Vita Chiesa
Perché studiare teologia? I seminaristi si confrontano
Lo studio, appunto. Lo studio e la vita, sia all’interno del seminario sia quella quotidiana nelle parrocchie, prossimamente. Quali i punti di incontro, gli stimoli, le urgenze, la giusta direzione? In molti, nei gruppi di lavoro, hanno segnalato il bisogno di sintesi all’interno della Ratio, hanno avvertito la necessità di avere un unico sguardo sul percorso di studi e sugli esami. E poi un altro dato di fatto su cui riflettere: le vocazioni in età adulta che forse, per motivi diversi, necessitano di un percorso differenziato.
Il convegno ha avuto una struttura «aperta»: ai momenti di riflessione (le due relazioni del prof. Dalmazio Mongillo, dell’Istituto di teologia ecumenico-patristica greco-bizantina S.Nicola di Bari e del prof. John O’Donnel, docente di teologia dogmatica all’Univ. Gregoriana di Roma) hanno fatto seguito due tavole rotonde, una con giovani sacerdoti che hanno testimoniato l’importanza ed il proseguimento degli studi nella vita quotidiana della parrocchia, e l’altra con i giovani docenti. Ed infine, sabato 8 febbraio, i nove gruppi di lavoro dei seminaristi, dove sono state elaborate impressioni e proposte, che verranno esaminate e vagliate dai rettori e riproposte alla Cet, agli studi teologici, alla facoltà di teologia di Firenze ed anche alla Congregazione per i seminari. Non una conclusione, dunque, ma un cammino che è stato avviato, una rete di rapporti che è stata intrecciata, che ha come elemento convergente il dialogo tra seminari e Studi, per una formazione che metta al centro la persona, la accompagni nel suo cammino, e sia l’incipit di una formazione continua ed al servizio delle singole comunità parrocchiali, nella realtà. In fondo, come ha detto Mongillo, «l’aspirante, l’apprendista teologo non è lo studioso accademico, non studia per obbligo ma per esigenza, assecondando la vocazione; non studia per protagonismo, per intellettualismo, ma si coltiva, con docilità, nell’umiltà, per essere intelligente della verità e della realtà creata in Cristo, per conoscere e far conoscere il Padre, nella realtà del popolo di Dio» e mai come in questo momento ritorna attuale quella frase di La Pira «essere sacerdote con il Vangelo ed il giornale in mano».
«Il motivo che ha persuaso il coordinamento dei rettori dei seminari della Toscana a proporre un convegno regionale dei seminaristi è molto semplice. Come di ogni cristiano adulto e anche più di ogni cristiano adulto, il prete deve passare da una fede solo sentita e solo emotivamente percepita ad una fede pensata, capace di attraversare una coscienza critica di sé. Questo deve essere soprattutto compito dei preti perché essi devono mettersi al servizio della fede degli altri e non soltanto accontentarsi del proprio personale cammino di fede. Ed è la teologia ad offrire questa riflessione critica sulla fede, permettendo di dare ragione e di costruire una fede ragionata e argomentata nei cristiani adulti. Il rischio che qualche volta si intravede nei seminaristi è quello di considerare lo studio della teologia come un puro strumento per superare gli esami e per raggiungere i titoli necessari a poter diventare preti. Lo studio non è l’unica cosa, ma certamente una parte indispensabile ed importantissima del loro cammino. Nel convegno, quindi, abbiamo cercato di riflettere proprio sul rapporto tra lo studio della teologia, la crescita della fede, la vocazione e la professionalità pastorale del prete a servizio della comunità».
Un’ampia partecipazione, circa 200 seminaristi, indubbiamente un numero cospicuo, segno di speranza, ma Lei non crede che per una regione vasta come la Toscana forse il numero dei seminaristi potrebbe essere maggiore? Qual è lo stato di salute in terminui vocazionali dei seminari in Toscana?
«In realtà i seminaristi non erano 200 ma solo 160. Questa precisazione per dire che se fossero stati anche il doppio, sarebbe ancora poco per la richiesta di servizio pastorale delle diocesi della nostra regione. Credo che occorra un maggior coraggio per proporre esplicitamente la vocazione sacerdotale e per chiamare al sacerdozio. Occorre forse una vita sacerdotale, da parte soprattutto dei preti giovani, più serena, più gioiosa, più coerente, che faccia da richiamo vocazionale ad altri giovani per intraprendere questa avventura meravigliosa. Occorre poi una pastorale giovanile più forte ed incisiva, capace di portare a maturazione quella libertà individuale che è elemento indispensabile a rispondere all’impegnativa chiamata da parte del Signore. I seminari della Toscana sono in genere delle realtà di Chiesa, delle comunità serie ed impegnate, hanno però il compito, come tutti i seminari dell’Occidente cristiano, di aggiornare metodi, strutture e strumenti di discernimento nonché di personalizzare di più i precorsi di formazione. Tutto questo affinché la formazione che si riceve nei seminari sia meno soltanto di gruppo o di comunità e più legata ai cammini sia intellettuali sia spirituali delle singole persone».
Il convegno ha avuto un’organizzazione dinamica, partecipata e propositiva attraverso momenti operativi, tavole rotonde, gruppi di lavoro. Quali le conclusioni?
«Anzitutto mi piace ricordare che il convegno è stato preparato da un lavoro ampio e capillare, fatto in tutti i seminari e nelle quattro realtà accademiche di insegnamento teologico della regione: Camaiore, Firenze, Siena e Grosseto. Sono stati fatti incontri, discussioni, riflessioni che hanno preparato poi il lavoro di ascolto degli esperti e il confronto nei gruppi di studio durante le due giornate del convegno. Per quanto riguarda le conclusioni, siamo arrivati piuttosto ad un inventario dei problemi da rilanciare ai vescovi e ai responsabili della formazione seminaristica e dell’insegnamento teologico. È stata redatta una serie di proposte la cui sintesi ancora è in corso di elaborazione da parte di un gruppo ristretto di educatori. La sintesi, frutto delle riflessioni del convegno, sarà riproposta per una verifica alle comunità dei seminaristi e poi messa a disposizione della responsabilità educativa sia in campo diocesano sia a livello regionale, sia a livello anche della Santa Sede che ha seguito con attenzione e con simpatia i lavori di questo nostro convegno».
«Una volta giunto in parrocchia – ha detto don Luca, ordinato nel ’97 ed in parrocchia dal 2000 – mi sono rimesso in discussione, chi ero veramente? Certo, un prete, ma mi sono trovato in una situazione di smarrimento iniziale, fuori dall’ambiente del seminario: che cosa voleva dire essere prete nella mia parrocchia? Ho avvertito quindi la necessità di ripartire da me stesso, cercando di essere in primo luogo un uomo, un uomo credente e un sacerdote, coinvolgendo tutto il mio essere in questa sempre più consapevole presa di coscienza, mettendoci dentro ragione, sentimenti ed emozioni, senza attribuirmi ruoli precostituiti, senza sentirmi un funzionario della Chiesa che amministra sacramenti. E a questo punto mi è stato di grandissimo aiuto lo studio, che mi si è rivelato in una nuova prospettiva. Non più gli studi teologici finalizzati agli esami, mi sono messo alla scrivania con la finestra aperta: portando nelle mie letture le persone che incontro nella quotidianità della parrocchia, i loro problemi, le loro domande di senso e cercando nello studio una luce, anche per loro, una nuova forza. Tutto quello che avevo messo nel carrello della spesa (i molteplici studi condotti in Seminario) mi è stato utile, una volta riordinato e messo a fuoco. Pertanto – ha concluso don Luca – posso affermare che lo studio, per un prete di parrocchia, è una risorsa indispensabile, che si rinnova ogni giorno, in stretta connessione con la vita».
«Io invece – ha proseguito don Massimiliano, 32 anni, ordinato il 26 maggio del 2000 e vice-parroco nella parrocchia dei S. Gervasio e Protasio a Firenze – ho affrontato il problema della conciliazione tra studi e vita già all’interno del Seminario, dove le problematiche sono molteplici, soprattutto partendo da un dato di fatto che abbiamo riscontrato: quello dell’aumento del numero delle vocazioni in età adulta. Come razionalizzare gli studi, trovare un percorso ad hoc per tutti, salvaguardando la persona, mettendola al centro di ogni percorso per una formazione serena? Secondo me questo è necessario perché sono convinto che solo così sia possibile ridare dignità e serietà alla Ratio Studiorum. Uno studio sofferto ha indubbiamente ripercussioni negative sulla vita spirituale, sul proprio impegno in Seminario prima ed in parrocchia poi. È quindi importantissimo lo studio ma ancora più importante è la serietà e la serenità della formazione. Nella soluzione di questo problema, nella nuova intesa che dovrebbe esserci tra Facoltà di teologia, Studi e Seminari sta il futuro della realtà ecclesiale toscana. E questo lo ribadisco anche perché, se non si inizia a studiare con il sorriso sulle labbra già dai primi anni di seminario, quella formazione continua, tanto necessaria, anche quando ci si trova in parrocchia, non avrà luogo. E sarebbe una grande perdita, una scommessa persa perché dalle nostre esperienze di giovani sacerdoti tocchiamo con mano, quotidianamente, quanto la gente abbia delle richieste da farci, voglia sapere in merito alla Scrittura, alla morale sessuale, al diritto canonico. Solo la formazione, unita all’apertura al mondo, può permetterci di dare ai nostri parrocchiani delle risposte di senso».