Lucca

Per comprendere la bellezza dello stile ecclesiale

Onestamente ha un po’ sorpreso il clima di “sommossa popolare” che da parte di alcuni è stato fomentato e il linguaggio usato che ha poco a che fare con il senso ecclesiale, per un fatto che ha interessato non solo don Damiano ma diversi presbiteri di altre parrocchie, chiamati anche loro ad un nuovo servizio e ad una “mobilità” sul territorio diocesano, evento assolutamente normale e la cui decisione spetta soltanto al vescovo.

Ma onestamente ha ancora più sorpreso il fatto che al vescovo vengano chieste “spiegazioni” di una decisione che è maturata nel tempo e che è stata condivisa dal presbitero in questione.

Non si è trattato di una rimozione né di altro provvedimento; nulla è stato imposto dal vescovo: solo l’esito di un percorso, dove il vescovo e il presbitero in questione, così come avviene nella normalità, si sono confrontati, dialogando a lungo fraternamente e serenamente, hanno valutato insieme e sono giunti alla conclusione per il bene della comunità e del prete stesso, come don Damiano ha opportunamente spiegato nella sua lettera alla comunità. Non ci sono né eroi né sconfitti. Né prevaricazioni né censure.

La “subitaneità” della comunicazione è la conseguenza del riserbo, con cui questo confronto è stato condotto, e di questo va dato merito a don Damiano di essere stato geloso custode di questi passaggi con il vescovo avvenuti negli ultimi mesi. Questa è la prassi ecclesiale. Forse una certa prassi, che deriva più dal mondo dell’odierna politica, vorrebbe che le decisioni venissero prese in base “all’indice di ascolto” o magari a seguito di “primarie permanenti”… ma “per noi non è così”. E crediamo che la fatica e il peso della decisione che spetta al vescovo, dopo accurate consultazioni, debba essere sempre rispettata, proprio come segno della consapevolezza di un carico alle volte doloroso e pesantissimo, che grava sulle sue spalle e sulla sua coscienza.

Quando un parroco lascia la parrocchia, che ci sia dispiacere è una cosa normale, segno che la sua presenza è stata significativa e che ha svolto il suo ministero con credibilità e abilità. E fin qui va tutto bene. Ma da qui a generare un clima di sospetto o addirittura di “complotto”, come si è detto, ce ne corre. Ce ne corre soprattutto pensando a che cosa è una comunità parrocchiale: né una succursale di partito né un’isola felice che deve tutelare il suo “benessere”, ignorando la situazione altrui. È un luogo dove si custodisce e si sperimenta innanzitutto la presenza del Signore, dove, magari con fatica, ci si impegna nella costruzione del Regno, cioè quella condizione, in cui ci si riconosce fratelli e sorelle prima di ogni altra cosa e, per questo, si è capaci del dono e del sacrificio.

Che la situazione della Diocesi sia in evoluzione, come lo è in tutte le diocesi italiane ed europee, è noto a tutti: un modo diverso della presenza evangelizzante e testimoniante della parrocchia e della conseguente missione del suo parroco; la cospicua diminuzione del numero dei presbiteri e il loro invecchiamento; la necessità di pensare a un futuro già prevedibile, prima di trovarsi nell’emergenza. Questi sono alcuni dei molteplici fattori che insistono sulle scelte di trasferimento del clero attivo e che sono espressi nel percorso segnato dalle Lettere pastorali annuali alle nostre comunità. La prassi seguita per il trasferimento del parroco di Camaiore è quella seguita normalmente ovunque.

Redazione Lucca