, politica e finanziaria. Se ne faceva vanto tutta la Toscana, pur essa aggrappata alla nursery del Monte, il terzo gruppo bancario italiano. Solo due anni fa la città del Palio ha rappresentato l’Italia all’Expo di Shangai, nella passerella mondiale delle migliori espressioni della qualità della vita, di urbanizzazione sostenibile, di protezione e utilizzazione dell’eredità storica. È nato a Siena, da un gruppo di ricercatori della Facoltà di Economia, il metodo adottato dalla Commissione Europea per elaborare i dati dei rapporti periodici sulla situazione socioeconomica dei Paesi membri e per formulare gli indicatori presi in considerazione al momento di valutare l’ingresso di uno Stato nella stessa Ue. È stata tra le prime in Italia (se non addirittura la prima) ad introdurre la «service card» per cittadini e turisti. Senza parlare delle «eccellenze» che questa piccola realtà di provincia è riuscita negli anni a realizzare nel campo della ricerca chimico-farmaceutica, nel settore agro-alimentare, nel calcio con la mitica Robur in serie A e con la vecchia Mens Sana pluriscudettata nel basket. Organizzando, per rafforzare la sua immagine, anche una miriade di eventi culturali, dal cinema al jazz e soprattutto nell’arte, all’interno dello splendido scrigno di Santa Maria della Scala.
Tutto merito del Monte dei Paschi, si dirà. Non solo, perché faremmo torto alla creatività, allo spirito di iniziativa, al coraggio ed alla passione che ha sempre caratterizzato i Senesi. Ma è vero anche che non esiste al mondo un’altra comunità che si identifichi così simbioticamente con il suo Istituto di credito. Una città-banca, con poco più di 54.500 abitanti, che finora hanno sicuramente beneficiato in modo diretto o indiretto dei 50 milioni distribuiti ogni anno da Rocca Salimbeni e Palazzo Sansedoni sul territorio, primi destinatari il Comune e la Provincia, per rifare scuole e ospedali, restaurare chiese e monumenti.
Ora che non ci sono più questi soldi, i Senesi si sentono quasi mancare la terra sotto i piedi. E diciamolo trema anche la Toscana per le inevitabili ricadute sul sistema del credito alle aziende più fragili e alle famiglie impoverite da una recessione per ora irreversibile, sui contributi erogati ad alcune importanti istituzioni socio-culturali che rischiano di morire. Ma è un po’ che il «modello Siena» traballa. Certo, alcuni colpi di grazia li ha assestati il Monte con operazioni spericolate (imposte si è sempre detto da D’Alema e dai vertici nazionali della Sinistra) tipo l’assorbimento della «Banca 121» (nel 2001) e quello dell’«Antonveneta» (nel 2007, e ora sotto le lenti della magistratura) che hanno messo in ginocchio sia l’Istituto che la Fondazione; alla quale nel 2006 veniva attribuito un patrimonio di 13 miliardi. Ma i segnali del «malessere» si sono presto diffusi a macchia di leopardo nel «ventre» del potere Pd, entrato in una sorta di corto circuito. Nell’Università travolta da ripetute inchieste giudiziarie sulla poco oculata gestione dei fondi pubblici e sull’assegnazione di cattedre all’insegna del nepotismo o dell’affiliazione politica. Per non parlare della Sanità, con nomine spesso discusse e maleodoranti veleni che ancora inquinano le Scotte.
Nei salotti borghesi e nei circoli delle Contrade troppo spesso interessi pubblici e privati si intrecciano. E se anche la politica entra in crisi (prima di tutto di identità, di valori) capita quello che in questi giorni è sotto gli occhi di tutti. Una giusta operazione di rinnovamento della «governance» per cercare di far sopravvivere e rilanciare il Monte, innesta una «faida» senza precedenti per la spartizione delle «poltrone», che porta alle dimissioni del sindaco Ceccuzzi e salvo colpi di scena da film noir all’ormai certo commissariamento del Comune, con possibili ricadute sulla Regione. Una «faida» che, insieme alle vendette, consuma gli ultimi spiccioli di credibilità rimasti alle «fazioni» contendenti. Uno spettacolo desolante, che fa emergere palesi incompatibilità all’interno del Pd tra gli ex Diessini e gli ex Margherita. «Mal di pancia» sempre più acuti registrati pure nelle amministrazioni di Centrosinistra di Arezzo e Livorno; sintomi evidenti come le polemiche che hanno accompagnato la nomina di un nuovo assessore alla Sanità nella giunta regionale, il «tecnico» Luigi Marroni, un ingegnere di provenienza Fiat che ha ben operato all’Asl di Firenze. Ma, detto questo, bisogna anche riconoscere che quella senese è una patologia cronica e locale. Più preoccupante, non facile da curare.
Da «isola felice», Siena si ritrova ad essere additata come emblema dell’Italia dei personalismi e dei familismi, sprecona, arraffona, rissosa; facile obbiettivo di chi chiede (e noi tra questi) un salto di qualità alla politica. Per evitare che come si è visto alle ultime elezioni amministrative aumenti l’astensionismo ed il distacco della gente dai partiti, o prolifichi il qualunquismo sull’onda della deflagrazione del Pdl e della Lega. Ora che il monolite si è sgretolato, è necessaria una ricomposizione delle energie più fresche. Più che di bizzosi cavalli di ritorno, c’è bisogno di una nuova classe dirigente che sappia ritrovare valori orientati al «bene comune»; incanalare la domanda di partecipazione e democrazia. Che sappia costruire un progetto e dare un «cuore» pulsante alla città-banca. Salvando tutte le sue «eccellenze».
C. T.
Una situazione che ha portato al voto contrario di Idv, Sel e Sinistra al Bilancio (comunque approvato con un solo voto di maggioranza, diventata monocolore Pd) e alle dimissioni dei tre rispettivi assessori Michele Colangelo, Lisa Sacchini e Franco Dringoli. Ed eccoci alle implicazioni regionali. Perché è indubbio che tra le questioni che più hanno pesato sullo strappo interno alla maggioranza aretina, quella del raddoppio dell’inceneritore è stata un vero e proprio macigno.
E siccome il progetto viene dalla Regione, quest’ultima ha indetto ora un tavolo per cercare di ricucire. Al tavolo siederanno il presidente Enrico Rossi e l’assessore regionale all’ambiente, Anna Maria Bramerini. Netto il giudizio delle opposizioni: «Con i problemi del centrosinistra in Toscana, credo che rimarrà poco tempo per occuparsi di Arezzo», attacca Francesco Francini, capogruppo Pdl in Comune. «Se la crisi comincia ad Arezzo e arriva in regione, passa inevitabilmente dalla Provincia», gli fa eco Lucia Tanti, capogruppo Pdl in consiglio provinciale. Anche qui, infatti, c’è una maggioranza di centro sinistra, che potrebbe spaccarsi per gli stessi motivi.
A questo punto per il Pd la strada sembra essere sempre più stretta e tortuosa, anche perché Giuseppe Matteucci, coordinatore provinciale di Futuro e Libertà, ha negato la possibilità di una «stampella» per la maggioranza Fanfani: «Non entreremo mai in questa maggioranza», ha sottolineato.
Lorenzo Canali
La riprova si è avuta lunedì 29 maggio, quando si è dimesso il presidente della settima commissione (cultura, scuola, sport, turismo) Lamberto Giannini (Sel). Al suo posto è stato eletto Lorenzo Del Lucchese (Idv) con i voti, oltre che dell’Idv, di Udc e Pdl, mentre il candidato del Pd, Michele Martorano, è stato battuto per 5 voti a 4 e Rifondazione si è astenuta.
Adesso lo scoglio è l’approvazione del bilancio. Cosimi potrebbe avvalersi del sostegno di Gianfranco Lamberti, che ormai da mesi sta mostrando un atteggiamento propositivo nei confronti della giunta. Ma il segretario provinciale di Sel, Andrea Ghilarducci, mette in guardia: «L’alleanza col terzo polo non porta da nessuna parte. Se Cosimi vuole continuare a contare sui voti e l’appoggio di Lamberti lo spiegherà agli elettori. Noi non ci stiamo».
Le dimissioni improvvise ma da tempo chiacchierate dell’assessore regionale alla salute, Daniela Scaramuccia sono state l’inizio di un domino di reazioni a catena. O forse solo l’ultima goccia di una vaso già pieno. Di un lavoro complicato per un assessore «tecnico» che ogni giorno negli ultimi due anni ha dovuto confrontarsi con la burocrazia e le lentezze della politica: «Torno a fare il mio lavoro perché mi è stata prospettata un’offerta professionale importante ha detto anche se la politica è una tentazione bellissima». E di rapporti, forse, non proprio idilliaci all’interno della Giunta e con il presidente. Enrico Rossi, di fronte ai giornalisti, ha comunque speso parole al miele per Scaramuccia: «Si è trovata subito a gestire un caso difficile come quello di Massa, e lo ha fatto con stile, correttezza, spirito di verità. Durante questi due anni il bilancio è migliorato, abbiamo completato il giro delle certificazioni di bilancio, e la Sanità toscana si mantiene, nonostante siano diminuiti i finanziamenti a livello nazionale, tra le regioni che hanno i migliori servizi al cittadino».
Già, il caso Massa. Proprio la stessa mattina del frettoloso annuncio delle dimissioni mercoledì 16 maggio sono arrivate novità pesanti dalla Procura. Scaramuccia si è affrettata a commentare che le sue dimissioni erano «solo una coincidenza». Le indagini sul buco da 270 milioni della Asl apuana hanno portato a 3 arresti (Ermanno Giannetti, ex direttore amministrativo della Asl 1; Antonio Delvino, ex direttore generale; Alessandro Scarafuggi, ex dg della Asl 1 dal 2002 al 2007 e attuale direttore della Asl di Pistoia) e ad altre 11 persone denunciate. In seguito all’arresto anche Scarafuggi si è dimesso. E Bruno Cravedi, attuale direttore generale dell’Asl 4 di Prato, da lunedì scorso è il commissario della Asl 3 di Pistoia. Tra l’altro secondo il Gip di Massa ci sarebbero «ombre» sull’operato di Scarafucci anche a Pistoia dove si sarebbe adoperato per «evitare si legge nell’ordinanza di custodia cautelare che il bilancio di esercizio dell’azienda pistoiese per l’anno 2010 fosse sottoposto alla prevista certificazione perché, altrimenti, avrebbe fatto emergere una sofferenza finanziaria di almeno 20 milioni».
Ma sull’«affaire» c’è stato anche un singolare «siparietto» davanti ai giornalisti. Ricostruendo l’origine dell’indagine, l’ex assessore alla sanità ha sottolineato che a balzare ai suoi occhi sono stati i 60 milioni di euro che la Asl apuana reclamava in bilancio fatto sottolineato con molti dubbi dai sindaci revisori come vecchi crediti da riscuotere dalla Regione. Rossi, al suo fianco, ha corretto la cifra in 30. Ma Scaramuccia, sicura, ha subito ribattuto: «No, sono sicura erano 60». E la cifra corretta era quella citata dall’ex assessore alla sanità… Per il presidente la vicenda della Asl apuana è stata un brutto colpo da digerire. Il «buco» di 270 milioni è stato «scavato» mentre proprio lui era assessore alla sanità, sotto la presidente di Claudio Martini. «Noi abbiamo scoperto il buco ha sottolineato Rossi lo abbiamo analizzato, ricostruito andando indietro di 10 anni. L’ho denunciato io alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti, sfido di trovare altre situazione analoghe».
Il presidente poi non ha perso tempo. Perché un settore come quello della sanità, ha detto, «non può permettersi neanche un giorno di non essere gestito». Così la mattina stessa, durante l’incontro con i giornalisti, ha annunciato il nuovo assessore: Luigi Marroni, 54 anni, fino al 31 maggio direttore generale della Asl 10. Toccherà a lui ora gestire il sistema sanitario regionale che conta oltre 53 mila dipendenti diretti e 10 mila indiretti, più tutto l’indotto. E una sanità, ha sottolineato Rossi, che oltre che dal punto qualitativo anche dal punto economico gode di buona salute, eccetto Massa. Infatti quasi tutte le altre Asl hanno il bilancio positivo: solo Pistoia e Firenze presentano un deficit.
La repentina scelta di Marroni senza consultazioni né in giunta né interne al partito e le cattive notizie emerse dalle indagini hanno creato non pochi mal di pancia all’interno del Partito democratico. A anche al di fuori. Alberto Magnolfi, presidente del gruppo Pdl in consiglio regionale, ha parlato di «dimissioni a orologeria»: «La tempesta politica e giudiziaria che investe in queste ore la sanità toscana seppellisce il falso mito del buon governo sapientemente costruito dalla propaganda della sinistra». E ha chiesto un Consiglio regionale straordinario sulla sanità. Seduta che poi è stata fissata per la mattina del 1º giugno.
Il giorno seguente, giovedì, anche il presidente della commissione regionale Marco Remaschi compagno di partito del presidente ha minacciato le dimissioni. «Non sono soddisfatto di certe situazioni ha detto e per dignità, prima personale e poi politica, sto valutando se continuare o meno ad essere il presidente di questa Commissione». Il presidente Rossi si è detto «dispiaciuto» e «pronto a chiarimenti». Nel frattempo anche il responsabile sanità all’interno del Partito democratico ha minacciato la dimissioni. Insomma un vero e proprio terremoto politico. Venerdì 18 è stato allora convocato d’urgenza un faccia a faccia interno al Pd. Intorno al tavolo il presidente Rossi, il segretario regionale Andrea Manciulli ed il capogruppo regionale Vittorio Bugli. Al termine i tre hanno sottoscritto un documento dove si sottolinea il «deficit di condivisione» sulla vicenda nuovo assessore. Ma il Pd toscano, «forte anche dei successi elettorali alle ultime amministrative», guarda al «rafforzamento dei rapporti». Quindi tutto a posto in casa Pd? Difficile. Anche perché la vicenda sanità si incrocia con molti altri problemi politici e amministrativi in grandi città toscane con maggioranze che non ci sono più o rischiano di saltare. Allora non resta che aspettare. Magari altre novità dalla prossima dirigenza regionale del partito, fissata nel pomeriggio di venerdì 1º giugno. Oppure le prossime dimissioni.
Non ci sono dubbi, il centro sinistra, Pd e alleati, ha vinto a piene mani in Toscana le elezioni del 6-7 maggio e i successivi ballottaggi. Tuttavia, non è mancato qualche segnale per i partiti, nessuno escluso, primo tra tutti il calo della partecipazione al voto. I dati dei 30 comuni toscani dove si è votato segnalano un calo complessivo del 9,78% (dal 70,58% delle elezioni precedente al 60,80% di oggi) con una punta massima di -14,57% a Monte S. Savino (Siena). Al voto nei Comuni toscani è dedicato lo studio curato dall’Ufficio elettorale della Regione Toscana diretto da Antonio Floridia.
Il centrosinistra in Toscana si è aggiudicato le amministrazioni di Pistoia, Quarrata e Carrara, ma non ha convinto. Nei primi due casi, la coalizione a sostegno dei sindaci eletti comprendeva tutti i partiti della sinistra e del centrosinistra. A Carrara, la coalizione comprendeva Pd, Psi, Pri, Rc, Sel e altre forze civiche di centrosinistra, ma anche l’Udc; mentre a sostegno di un altro candidato erano l’Idv e le forze verdi e ambientaliste. Il centrosinistra ha conquistato, al ballottaggio, le amministrazioni di Lucca e Camaiore, in precedenza amministrate dal centrodestra.
Nei Comuni con popolazione inferiore a 15 mila abitanti il centrosinistra si è confermato a Castiglion Fiorentino, Montemignaio, Reggello, Rignano sull’Arno, Sassetta, Forte dei Marmi, Porcari, Mulazzo, Licciana Nardi, Bientina, Crespina, S. Marcello Pistoiese, Serravalle Pistoiese, Montalcino, Monticiano, Sarteano. Conferma del centrodestra a Marciana Marina e Porto Azzurro. Marliana, invece, è passato dal centrosinistra al centrodestra. Percorso inverso per Monte San Savino, Campagnatico e Manciano. A Pitigliano e Zeri passaggio dal centrosinistra a una lista civica; anche a Bagni di Lucca una lista civica succede a una di centrodestra.
Il numero complessivo dei voti validi è sceso da 186 mila a 141 mila, 45 mila in meno (la percentuale dei votanti scende di oltre venti punti). Sinistra e centrosinistra (con forti movimenti al loro interno) ne perdono «solo» 16 mila; l’area di centrodestra «perde» ben 55 mila voti, passando da 80 mila voti alle politiche ai circa 25 mila delle amministrative. L’Udc e l’area centrista, «guadagnano» circa 8 mila voti, pur in presenza di un forte calo dei votanti. Sembra che il risultato negativo per il centro destra debba essere attribuito, essenzialmente, al forte astensionismo di elettori che, alle elezioni precedenti, avevano votato per il Pdl. Impossibile valutare l’origine dei circa 12 mila voti del Movimento 5 Stelle: è plausibile un forte ricambio tra gli elettori che passano dal voto al non-voto e viceversa.
Una società frammentata e insoddisfatta ha manifestato il proprio disagio a una classe politica incapace di capire non soltanto quello che sta succedendo, ma anche quello che bisogna fare: è questo, secondo molti, il messaggio che l’elettorato ha mandato ai partiti. Di opinione diversa l’Osservatorio elettorale regionale che punta invece sull’«astensionismo intermittente»: ovvero, elettori che scelgono cioè di votare o non votare sulla base di considerazioni che vanno dalla qualità della «posta in gioco» all’importanza attribuita alla specifica tornata elettorale.
Tra i fattori che possono incidere negativamente sui livelli di partecipazione va segnalato l’eccesso, dell’offerta elettorale, la ridondanza di liste e di candidati, all’origine del disorientamento su una parte degli elettori. La molteplicità di scelte, confusione e incertezza non facilitano le scelte. In particolare, dal 2007 al 2012, il numero di candidati sindaci e di liste, nei 30 comuni considerati, ha subìto un rilevante incremento, passando da una media di 5,2 candidati a 8 candidati. Questo effetto di moltiplicazione dei candidati si è prodotta anche nei comuni con popolazione inferiore ai 15 mila abitanti, dove si votava a un solo turno. Qui, in alcuni casi, è stato eletto un sindaco con una percentuale di voto piuttosto bassa: ad esempio, a Castiglion Fiorentino (AR), su ben sei candidati, il sindaco eletto ha riportato il 19% dei voti.