Firenze

Pentecoste: card. Betori, forte legame tra Spirito e verità

card. Betori foto archivio Toscana Oggi

<<Il legame tra lo Spirito Santo e la verità>> è particolarmente forte <<in un tempo in cui dominano il pensiero unico, le fake news, come pure il trionfo delle opinioni, la diffusione di giudizi fondati su “mi sembra”>>. Lo ha detto il cardinale Giuseppe Betori, amministratore apostolico della diocesi di Firenze, nell’omelia della Messa di Pentecoste celebrata oggi nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

“Ma anche il modo con cui lo Spirito ci conduce a Gesù è importante, in quanto contrasta con quella proiezione sul momento presente e sul sentire del momento che caratterizza la nostra cultura” ha aggiunto Betori.

Di seguito l’omelia

Nel promettere lo Spirito ai discepoli, Gesù ne parla come colui che «guiderà a tutta la verità» (Gv 16,13). Il legame tra lo Spirito e la verità è particolarmente significativa in questo tempo in cui dominano il pensiero unico, le fake news, come pure il trionfo delle opinioni, la diffusione di giudizi fondati su “mi sembra”.

Ma la verità a cui lo Spirito conduce non è una qualsiasi dottrina sul mondo e sull’uomo, non un’idea pronta a trasformarsi in una ideologia; essa ha a che fare con la persona stessa di Gesù, che per questo afferma: «Lo Spirito della verità […] darà testimonianza di me; […] prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Gv 15,26; 16,14). Scoprire la verità significa essere condotti a Gesù, accettarlo come colui che è in grado di svelare il mistero di ciascuno di noi e della storia umana.

Ma anche il modo con cui lo Spirito ci conduce a Gesù è importante, in quanto contrasta con quella proiezione sul momento presente e sul sentire del momento che caratterizza la nostra cultura. Lo Spirito, infatti, «dirà tutto ciò che ha udito e vi annuncerà le cose future» (Gv 16,13). La verità cristiana ha un saldo fondamento nel passato – è esperienza dell’esistenza di Gesù, di fatti accaduti, proclamati dai testimoni e accolti nell’ascolto –; al tempo stesso è sguardo progettuale sul futuro, in quanto riconosce Gesù come Signore della storia – uno sguardo di speranza e di coraggio che muove la storia oltre le sue chiusure e le sue involuzioni.

Tutto ciò non si propone in modo astratto e fuori della vita. Al contrario, lo Spirito rende capaci di parlare le lingue degli uomini, cioè di incontrare ciascuno nella propria condizione culturale. Così accadde nel giorno di Pentecoste. Il gruppo dei discepoli di Gesù vennero «colmati di Spirito Santo» e cominciarono a «parlare in altre lingue, nel modo con cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4). Intorno a loro c’era gente proveniente da ogni parte del mondo e «ciascuno li udiva parlare nella propria lingua» (At 2,6). Non c’è lingua del mondo che sia esclusa dal potersi rendere grembo accogliente della parola dell’annuncio cristiano.

Anche questo nostro tempo, così pieno di contraddizioni, è uno spazio aperto all’annuncio e alla testimonianza. È la grande sfida di pensare che anche oggi il Vangelo ha da dire qualcosa di essenziale per dare forma veramente umana alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo.

È una sfida non priva di conflitti, perché lo Spirito apre a una visione dell’umano che è in netto contrasto con quanto domina nel sentire diffuso, e si potrebbe pensare prevalente, tra gli uomini e le donne di oggi. Ma la contrapposizione tra il Vangelo e il mondo non è solo dei nostri giorni. Lo testimonia l’apostolo Paolo nel rivolgersi ai cristiani della Galazia, quando contrappone la carne, cioè la condizione creaturale dell’umanità nella sua fragilità, e lo Spirito: «La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda» (Gal 5,14). La contrapposizione è poi illustrata con una chiarezza che non lascia spazio ad equivoci: «Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere… Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,19-22).

Ci solleva constatare che queste ultime non sono nostre opere, ma frutti dello Spirito. A noi è chiesto di accoglierlo come un dono. Lo Spirito è un dono di Gesù, anzi un dono del Padre attraverso Gesù. È il dono che Gesù potrà fare ai suoi perché lo Spirito Santo è il suo Spirito, della sua stessa sostanza, colui che nel mistero del Dio trinitario «procede dal Padre» (Gv 15,26) e costituisce il vincolo d’amore del Padre con il Figlio: viene dal Padre ed è di Gesù.

Gesù infine presenta lo Spirito Santo, come «il Paraclito» (Gv 15,26): egli è per noi colui che ci esorta, ci incoraggia, ci sprona, ci consiglia sul cammino della fedeltà al vangelo di Gesù; e al tempo stesso è colui che ci protegge, ci affianca, ci appoggia, ci soccorre, prende le nostre difese nel combattimento contro il male per mantenere questa fedeltà; e ancora è colui che intercede per noi, si fa nostro avvocato nel confronto con il mondo ma anche di fronte al trono di Dio, al suo giudizio; e infine è colui che ci consola, perché la lotta del discepolo non esclude anche le ferite, le sconfitte, la fragilità tutta umana che sempre ci accompagna. Tutto questo è racchiuso nell’appellativo “Paraclito” attribuito allo Spirito di Dio.

È un annuncio particolarmente importante per i tanti cristiani che soffrono oggi persecuzioni nel mondo a causa della verità del Vangelo. Ma anche per noi, che spesso esitiamo in un cammino in cui incontriamo non poche volte varie forme di oscurità, è di sostegno sapere che i nostri passi sono accompagnati da qualcuno che ci incoraggia, ci difende, ci consola.

Tutto questo però non ci basta. Se dovesse bastarci significherebbe che siamo ridotti in una posizione difensiva, magari avvalorata dalla diminuzione numerica che affligge da qualche tempo la Chiesa nel nostro Paese. Ma non sono i numeri a dare forza alla verità. Essa si impone per sé stessa, con la forza di irradiazione che le è propria. Non a caso nella Pentecoste non accade semplicemente il compiersi in pienezza della fede dei discepoli in virtù della venuta dello Spirito, di una più profonda comprensione del mistero di Gesù, come mostrerà Pietro nel successivo discorso, ma da subito il dono dello Spirito si trasforma in annuncio che raggiunge tutti. C’è una dimensione missionaria nella presenza dello Spirito nella Chiesa che non è qualcosa che si aggiunge all’identità cristiana, ma ne è parte essenziale, si potrebbe dire espressione che ne manifesta l’autenticità. Si è cristiani, in forza del dono dello Spirito, e quindi missionari. Un’esistenza proiettata verso gli altri, fino ai più lontani, come mostra l’elenco dei popoli del racconto di Pentecoste. Un’estensione geografica, si potrebbe dire, senza confini; un’estensione che oggi va proiettata sui confini sociali, culturali, esistenziali; sono le periferie umane a cui ci richiama spesso Papa Francesco. Sono i mondi che la Chiesa deve oggi abitare con coraggio e insieme con coerenza. È l’orizzonte a cui è chiamata anche la nostra Chiesa fiorentina oggi.

Giuseppe card. Betori

Amministratore Apostolico