Livorno

Perché piangi?

DI ENRICO SASSANOPerché piangi, mamma? Non è mica un parente!: diceva la mia nipotina a mia figlia, che aveva appena appreso la notizia della morte di Vincenzo. Allora prese a raccontargli come a otto anni (aveva proprio l’età di sua figlia) l’aveva conosciuto e per otto anni era stato per lei un altro padre, un educatore, il compagno di giochi, un amico la cui perdita, proprio come quella di un familiare, ti fa star male.

Tanti ragazzi della parrocchia del Sacro Cuore lo ricordano così. Ed è proprio così: questo bergamasco è rimasto dentro a chi l’ha conosciuto in fraterna intimità. Il suo saper incontrare, tipicamente salesiano, ha inciso nella vita di molti; il suo non è stato un passaggio qualunque: ha lasciato un segno, sempre. A Livorno, a Belluno, a Firenze, a Savona, ad Alassio; perfino i pochissimi mesi trascorsi ad Isola Caporizzuto: ricordo come la gente di quel piccolo paese della Calabria, dove era stato nella primavera-estate del 1976, lo cercasse, lo chiamasse come una persona conosciuta da tanto tempo; in pochi mesi era diventato uno di loro.

Perché? mi domandavo in questi giorni. Perché la loro vita gli stava veramente a cuore: era la sua vita.Gli stava a cuore la gente del quartiere e i luoghi in cui si incontra. Negli otto anni trascorsi in parrocchia, a Colline, aveva instaurato con il territorio un rapporto leale, in certi momenti duro, ma sempre improntato alla ricerca della verità. A volte, nel suo comportamento affiorava la proverbiale testardaggine dei bergamaschi: non mollava di un centimetro. Ricordo quella volta, erano i primi mesi di parroco al Sacro Cuore, che litigò di brutto con la sezione PCI di Colline per via (mi disse dopo) degli attivisti del partito che affiggevano manifesti sui muri della chiesa e venivano a distribuire volantini vicino alla porta. Senza spiegarmi il perché mi disse: «Vado alla “cellula” del PCI di Colline, tu seguimi e se vedi che qualcosa non va, entra!» Si mise la tonaca e a passi lunghi e decisi, si avviò in via di Salviano. Non chiesi spiegazioni e feci quanto mi chiedeva. La cosa filò liscia. Mi disse poi che aveva raggiunto lo scopo (non so come): da quel giorno i rapporti con le realtà della zona furono sempre corretti, rispettosi e aperti al dialogo.Gli stavano a cuore i nostri figli su cui riversava amore tenero e coinvolgente. Se nella comunità parrocchiale vedeva la sua sposa, in loro realizzava la sua paternità. Le lotte che faceva con loro; l’affettuoso stringerli al petto con le sue lunghe braccia per sentirli anche suoi figli; il suo giocare, gli scherzi tremendi dei campeggi estivi; il dare il proprio tempo per ascoltarli ed esigere da loro il meglio secondo i doni ricevuti.

Gli stavamo a cuore noi, adulti nei quali riconosceva un «dono straordinario alla Chiesa e al mondo» ed ai quali richiedeva un servizio e una donazione totale: chiedeva una vita da cristiani veri e lottava contro la nostra fatica a dire sì a questa vocazione. Ed allora, da quel vulcano che era, metteva in campo idee, proposte che aiutassero tutta la comunità ad innamorarsi della fede e vincere così pigrizie e particolarismi.

I Sabato insieme, dove le famiglie si univano nella preghiera, nella cena e nel gioco, erano una palestra di amore fraterno. Gli incontri biblici (Alla Scuola della Bibbia) erano il luogo della maturazione di una fede «familiare» alla luce della Parola di Dio. La costituzione della Caritas parrocchiale era lo strumento per sensibilizzare e dare attenzione ai bisogni della gente. La cura nella liturgia perché divenisse tempo privilegiato di preghiera e di lode a Dio comunitaria (ricordo la scoperta di tutti noi dei riti della settimana santa). I giri per l’Italia alla ricerca di nuove idee e testimonianze di fede vissuta per essere aperti al mondo. Tutte cose che oggi sembrano acquisite ma che venticinque anni fa erano novità che ci entusiasmavano.

Gli stava a cuore la comunità diocesana (ma di questo altri ne parlano).

Perché piangi, allora? Perché anche se il respiro ampio che ci ha lasciato e il significato evangelico di queste due parole ci aprono il cuore alla speranza, un pezzo di noi se n’è andato con lui.

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