Lettere in redazione
Perché un cattolico critica il «motu proprio» sulla Messa?
Il celebrare la S. Messa, in alcuni casi, in lingua latina, significa anche mantenere le nostre tradizioni culturali e naturalmente spirituali.
Gentile signora Felicita, ordinariamente nella scelta e nella pubblicazione delle lettere non operiamo alcuna censura preventiva, almeno che non si tratti «di scritti offensivi» nei confronti di persone o istituzioni. La lettera, a cui lei fa riferimento (I vescovi lefebvriani e il Concilio), non presentava alcun elemento al riguardo.
C’è un criterio a cui ci atteniamo, nei limiti del possibile: ed è la varietà degli argomenti e l’interesse che possono suscitare tra i lettori. Era questo il caso di quella lettera che si riferiva al fatto che Benedetto XVI aveva tolto la scomunica ai seguaci di mons. Lefebvre e iniziava così un cammino lungo e faticoso di verifica della loro posizione, soprattutto in ordine al loro riconoscimento dei dettami del Concilio Vaticano II e del successivo magistero dei Pontefici (Paolo IV e Giovanni Paolo II); del resto il fatto in sé ricopriva e ricopre un indubbio interesse, non solo ecclesiale.
Noi pensiamo che la rubrica «Le Lettere» rappresenti un’occasione di confronto e di dibattito tra cristiani e di questo si sente necessità. Tutto questo avverrà se i seguaci di Lefebvre non si conformano su posizioni oggettivamente insostenibili. Ogni soluzione è così nelle loro mani.
Riguardo alla possibilità di celebrare a determinate condizioni, la Messa in latino, non c’è da scandalizzarsi: oltre a tutto si salvaguarda un patrimonio anche culturale, di cui la Chiesa è depositaria. È la Chiesa che nel suo cammino nel tempo e nella storia coglie elementi che se appaiono positivi li sviluppa e li analizza. E così con spezzoni di storia coinvolgente si affrontano argomenti delicati (come l’omosessualità e l’eutanasia o l’aborto) che aiutano a riflettere.