Toscana

Piombino, la parola d’ordine è diversificazione

DI MICHELANGELO PASQUINELLITutto a Piombino ha ruotato intorno alle fabbriche e tutto si è fatto ed «è dipeso» dalle fabbriche. È il problema dei problemi per Piombino e la Val Cornia, dopo la caduta perpendicolare della siderurgia, almeno quella di un volta, e soprattutto dell’occupazione di tutto l’indotto.Non poteva fare eccezione il porto di Piombino, fino ad ora «l’imbarco per l’isola d’Elba» e il terminale per le acciaierie con tutti gli annessi e connessi: i carbonili e lo spolverino conseguente non sono un gran biglietto da visita per un turista che considera il porto come un passaggio inevitabile per poi godersi l’Elba e da cui scappare subito al momento del rientro… E il male era duplice, soprattutto per una città come Piombino, ricca di storia, di musei, come di squarci notevolissimi come Piazza Bovio, unica, tutta protesa com’è sullo splendido canale sul quale si hanno viste magnifiche anche da altri punti della città. Ma da un po’ di tempo sta cambiando vento in proposito e sta facendosi largo la cultura della diversificazione economica, di sganciarsi cioè da quella monocultura industriale causa di molti ritardi e dell’assenza stessa di un’imprenditoria di un certo spessore, non solo legata alle partecipazioni statali prima e alla Lucchini, Magona e Dalmine poi. Ed anche il porto sta seguendo questa tendenza, come sostengono alla stessa Port Autority locale il presidente Tullio Tabani e direttore generale Stelio Montomoli.Il progetto, ambizioso quanto non rinviabile, quindi vuole aprire l’attività portuale oltre il settore passeggeri, incrementando sinergie operative con il porto di Livorno, contando su grossi investimenti anche comunitari per far decollare quello sviluppo fino ad ora rimasto invece sulla carta. Le tre linee direttrici dettate dall’Autority puntano, ovviamente, sui passeggeri, creando le premesse per ospitare anche le navi da crociera, poi sulle merci per scambi commerciali anche al di fuori del mercato legato alla siderurgia, realizzando infine nuove banchine per la stessa industria locale che – pur ridimensionata – ha ancora molto da dire nell’economia e nell’occupazione locale. E tutto questo vuol dire dotarsi di nuove infrastrutture per navi commerciali, tra le quali il prolungamento delle banchine, della stessa scogliera che ripara il porto, dragaggi che adeguino la profondità dello stesso perché tutti i mezzi vi possano attraccare.

Potrebbero esserne svantaggiati i pescherecci, ma si pensa di spostare il settore più verso la Dalmine e far quindi decollare anche questo settore. Un’altra infrastruttura indispensabile («governo permettendo» dicono alla Port Autority) è una strada di accesso diretto al porto dalla variante Aurelia, per evitare incredibili ingolfamenti e ridurre anche i costi, con piazzali di stoccaggio, soste autotreni e quant’altro. C’è poi l’annoso problema dello spostamento dei carbonili che non sono certo in sintonia (spolverino ecc.) con la nuova veste che si vuol dare al porto e sembrerebbe che la stessa Lucchini cominci a sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda…

Per tutto questo programma, da realizzarsi in 4 o 5 anni, si parla di quasi 200 miliardi che tra disponibilità di precedenti stanziamenti e nuovi investimenti Cee dovrebbero consentire questo importante salto di qualità.I servizi• Livorno, un sogno durato poco• Porto S. Stefano: pesca in ribasso• Viareggio, silenzio sul fronte del porto• Il marmo è la forza di Carrara• Le maglie nere delle spiagge toscane