Vescovi Toscani
Pillola Ru486, intervento di mons. Plotti
Pubblichiamo il testo integrale dell’intervento dell’arcivescovo di Pisa, mons. Alessandro Plotti, presidente della Conferenza episcopale toscana, sul possibile utilizzo della pillola abortiva Ru486 in strutture sanitarie pubbliche situate nel territorio della diocesi di Pisa. L’intervento è stato pubblicato integralmente su Toscanaoggi-Vita Nova n. 38 del 23 ottobre 2005.
Poiché sono state avviate le procedure tendenti all’impiego della pillola abortiva RU 486 in strutture sanitarie pubbliche situate nel territorio diocesano, ritengo opportuno richiamare alcuni principi in ordine alla tutela della vita nascente e alla responsabilità del generare.
Alla luce dell’autentica esperienza umana, illuminata dalla rivelazione divina e confermata dal costante insegnamento morale della Chiesa, vincolante per tutti i battezzati, l’aborto è un’oggettiva e grave violazione del diritto alla vita, dono di Dio che nessuna creatura è autorizzata a sopprimere né a contrastare nel suo naturale sviluppo. Il fatto che una legge dello Stato, in determinate situazioni, consenta la volontaria interruzione della gravidanza non attenua la gravità morale dell’atto.
Nello specifico la legge 194/78, prima di ammettere la facoltà di abortire, prevede precise procedure e appositi servizi volti a consentire alla donna incinta – e, col consenso di lei, al padre del nascituro – di valutare possibili scelte alternative all’aborto, rimuovendo le cause che porterebbero all’interruzione della gravidanza. In ogni caso l’aborto deve essere praticato in una struttura sanitaria pubblica o autorizzata, per fornire alla donna adeguata assistenza e anche per esercitare un opportuno monitoraggio del fenomeno. La legge precisa altresì che l’aborto non può essere considerato un metodo contraccettivo, assegnando al medico il compito di informare sulla regolazione delle nascite e la prevenzione di gravidanze indesiderate. La possibilità di praticare l’aborto attraverso il farmaco RU 486 pone serie domande alla coscienza dei credenti, al senso di umanità di tutti i cittadini come pure alla responsabilità delle autorità civili e del personale addetto ai servizi sanitari. Sul piano strettamente medico, non essendo l’aborto «farmaceutico» esente da rischi per la donna, resta la necessità di assistenza sanitaria per chi vi si sottopone; sul piano etico e culturale, occorre domandarsi se l’idea di un aborto «più facile» non finisca per indebolire ulteriormente il principio della tutela sociale della maternità, allontanando ancor più l’eventualità di ripensamento della decisione di interrompere la gravidanza.
E così la nostra società fa un altro passo avanti sulla via dell’individualismo, che prevale sul senso di responsabilità personale e comunitario. La comunità cristiana non può rinunciare, anche in questa delicata vicenda, a proclamare quel «Vangelo della vita» che ha contraddistinto il pontificato di Giovanni Paolo II e che Benedetto XVI ha autorevolmente riaffermato. La Chiesa pisana intende camminare sulla scia di questo alto magistero, non rinunciando a impegnarsi e a educare in alcune precise direzioni: l’accoglienza come dono di Dio di ogni vita nascente, la sua tutela soprattutto nelle circostanze più drammatiche e precarie, la maternità e paternità responsabili e la misericordia verso chi, dopo la drammatica decisione di un aborto, chiede ai ministri della Chiesa il perdono sacramentale.