Lettere in redazione

Polemiche sugli «87 comandamenti»

Caro Direttore,in un articolo sul Tirreno, il 30 gennaio 2009, viene trattato il fatto di un sacerdote che per curare il proprio «gregge», offre ai fedeli, per una riflessione, prima della confessione, un elenco dei possibili peccati. Con grande probabilità il primo «scandalo» suscitato all’interno della comunità di Riotorto è stato causato dal fatto della troppa chiarezza, e alcuni cristiani, sicuramente credenti ma poco o per niente praticanti si sono sentiti toccati in coscienza ormai messa «al riposo» o nel dimenticatoio della falsità alimentata della tesi «…secondo me non faccio male a nessuno allora non pecco, sono meglio di tutti quelli che vanno alla Messa…». Fa ridere anche il fatto che alcuni dichiarano che si sono scandalizzati che il parroco ha trattato gli argomenti come aborto, masturbazione, infedeltà coniugale, con degli adolescenti che si preparano al sacramento della Cresima… Forse alcuni genitori non prendono in considerazione che gli adolescenti ormai sul sesso e altre cose inerenti ad esso, sanno più dei genitori stessi.

Il problema però nasce quando i giornalisti cercano di fare la notizia ma non hanno la base scientifica-catechistica per trattare gli argomenti. Mi spiego: il parroco di Riotorto non ha dato gli 87 comandamenti, ma un elevato numero di domande e considerazioni che si basano sui 10 comandamenti mai mutati, per un adeguato e profondo esame di coscienza. Poi, leggendo con attenzione l’articolo non trovo nessun problema, né nell’esporre le sue tesi né nelle motivazioni che hanno spinto il sacerdote a questo fatto. Penso che ogni sacerdote serio curi l’esame di coscienza. Dove è il problema? Come mai il titolo dell’articolo a pagina intera parla di «87 comandamenti»? Perché alcuni genitori si sono scandalizzati che il parroco tratti con i ragazzi temi che loro, tante volte, si vergognano di affrontare con i figli? E poi, come mai a questo proposito è stato consultato il parroco di Perignano? Riotorto è nella diocesi di Massa Marittima e Perignano nella Diocesi di San Miniato… Avrei anche alcune domande sull’articolo che riproduce il commento e soprattutto sulla presa di posizione di don Zappolini… Cosa vuol dire che lui è «il parroco impegnato in prima linea»? Noi in quale trincea veniamo sbattuti… e per quale motivo? Soprattutto, con quale autorità don Armando si scusa «a nome di tutta la Chiesa»?

don Antoni PyznarPisa

Prima di tutto è opportuno ripercorrere, anche se brevemente, tutta la vicenda che è sconosciuta alla maggior parte dei nostri lettori. Un sacerdote polacco, don Waldemar Choinsky, parroco di Riotorto, in Diocesi di Massa Marittima, per favorire la preparazione alla confessione, ha stilato, sulla base dei comandamenti, una serie di precisazioni e di esemplificazioni, anche su argomenti un po’ delicati, come l’aborto, la masturbazione, le pratiche omosessuali, ecc. Il tutto con un linguaggio esplicito e diretto, che alcuni parrocchiani hanno trovato non del tutto adatto, soprattutto ai ragazzi. Ne è nata una discussione, nella quale, intervistato dal «Tirreno», è intervenuto, un po’ pepatamente, don Armando Zappolini, parroco di Perignano, in Diocesi di San Miniato, che ha trovato l’elenco anche un po’ troppo mancante su aspetti non secondari della morale cattolica, come la dimensione sociale e pubblica. La questione, come detto, è finita sul «Tirreno» e ne è nata, credo senza la volontà dei protagonisti, una polemica, anche perché spesso i giornalisti hanno usato termini impropri. A questo punto sono intervenuti dei sacerdoti stranieri, che prestano servizio in Diocesi di Pisa, in difesa del parroco di Riotorto. Potremo dire, con un po’ di ironia, un chiaro esempio di comunicazione fra le Chiese della Regione.

Qual è il mio pensiero su tutta la vicenda? Io credo che visioni diverse in ordine alla pastorale, in questo caso, della confessione, siano lecite e il discutere utile, magari meglio all’interno della stessa Diocesi e perché no? anche col Vescovo. È sempre positivo però che restino nella dimensione interpersonale. Quando finiscono sulla stampa, che certamente galoppa il caso, si trasformano – al di là della volontà dei singoli – in una polemica, anche per l’uso di termini spesso impropri, che finisce per gettare da parte di molti un generalizzato discredito sulla Chiesa. E questo certamente non giova.

Alberto Migone