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Per i condannati meglio il carcere o percorsi di perdono?

Un’altro tipo di giustizia. Davanti all’efferatezza e all’estrema crudeltà di fazioni in guerra, ad esempio dei terroristi islamici dell’Isis, è facile concepire desideri di vendetta e invocare lo sterminio dei criminali e dei loro mandanti. I raid aerei della coalizione in queste ultime settimane sulle località rette dal Califfato vanno in questa direzione. Ma c’è anche chi, in tempi così difficili, riflette su un altro tipo di giustizia, non «vendicativa», bensì «riparativa». Lo spunto è certamente l’invito alla «misericordia» di Papa Francesco, pensiero portante del Giubileo che si è aperto nelle scorse settimane. Si tratta di una discreta corrente di pensiero giuridico che, guardando alla pesantezza del sistema penale italiano e alla difficoltà concreta di portare i carcerati alla redenzione e al recupero personale, pur all’interno di un sentiero di punizione della colpa commessa, auspica un stile nuovo e più efficace di recupero del condannato. Ad esempio la pensa così Luciano Eusebi, docente di diritto penale all’Università Cattolica di Milano, che ha dato alle stampe un volume dal titolo «Una giustizia diversa. Il modello riparativo e la questione penale» (Ed. Vita e Pensiero).

No alla ritorsione del carcere, sì alla ricostruzione della persona. Questa è la tesi centrale del libro del prof. Eusebi, secondo il quale «la giustizia riparativa non è una giustizia superficiale. Essa sa bene che di fronte a una estrema pericolosità c’è una esigenza di difesa. Ma sa anche che nulla rafforza più radicalmente l’autorevolezza della norma violata che il cercare di portare la persona che ha ritenuto di compiere determinati gesti a riconoscerne l’ingiustizia e ad attuare un serio, comprovato, talvolta anche rischioso cambiamento di vita». Secondo Eusebi, ci sono diversi percorsi alternativi che potrebbero essere inseriti fruttuosamente in una riforma penitenziaria e del diritto penale nel nostro paese. Cita ad esempio la introduzione di pene pecuniarie al posto della carcerazione, «sanzioni interdittive» specie per i reati contro la cosa pubblica, «sanzioni prescrittive» (imponendo azioni riparatorie e percorsi formativi invece del carcere) e soprattutto «la mediazione penale, sulla scorta di quanto avvenuto ad esempio in Sudafrica con Mandela e i suoi ‘cammini di verità e riconciliazione’». Per Eusebi lo slogan dovrebbe essere «no alla ritorsione del carcere, sì alla ricostruzione della persona».

Per ogni carcerato 6mila euro al mese di costo. Ma cosa ne pensa il mondo della politica e della cultura di questa prospettiva di recupero attivo della persona? Nella associazione «Argomenti2000», da tempo attiva su questi temi, l’on. Ernesto Preziosi sottolinea un aspetto: «La realtà delle carceri italiane è molto difficile come conferma il recente richiamo della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha sanzionato il nostro paese per i maltrattamenti inflitti ad alcuni detenuti. Anch’essi, infatti, sono e rimangono cittadini, con la dignità della condizione umana. Per loro la società dovrebbe investire perché avvenga quanto prima un reinserimento sociale, tra l’altro come prevede la Costituzione». Secondo Giorgio Pieri, responsabile di una delle realtà di accoglienza di carcerati della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, il problema va visto anche da un punto di vista funzionale oltre che morale: «Mentre spendiamo cifre assurde per il nostro sistema carcerario, 200 euro al giorno per ciascun recluso, cioè 6mila euro al mese, caricando ogni contribuente italiano di 500 euro l’anno per mantenere aperte e funzionanti le carceri, vediamo che su 1.000 detenuti che vengono rilasciati, circa 750 di loro torneranno a delinquere e presto li ritroveremo in cella. Possiamo accettare una cosa del genere?». «Nelle nostre case – prosegue – si attua un progetto esigente e impegnativo, cercando di rimuovere alla radice le cause dei comportamenti delinquenziali. Si coinvolgono le famiglie di origine, viene proposto il lavoro che misura anche il grado di pentimento della persona, in quanto non è remunerato nelle sue fasi iniziali». Il vero segreto della «Papa Giovanni XXIII» si trova però nei «percorsi di perdono e riconciliazione basati sul dialogo e il recupero dei motivi profondi per i quali una persona inizia a delinquere, fino all’incontro, quando possibile, con le vittime». «Da noi la recidiva – afferma Pieri – è crollata fino all’8 per cento circa, per coloro che hanno fatto il percorso di recupero per intero».

Durante il Giubileo affidare alle comunità 10 o 20 mila prigionieri. Tra le proposte che vengono dal mondo dell’associazionismo e del volontariato carcerario, in questo «Giubileo della Misericordia», c’è quella di affidare un numero consistente di carcerati a percorsi di riabilitazione esterni. «Rispetto ai 200 euro di spesa statale giornaliera per ogni detenuto, alle circa 300 comunità di accoglienza del terzo settore disponibili ad accogliere basterebbe una retta di 30 euro al giorno – ha spiegato Pieri -. Si potrebbe ipotizzare di far uscire sulla parola 10 mila condannati e lo stato risparmierebbe 210 milioni annui, creando un collaterale di 1.500 nuovi posti di lavoro. Se la politica ci desse una mano, nell’anno del Giubileo della Misericordia si potrebbe tentare di far uscire dal carcere anche fino a 20mila persone. Non è l’amnistia la soluzione a cui pensiamo, ma appunto dei luoghi dove ci sono persone che si spendono per recuperare e salvare coloro che hanno sbagliato».