Toscana

Pistoia, la benedizione dei pellegrini del Cammino di Santiago

Difficile anche oggi percorrere a piedi quelle centinaia/migliaia di chilometri che separano dalla tomba di Giacomo; intuibile capire come ancora più difficile fosse farlo in tempi antichi: dirupi e ladroni, truffe e inganni di ogni genere. Da qui, appunto, la benedizione («il commiato») di pellegrini che se erano sicuri dell’andata non potevano esserlo altrettanto del ritorno. Ecco dunque che il vescovo consegna due fra i simboli del cammino: il bastone e la borsa – il «bordone» e la «scarsella» – con preghiere anche queste riportate nell’antico codice. «Prendi questa scarsella perché ricevuta la pena come si conviene e pentito, meriti di arrivare al santuario di San Giacomo … Prendi questo bastone, sostegno per il cammino e la fatica della via, perché tu possa vincere le schiere del Nemico e arrivare sicuro fino al santuario di San Giacomo». Da notare che la borsa non è chiusa da lacci ma ha l’imboccatura sempre aperta: chiaro segno che «ogni pellegrino deve condividere il proprio con i poveri e dunque deve essere pronto a ricevere e a dare».

In una Pistoia piovigginosa e disattenta, davanti all’altare di argento che tanto deve al rapporto con l’apostolo Giacomo, si è ripetuta ieri una liturgia antica: la benedizione, impartita dal vescovo Fausto Tardelli con il canonico don Luca Carlesi, dei pellegrini iacopei. Non c’era molta gente – tralasciando figuranti, sbandieratori e simili – per una cerimonia di fascino e di significato, che ha poi avuto una bella appendice nel Palazzo dei Vescovi. Qui Paolo Caucci von Saucken, certo la massima autorità del cammino iacopeo, ha presentato un volume («De Peregrinatione») che in quattro capitoli (circa mille pagine) raggruppa contributi di una quarantina fra i massimi esperti mondiali nei pellegrinaggi: origini e significato dei pellegrinaggi, itinerari e iconografia.

Così è iniziata una serie di incontri («In Itinere») per riflettere e aggiornare sulla realtà, religiosa e culturale, del pellegrinaggio in una dimensione sia storica che contemporanea: «perché la civiltà del pellegrinaggio possa diventare civiltà della pace». Un bel contributo, a cura del Comitato di San Iacopo presso la Cattedrale d’intesa con la Diocesi, alle iniziative per Pistoia Capitale. Per emblema una miniatura («Il miracolo di San Giacomo e i due pellegrini») che Lucia Gai si è incaricata di spiegare e che aiuta a capire come, secondo lo spirito di fede, andava affrontato il pellegrinaggio.

E’ la storia dei 20 cavalieri in viaggio verso Santiago di Compostela. Fanno presto a tradire il voto solenne di non abbandonarsi mai: basta che uno di loro si ammali e subito, tanta l’ansia di arrivare, lo abbandonano al suo destino. Tutti tranne uno (guarda caso l’unico che quel giuramento non lo aveva fatto): che resta con il compagno malato, cerca di curarlo finché il compagno muore, si getta nella preghiera finché gli appare proprio Giacomo che fa salire i due, tenendo fra le sue braccia il cavaliere morto, sul suo cavallo. Arrivano così alla meta: l’uno può trovare degna sepoltura, l’altro tornare a casa. La storia termina con il duro giudizio del santo: il cammino degli altri cavalieri, quelli che avevano giurato ma subito dimenticato, non è gradito. Né a Giacomo né tantomeno a Dio.

Intrecci di fede e umanità su cui non sarebbe male riflettere. L’Europa, quella creatura oggi così in crisi, storicamente nasce proprio da questo «cammino di fede» anche se – come ha bene notato il prof. Caucci – quando si trattò, nella sua Costituzione, di far riferimento alle «radici cristiane» a vincere fu l’indifferenza, se non l’ostilità, verso quel tipo di radici. Sono ancora in molti, verso Santiago o verso Roma o verso Gerusalemme, i «pellegrini» in cammino. Spesso con motivazioni religiose, spesso su basi diverse. L’idea del «commiato», con la consegna del bastone e della borsa per affrontare il cammino in modo diverso, potrebbe anche non appartenere solo al mondo del folclore. Idem per la storia dei 20 cavalieri che giurano ma subito tradiscono mentre a portare in fondo «l’impresa» è proprio quello che non aveva giurato.